Luca Maria Colonna – segretario nazionale Uilm
L’analisi, pubblicata in data 4 settembre su Il diario del Lavoro a firma di Vincenzo Bavaro, nonostante le non velate critiche nei confronti della Uilm che, insieme alla Fim Cisl, ha sottoscritto, il 3 luglio 2001, l’accordo per il rinnovo della parte economica del Ccnl dei lavoratori dipendenti dalle imprese metalmeccaniche e dell’installazione di impianti aderenti a Confindustria, per molti versi ci conforta nella scelta difficile e sofferta di sottoscrivere un’intesa senza la Fiom. Nel citato intervento infatti si afferma che l’efficacia soggettiva dell’accordo, cioè di un concreto metro di misura della rappresentatività delle organizzazioni sindacali che hanno sottoscritto l’accordo, si limita ai lavoratori ‘iscritti ai sindacati firmatari e per quelli non iscritti che, espressamente o tacitamente, manifestino il consenso alla nuova retribuzione’. Dato che, purtroppo, anche in un settore considerato fortemente sindacalizzato come quello metalmeccanico, i lavoratori non iscritti al sindacato rappresentano la maggioranza assoluta (poco meno del 60% stando ai nostri dati) e che tra costoro non ci risultano casi di esplicito dissenso nei confronti dell’accordo debitamente comunicato all’azienda, in quanto parte obbligata a rispettare i contenuti di detto accordo, ci è facile affermare che sommando le adesioni tacite dei lavoratori non iscritti a quelle esplicite dei lavoratori iscritti alla Uilm, alla Fim abbiamo ampiamente superato la maggioranza dei lavoratori metalmeccanici.
Questo, senza contare, per ovvie ragioni, tutti quei metalmeccanici iscritti alla Fiom Cgil che non hanno formalizzato (e a quanto ci risulta non ve n’è nessuno) all’azienda da cui dipendono il loro dissenso alla percezione degli aumenti definiti nell’accordo ‘separato’. Non vogliamo qui considerare questi lavoratori ‘tra i nostri’ ma è del tutto evidente che, grazie alle argomentazioni di Bavaro, il loro atteggiamento denota quantomeno una contraddizione tra l’essere associati a un sindacato che non ha sottoscritto un accordo e il beneficiare dei risultati.
E anche le iniziative di lotta, come lo sciopero degli straordinari, che la Fiom legittimamente ha proclamato, il cui esito è anch’esso metro di misura del consenso, non ci sembrano riscuotere grandi successi. A fronte di questa situazione, ci risulta almeno un caso di un’impresa, la Silectron Chloride di Imola, non associata a Federmeccanica, che non ha erogato gli aumenti. In questo caso, la Uilm e la Fim territoriali hanno ovviamente chiesto l’applicazione dell’accordo ma, da quanto ci viene segnalato, anche i lavoratori iscritti alla Fiom, e lì sono la maggioranza, non stanno affatto apprezzando l’atteggiamento dell’impresa che di fatto li discrimina rispetto agli altri metalmeccanici. Ciò è sufficiente, e in questo appunto ci conforta l’intervento apparso su Il Diario del Lavoro, per considerare giunta al termine questa vicenda contrattuale. Per quanto riguarda la nostra organizzazione, questo avverrà formalmente con l’assemblea dei delegati Uilm, che si svolgerà il 21 settembre a Livorno in cui è prevista la partecipazione di circa 3 mila persone.
Restano alcuni temi su cui riflettere, discutere e trovare soluzioni: la democrazia, la politica rivendicativa e la ormai non più rinviabile manutenzione degli assetti contrattuali, il ruolo del sindacato nel rapporto con le maggioranze politiche che vengono elette dagli italiani e, come conseguenza di tutto ciò, i rapporti unitari.
