“Alle parti sociali spetta la grande responsabilità di incalzare la politica affinché i lavoratori agricoli di oggi non siano pensionati poveri di domani: migliorare le condizioni della previdenza pubblica e implementare le adesioni a quella integrativa si può e si deve, lo deve tutto il Paese alle tante lavoratrici e ai tanti lavoratori che con grandi sacrifici producono, attraverso le filiere agroalimentari, una ricchezza strategica e insostituibile”.
Lo ha detto il Segretario generale della Fai Cisl Onofrio Rota intervenendo oggi alla presentazione del nuovo rapporto Eban sul lavoro agricolo, realizzato con Nomisma. Dal rapporto, emerge che gli occupati in agricoltura sono quasi un milione e cento mila, il 97% sono operai. Nel 2016-2017 l’occupazione è aumentata di un punto percentuale per quadri e impiegati e dell’1,7% per gli operai. Nel corso del 2012-2017 l’occupazione ha ripreso la sua crescita, ma ad essere aumentati sono soprattutto gli operai a tempo determinato (+6%), mentre sono diminuiti dell’8% i lavoratori a tempo indeterminato, con il -3% al Nord, -11% al Centro e -14% al Sud.
Quasi 280 mila i lavoratori stranieri. La percentuale è scesa del 5% tra il 2016 e il 2017, mentre sono tornati a crescere, rispetto al 2008, i dipendenti italiani. Un lavoratore su quattro è straniero. “Con il 26% degli occupati immigrati”, ha detto Rota, “il settore si conferma come veicolo strategico anche per valorizzare i flussi migratori e costruire concrete politiche di integrazione e inclusione”.
Un pensiero è stato rivolto dal leader della Fai Cisl al reddito di cittadinanza: “Come per tutte le categorie con un reddito di fascia bassa, c’è tanta preoccupazione per il messaggio politico e culturale che si manda al Paese, specialmente alle giovani generazioni: la battaglia contro la povertà è sacrosanta, altra cosa però è fare assistenzialismo disincentivando il lavoro produttivo, che deve rimanere un valore per la dignità, la realizzazione della persona, la crescita della collettività”.
“È molto significativo”, ha concluso Rota, “il fatto che il 46% dei lavoratori non abbia un titolo di studio, mentre il 41% ha la licenza media: c’è un urgente bisogno di investire sulla formazione e sullo sviluppo professionale, un impegno che chiama in causa tutti noi e le istituzioni, sia nazionali che locali, affinché si possa rafforzare la posizione del lavoratore all’interno del mercato del lavoro e sostenere una competitività caratterizzata dalla qualità del lavoro e delle produzioni”.
TN