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Romani (Cisl), la partecipazione come sostegno alla democrazia, ai diritti e ai salari: ecco il senso della nostra proposta di legge

Nunzia Penelope
Maggio19/ 2023

È nel Dna della Cisl da sempre, ma adesso si fa sul serio, forse per la prima volta: la confederazione di Via Po ha presentato una sua proposta di legge sulla partecipazione, e si prepara a sostenerla con una raccolta di firme che inizierà il 3 giugno e con una campagna a tappeto di sensibilizzazione tra i lavoratori. Giulio Romani è il segretario che nella squadra di Luigi Sbarra ha la delega alla democrazia economica, ed è pertanto un po’ il motore di questa impresa, cosi come lo stesso Sbarra, deciso a fare della partecipazione una solida “bandiera” del suo sindacato per i prossimi mesi.

Romani, perché arriva oggi questa proposta, perché questa accelerazione su un argomento di cui non si parlava da tempo?

Perché è il momento storico è maturo. La partecipazione è nel nostro Dna, e lo è fin dai tempi di Giulio Pastore, a cui si deve l’articolo 46 della Costituzione. Ed è anche nel nostro statuto. Poi, è vero, era rimasta a lungo nel cassetto, e del resto ci sono tempi più o meno idonei a certe imprese. Ma adesso i tempi sono quelli giusti.

Giusti per quale motivo?

Credo non sfugga a nessuno che ci troviamo in un momento particolare, che vede la democrazia in crisi. Lo dimostra la scarsa partecipazione elettorale, il disinteresse e il distacco sempre più forte dei cittadini dalla cosa pubblica. È un fenomeno che riguarda tutte le democrazie mature, ed era già previsto dai nostri padri costituenti: nel 1947 c’era la consapevolezza che se non si coinvolgono le persone in un processo partecipativo continuo la democrazia viene meno.

Dunque la partecipazione come risposta al declino della democrazia?

In una società che ha un livello culturale molto diverso da quello di cinquant’anni fa, più alto, più informato, in una società che si evolve, anche la democrazia deve evolversi, e noi siamo convinti che la democrazia economica sia una risposta a questa necessaria evoluzione. Per questo se mi chiede ‘’è questo il tempo’’ la mia risposta è: si. Dobbiamo, adesso, arginare il declino della democrazia: sviluppando non solo conflitto, ma partecipazione. Il nostro progetto di democrazia economica punta a questo, coinvolgendo non solo i lavoratori, ma anche i piccoli azionisti, il fin qui cosiddetto ‘’parco buoi’’, dando loro un ruolo. E guardando anche alla sostenibilità, tema oggi imprescindibile.

È un tema alto, validissimo, ma ai lavoratori, ai loro diritti, in concreto, che vantaggi porta?

Oggi assistiamo a una deriva delle tutele del lavoro, del salario, ma anche della stessa dignità del lavoro. Siamo in un contesto dove si possono licenziare 400 persone con un sms notturno, come accaduto alla Gkn. Noi siamo convinti che occorra un argine a questa deriva, e che i lavoratori abbiano diritto ad avere un ruolo nelle loro imprese. Gkn non avrebbe potuto licenziare cosi se ci fosse stata l’informazione preventiva obbligatoria, prevista dalla nostrapartecipazione consuntiva. Senza nulla togliere al diritto dell’azienda di fare le sue scelte, nella peggiore delle ipotesi si sarebbe quanto meno potuto avviare per tempo un piano di riqualificazione. E questo è solo uno dei punti chiave, ma c’è molto altro.

Cos’altro?

Siamo in prossimità di grandi cambiamenti nell’organizzazione del lavoro. Cambiamenti che però rischiano di essere gestiti da fondi esteri dall’altra parte del mondo, di cui non si conoscono i soggetti, i responsabili, e talvolta nemmeno la provenienza dei soldi che gestiscono, oscura. Noi come possiamo intervenire, avere voce in capitolo nell’organizzazione del lavoro, nell’innovazione, se non attraverso la partecipazione, che ha anche una funzione di maggiore trasparenza?

Uno dei temi più caldi di oggi è quello dei salari bassi e del diverso rapporto col lavoro, più distaccato, soprattutto da parte dei giovani, basta considerare il fenomeno delle grandi dimissioni. La partecipazione risponde anche per questi problemi?

Una organizzazione del lavoro alla quale i dipendenti possono contribuire e decidere, consente un benessere lavorativo superiore, e dunque è una risposta anche alle delle grandi dimissioni: che non sono legate solo al desiderio di retribuzioni migliori, ma di vivere meglio. Ci sono aziende che lo hanno capito, e si stanno attrezzando a dare risposte adeguate, soprattutto ai giovani, che hanno col lavoro un rapporto diverso dai loro padri. Quanto ai salari, la partecipazione dei lavoratori agli utili e ai risultati delle imprese è un modo concreto per incrementare le retribuzioni.

Sa l’obiezione che si fa in questo caso: e se l’azienda non fa utili?

La partecipazione agli utili sarebbe comunque retribuzione aggiuntiva, secondo gli indirizzi europei. Quando ci sono produttività e utili, a cui i lavoratori hanno dato il loro contributo, si redistribuiscono. Diversamente resta comunque la retribuzione prevista dal contratto.

E il coinvolgimento dei piccoli azionisti, il parco buoi, cui accennava prima?