Sulla democrazia. In molti hanno accusato la Uilm e la Fim di non aver sottoposto l’accordo al giudizio dei lavoratori, accusa che per certi versi è infondata: mai negli ultimi 20 anni i dirigenti, i quadri, i delegati e i militanti della Uilm hanno discusso e si sono confrontati con i lavoratori come in questa occasione: il 21 a Livorno forniremo i dati di questo faticoso, ma gratificante impegno. Per un altro aspetto, la ‘carenza di democrazia’ è un problema serio, ma proprio perché tale va affrontato in modo serio e ponderato: in primo luogo, c’è l’assenza di regole che determinino il modo nel quale le divergenze tra le organizzazioni sindacali a livello di contrattazione nazionale si risolvono. Il patto tra Fim, Fiom e Uilm – sempre più disatteso e nella maggior parte dei casi proprio dalla Fiom – prevede il ricorso al referendum abrogativo solo per la contrattazione aziendale. La democrazia, non esistendo la forma perfetta, è in primo luogo il rispetto delle regole vigenti e se queste, attualmente, non prevedono il referendum sugli accordi di rinnovo del contratto nazionale, non si può forzarle per fini politici. I plebisciti che sancirono l’unità d’Italia sono eventi fondamentali della storia del nostro Paese, ma non sono certo una pagina nobile dell’esercizio della democrazia in Italia. E poi, è la democrazia diretta, la forma di democrazia scelta dal sindacato italiano? O non è più adeguata alle tradizioni italiane una forma di democrazia delegata con qualche correttivo di democrazia diretta, come per esempio il referendum abrogativo? E infine, se i meccanismi elettorali fin qui messi in campo da Fim, Fiom e Uilm non sono stati reputati affidabili da esponenti della Fiom nazionale per istituire, almeno nelle realtà con un gran numero di iscritti al fondo pensioni Cometa, dei seggi aziendali per le elezioni dei componenti l’assemblea del fondo (quando ne discutemmo v’erano pochi ma qualificati testimoni) perché, su un tema parimenti importante come il rinnovo contrattuale dei metalmeccanici, si devono considerare le medesime procedure affidabili?
La politica rivendicativa e la ormai non più rinviabile manutenzione degli assetti contrattuali. Non c’è dubbio, qualcosa bisogna fare: innanzitutto, perché il protocollo del 23 luglio è stato disegnato in un periodo contrassegnato da problematiche assai diverse da quelle di questi anni: non c’era l’euro, l’inflazione colpiva duramente i redditi fissi, il sistema produttivo italiano era in una fase di forte ripiegamento.
Oggi le condizioni appaiono diverse: c’è un problema di valorizzazione del lavoro industriale, al nord in particolare dove il lavoro in fabbrica viene di fatto ‘rifiutato’ dai giovani italiani, il tutto sottolineato dalla moneta unica che semplifica i confronti tra le retribuzioni. Inoltre oggi, dopo quasi dieci anni di questo sistema contrattuale, alcune lacune di questo meccanismo emergono con grande chiarezza: il doppio livello di contrattazione (che laddove è stato applicato ha risposto, più o meno bene all’esigenza di retribuire il lavoro industriale) non si è diffuso come il sindacato si attendeva. Oggi, una gran parte della categoria dei metalmeccanici, poco meno del 60% degli addetti, non è soggetto della contrattazione di secondo livello: a costoro garantiamo la copertura dei salari reali, ma non retribuiamo la produttività.
