Un contratto figlio di una trattativa lunga e complessa, ma che premia le qualità presenti nel settore, certificate e riconosciute da Draghi stesso, e che guarda al futuro con speranza. È questo il giudizio di Rocco Palombella, segretario generale dei metalmeccanici della Uil, sul rinnovo del contratto. Tra gli elementi innovativi la riforma dell’inquadramento professionale, fermo al 1973, che segna il passaggio dall’industria fordista a quella 4.0.
Palombella, avete rinnovato il contratto molto rapidamente, quasi a sorpresa. Come ci siete riusciti?
La velocità con la quale si è arrivati al rinnovo è solo apparente. Il sindacato stava portando avanti le trattative da 15 mesi. Poi il confronto si è interrotto, abbiamo scioperato, rispettando norme di sicurezza e salute stringente, e alla fine è arrivato il contratto in un momento molto particolare, con numerose aziende in difficoltà. Ci siamo seduti al tavolo con l’impegno di non alzarci senza aver dato alle lavoratrici e ai lavoratori un contratto di qualità, e ci siamo riusciti. Un risultato ottenuto grazie anche al lavoro delle controparti, Federmeccanica e Assital.
Nel contratto avete riformato l’inquadramento professionale. Un passo decisivo per uscire dall’industria fordista fino a quella 4.0?
L’inquadramento dell’industria metalmeccanica era fermo al 1973, quando il livello di scolarizzazione dei lavoratori era molto basso e l’organizzazione del lavoro si basava sulla catena di montaggio che richiedeva una professionalità esigua. L’inquadramento, assieme al salario e ai tempi di lavoro, sono stati i tre pilastri sui quali si fondava il potere datoriale. Mentre sugli ultimi due siamo sempre riusciti a contrattare, sul primo, nonostante i ripetuti tentativi negli anni, abbiamo incontrato maggiori resistenze. Per le grandi aziende è stato sviluppato l’inquadramento sostitutivo, e le piccole hanno spesso avuto una scarsa propensione a trattare col sindacato su questo punto. Nel contratto del 2016 abbiamo introdotto qualche piccolo cambiamento, ma è con questo rinnovo che si compie un passaggio definitivo dalla fabbrica fordista a quella 4.0.
Altro punto centrale è quello della partecipazione.
La partecipazione è stata rafforzata. Si tratta di uno strumento imprescindibile per coniugare le esigenze dei lavoratori e dell’impresa. Ma l’intero contratto presenta contenuti importantissimi sul welfare e la formazione.
Sul versante salariale avete ottenuto un risultato importante, 112 euro di aumento, nonostante molti settori, come quello dell’auto, abbiano risentito pesantemente della pandemia. Come si spiega tutta questa “generosità” in un momento così difficile?
Il contratto dei metalmeccanici copre comparti molto diversi tra loro, dalla siderurgia, all’automotive, alla cantieristica fino all’aereospazio. Siamo consapevoli del fatto che non tutti questi comparti possano andar bene contemporaneamente. Il 2020, a causa del covid, è stato un anno durissimo per l’auto. Tuttavia rinnovare un contratto con un incremento economico così importante è, prima di tutto, un atto di fiducia che guarda al futuro dell’intero settore, oltre a essere un collante per trainare la ripresa. Dobbiamo pensare al contratto non come a un costo ma un investimento, sui lavoratori e le imprese.
Il contratto si muove all’interno dei contenuti del Patto della Fabbrica o guarda oltre?
Il rinnovo nasce e vive nel perimetro stabilito dal Patto della Fabbrica, e ne rispecchia i contenuti. Anzi gli elementi delineati nel documento da Cgil, Cisl, Uil e Confindustria dovrebbero avere una maggiore attuazione.
L’ “effetto Draghi” ha giocato un ruolo per portare a casa la trattativa?
Draghi è un grande conoscitore dell’industria manifatturiera italiana, e sa perfettamente che la metalmeccanica è una componente insostituibile per ripresa del Pil. Questo dev’essere un elemento di fiducia nel nostro sistema produttivo. Nonostante le vertenze e le crisi aziendali aperte, siamo ancora la seconda manifattura europea, la settima o l’ottava al livello mondiale. Naturalmente il rinnovo è avvenuto indipendentemente dalla nomina di Draghi.
Il settore come ha vissuto la crisi politica?
L’apertura della crisi di governo ha creato preoccupazione, soprattutto per l’incertezza creatasi attorno al Recovery Plan. Ci siamo ritrovati con gli stessi timori sperimentati nel 2016, quando a dicembre si dimise Renzi. Fortunatamente il contratto lo siglammo qualche giorno prima delle dimissioni. In questo frangente, come detto, abbiamo voluto dare con il rinnovo un segnale forte, di fiducia e speranza per il futuro.
Secondo voi come dovranno essere usate le risorse del Recovery Plan per il comparto?
Siamo stati tra le poche categorie a essere convocate dal ministro Patuanelli per portare le nostre idee. Crediamo che nei fondi europei dovrà esserci spazio per un piano nazionale della siderurgia, perché, al momento, le nostre aziende sono costrette a reperirlo altrove. Serve, inoltre, un piano che potremmo definire Leonardo, riferito al trasporto aereo civile e militare e non solo, un piano per la cantieristica e l’industria innovativa.
Tommaso Nutarelli