In Italia non esiste una definizione codificata di piccolo azionista, ma solo di azionista di minoranza. Eppure, solo 9 delle 350 società quotate hanno un azionista di controllo con una quota maggiore del 50%. Tutte le altre sono controllate da azionisti di minoranza. Che magari è un azionista come Black Rock, il gigantesco fondo di investimento mondiale che col 5% controlla la maggiore banca italiana. L’azionariato diffuso c’è, ma non conta. Ma se l’azionariato diffuso, più quello dei lavoratori, più quello, magari, dei fondi pensione, potessero essere rappresentati unitariamente in assemblea, con una delega precisa, l’assemblea dovrebbe tenerne conto.

Pensate anche a una rappresentanza dei lavoratori, o del sindacato, nei consigli di amministrazione o nei Civ, ovviamente.

Certo, è utile, ma è ovvio che l’azienda sia comunque guidata dall’amministratore delegato. Però l’Ad non può sapere, per esempio, se un bancone è troppo basso e fa venire mal di schiena al dipendente che ci lavora, causando assenze per malattie e rendendo il lavoro sgradevole, mentre basterebbe alzarlo di qualche centimetro per risolvere il problema e avere più risultati, più produttività, migliore prestazione e soddisfazione. E’, per farle un esempio, un po’ quello che fece Sergio Marchionne quando costituì il team worker a Pomigliano. Sapeva che la collaborazione coi lavoratori, che in azienda ci stanno e tutto sanno, avrebbe portato risultati. E infatti Pomigliano recuperò produttività.

Dunque la partecipazione sarebbe un bene per le aziende e per i lavoratori. Ma la Confindustria cosa ne pensa?

Confindustria alla parola partecipazione ha sempre, fin dai tempi della costituente, preferito ‘’collaborazione’’. Gronchi disse: ‘’le imprese devono avere il tempo di capire’’. Ma ancora oggi mi sembra non abbiano capito. E tuttavia, le imprese migliori la partecipazione già la praticano,

mentre ci sono forti pressioni negative da parte del mondo delle piccole e piccolissime imprese, che vivono ancora in termini di ‘’padronato’’ e non ne vogliono sentir parlare. C’è chi si accoda per non scontentare questo zoccolo duro, forse perché è anche consenso politico, associativo. Ma la legge che noi proponiamo non è coercitiva, consente di cogliere alcune opportunità e vantaggi, chi vuole coglierli li coglie, oppure ne fa a meno ma consente ad altri di aderirvi.

Voi avete detto in tante occasioni che la vostra proposta è offerta a tutti, e aperta a tutti. Pensate che le altre due confederazioni, Uil e Cgil, vi seguiranno in questa impresa?

Mi auguro che le altre confederazioni possano sostenere un obiettivo, un orizzonte, comune. Per questo abbiamo presentato un documento aperto: ci auguriamo che vengano a discutere, a obiettare, a fare proposte. Non conosco la posizione della Uil, ma la Cgil a lungo ha parlato di partecipazione, e la invito quindi a riprendere il filo di quel ragionamento, in modo che si possa fare un percorso unitario sulla partecipazione.

Il 3 di giugno si avvia la raccolta delle firme sulla vostra proposta di legge, come vi state attrezzando? Farete una specifica campagna di assemblee?

Partiamo sensibilizzando i nostri dirigenti sul territorio, poi a loro volta potranno fare le assemblee nei luoghi di lavoro. Sarà un lavoro intensissimo.

Resta un problema, a mio avviso: e cioè come far comprendere questo vostro progetto cosi ambizioso alla vostra base, ai lavoratori, oggi concentrati su questioni di più modesta portata, ma certamente urgenti: salari, pensioni, contratti…

Dovremo fare uno sforzo di informazione gigantesco, semplificando il più possibile anche il linguaggio. Ai lavoratori spiegheremo che dove la partecipazione si è fatta si guadagna di più e lavorano meglio, stabilendo insieme gli obiettivi e un sistema premiante, rendendo più facile il raggiungimento di quegli obiettivi. Ed è vero che oggi il ‘’pochi maledetti e subito’’, per esempio con incentivi a pioggia, ha più successo immediato, rispetto a un progetto che punta a cambiare molte cose acquisite. Ma l’operazione sulla partecipazione per noi va in parallelo con le varie altre urgenze, e si inserisce nel quadro dei grandi cambiamenti della società.

Si tratta di una operazione anche culturale, si tratta di cambiare una mentalità consolidata, cosa mai facile in Italia.

Certamente è una operazione anche culturale. Sappiamo che è una sfida difficile, ma adagiarsi sui successi e smettere di fare cose difficili ha portato perfino alla caduta dell’impero romano. Il rischio, se stai fermo, è che il mondo va avanti e tu resti indietro. I fenomeni che stanno avanzando all’orizzonte non possiamo inseguirli: dobbiamo precederli. Il sindacato d’altra parte è rimasto l’ultimo intermediatore culturale del paese, visto che i partiti non svolgono più questo ruolo da tempo; ma forse non lo stiamo facendo abbastanza. E chi altri lo dovrebbe fare, se non noi, gli unici che hanno per vocazione e per possibilità quella di andare tra la gente a spiegare?

Nunzia Penelope

Nunzia Penelope

Giornalista