Si badi, l’insufficiente diffusione della contrattazione aziendale non è un problema solo dei lavoratori delle piccole e medie imprese e non è una questione di sola solidarietà, che comunque è un elemento fondante l’azione sindacale. E’ interesse anche dei lavoratori delle grandi e medie imprese, quelle in cui la contrattazione aziendale è pratica consolidata, che ci sia una redistribuzione della produttività e della redditività dell’impresa. Quante volte, nelle grandi imprese, processi di ristrutturazione o le cosiddette terziarizzazioni vengono motivate con la frase ‘fuori costa meno’. La Uilm, nella fase di elaborazione della piattaforma rivendicativa, ha posto questo problema, proponendo una soluzione, seppur parziale: l’istituzione di un’indennità di mancata contrattazione aziendale. Non è una novità, c’era già un istituto simile nel contratto dei metalmeccanici quando vigeva il vecchio premio di produzione, e istituti simili sono presenti tuttora nel settore alimentare e chimico. A fronte del rifiuto delle altre organizzazioni, pur di presentare una piattaforma unitaria, abbiamo acconsentito a rinviare la discussione di questa richiesta con la controparte. Si trattava di una proposta sbagliata? Non lo crediamo, in realtà era una richiesta che intralciava quella che legava quantità salariali all’andamento del settore e per questo è stata osteggiata. Ma questo è un problema che rimane e che deve essere affrontato dalle organizzazioni sindacali. Ci sono due modi per smantellare un impianto, dire apertamente che va abbattuto o mandarlo in malora, non facendo un’adeguata manutenzione. La Uilm e la Uil tengono all’impianto contrattuale articolato su due livelli di contrattazione e intendono mantenerlo per preservarlo. Ma aumenti legati all’andamento del settore da concedersi indiscriminatamente, sia a coloro che fruiscono della contrattazione aziendale, sia a chi di fatto ne è escluso, sono stati un vero e proprio problema della trattativa. La controparte ha sostenuto che concedendo aumenti sulla base di questa motivazione si sarebbe ‘pagato due volte’ e, oggi possiamo riconoscerlo: non erano ragionamenti infondati. Certo, una lettura ‘burocratica’ e strumentale del protocollo del 23 luglio ci ha fatto argomentare che questa richiesta era coerente con l’impianto contrattuale, ma tali argomentazioni cadono, e sono cadute, di fronte alla considerazione che l’andamento del settore null’altro è che la media degli andamenti aziendali.
Il ruolo del sindacato e i rapporti con la politica. Le dichiarazioni di questi giorni del segretario generale della Cgil, confermano che il rifiuto della Fiom di sottoscrivere l’accordo ha fondamentalmente ragioni politiche e di natura extra sindacale. Il merito di questo contratto va giudicato comparandolo con altri rinnovi contrattuali dei metalmeccanici, per esempio quello del 1997, quando allungammo la vigenza di 6 mesi, sterilizzammo temporaneamente gli effetti della tredicesima sul Tfr, ottenemmo un incremento salariale di 200 mila lire a fronte di una richiesta di 262 mila e non si fece il referendum ma la Fiom firmò, oppure con quanto hanno fatto altre categorie (alimentaristi, commercio). Da questa comparazione non ci pare che l’accordo ‘separato’ sia inferiore a questi, anzi…. E poi, alla luce dell’andamento dell’economia, anche prima dei drammatici eventi di martedì, è evidente che se non avessimo firmato ai primi di luglio, oggi saremmo più deboli. Rompere o comunque interrompere il negoziato a luglio significava rinviare la trattativa a settembre, ma questo a chi avrebbe giovato? Non certo ai metalmeccanici, forse solo a chi voleva e vuole fare l’opposizione nelle piazze. Tra gli iscritti al sindacato, anche tra quelli Cgil, ci sono opinioni e orientamenti di voto che abbracciano tutte le forze politiche. Questa, aldilà di considerazioni di etica ‘professionale’ del sindacalista, è la ragione che ci porta a dire che i rapporti del sindacato con la politica debbano basarsi sul merito delle scelte che il Governo e la maggioranza faranno. Certo, se qualcuno vorrà trasformare la concertazione in mera consultazione o se si vorrà abolire la tutela offerta dall’art. 18 della legge 300/1970 o se ancora si vorrà peggiorare le coperture pensionistiche o innalzare i requisiti per andare in pensione, proprio perché sarebbero scelte non condivise nel merito da noi e dai nostri rappresentati, ci batteremo contro.
I rapporti unitari. Da una seria discussione su questi argomenti si potranno ricostruire, nella chiarezza, i rapporti tra Fim, Fiom e Uilm. La Uilm infatti non intende fare degli accordi separati una strategia, ma è anche chiaro che non si possono accettare veti che conducano all’immobilismo, all’impasse contrattuale e, quindi, in definitiva a danneggiare i lavoratori metalmeccanici. Questo, la Uilm non intende davvero farlo.