Direttore risorse umane e organizzazione del gruppo Almaviva, Luciano Scalia ha vissuto da protagonista tutta la vicenda della più grande azienda di call center, fino all’accordo recente che ha regolarizzato i rapporti di lavoro . Gli diciamo: se qualcuno, in verità molto ingenuo, chiedesse perché l’accordo non è stato fatto prima, per esempio un anno fa, cosa risponderebbe?
Che era impossibile. Non esistevano le condizioni.
E ora invece sì. Quali condizioni esattamente?
La circolare Damiano, l’avviso comune, la sentenza del Tar che dava ragione a noi e rinviava a una trattativa fra le parti. Aggiungo un’altra considerazione. Eravamo stanchi di sentir additare i call center come il luogo paradigmatico dello sfruttamento, se non addirittura dello schiavismo postmoderno. Stanchi dello stato confusionale del mercato, dove proseguono gare al massimo ribasso, riguardanti aziende private e pubbliche, ultima l’Anas, gare che prevedono assunzioni massicce di lavoratori a progetto.
Con l’accordo avete anche voluto lanciare un segnale al mercato?
Precisiamo prima di tutto che l’accordo è giusto e che era necessario. Questa è stata la ragione fondamentale del nostro impegno a realizzarlo. Ma è vero che abbiamo voluto mandare al mercato un segnale, non voglio dire con la presunzione, ma con la ragionevole certezza che, venendo dall’azienda più grande, abbia efficacia.
E’ vero che l’ultimo ostacolo da superare prima dell’accordo è stata la richiesta del sindacato di categoria Cgil di sottoporlo al giudizio dei lavoratori?
No comment.
Si può scrivere?
Certo, l’ho detto apposta.