La compattezza della Fiom mostra la corda. E’ questa la considerazione che in molti hanno fatto dopo la decisione dei delegati della ex Bertone di votare sì al referendum. Il fatto che fosse stato chiesto di votare sì andava infatti in netto contrasto con la linea della Fiom di respingere al mittente quelle richieste senza nemmeno prenderle in considerazione. E tanto più quell’impressione è sembrata giusta dopo che i delegati Fiom dello stabilimento di Melfi hanno protestato per la mancata firma, sempre da parte della Fiom, all’accordo per l’organizzazione del lavoro nello stabilimento lucano.
Si è trattato di fatti rilevanti, sui quali Maurizio Landini e la sua segreteria hanno preferito glissare, affermando che si è trattato, specie nel caso della ex Bertone, di decisioni prese sulla forza del ricatto esercitato dalla Fiat. In realtà, parlare di ricatto è quanto meno fuor di luogo, perché nessuno poteva pretendere l’investimento dalla Fiat, per cui c’era solo un’offerta, che poteva essere accettata o respinta.
Il punto è che il vertice della Fiom è stato messo in difficoltà dalla decisione dei delegati, perché la sua strategia è stata respinta. Landini e gli altri segretari avevano deciso di non accettare le richieste della Fiat, ma i delegati prima, i lavoratori poi, alla ex Bertone hanno detto l’esatto contrario. Che la Fiom abbia tenuto il punto e non abbia firmato l’accordo non conta, la cosa importante è che alla fine quell’intesa sia stata sottoscritta e lo sia stata da chi poi nei fatti dovrà applicarla.
Del resto non poteva finire in nessun altro modo, perché in ballo c’era il posto di lavoro di lavoratori che da sei anni erano fuori dalla loro fabbrica. La prima cosa deve essere sempre la difesa del lavoro, tanto più in una situazione economica generale depressa come quella che stiamo vivendo, nella quale non si può andare tanto per il sottile, bisogna far buon viso a cattivo gioco, sperando che tornino tempi migliori. Ma la prima cosa deve essere sempre il lavoro. Qualche settimana fa in un convegno all’università di Bologna, dove duellavano Landini e il segretario generale della Fim Cisl, Beppe Farina, uno studente ha chiesto a quest’ultimo cosa fosse meglio, se un posto di lavoro comunque o la difesa dei diritti dei lavoratori. Farina non ha esitato, il lavoro, ha risposto, perchè se questo non c’è non esistono nemmeno i diritti dei lavoratori.
Adesso – tanto più dopo che all’alzata di testa dei delegati della ex Bertone hanno fatto seguito quelli di Melfi che non avevano digerito di essere stati smentiti dopo che avevano trattato l’applicazione del metodo Ergo Uas- il vertice della Fiom dovrebbe trarne qualche conseguenza. Se i delegati dissentono, se un terzo degli iscritti si ritrova sulle posizioni – discordanti con quelle ufficiali- della minoranza guidata da Fausto Durante, se la Cgil in quanto confederazione spesso e volentieri critica le decisioni della Fiom, tutto questo non può essere messo da parte come se non esistesse. Perché una federazione di categoria deve tener conto di cosa pensano i lavoratori, di quali sono le posizioni di forza nei propri organi, di quale sia la strategia generale della confederazione di cui fa parte.
Sempre che si tratti di un sindacato che si considera parte integrante di una confederazione. Se invece la Fiom, come molti le contestano, pensa, agisce e decide come un partito politico, come una forza sociale chiamata però a un ruolo non solo sindacale, allora fa bene ad andare diritta per la sua strada. Ma allora sarebbe bene che si comportasse di conseguenza fino in fondo, chiarendo la sua posizione, senza restare ambiguamente con un piede dentro la Cgil, un altro fuori. La confederazione finora ha lasciato spazio alla Fiom, nella considerazione che la Cgil deve essere aperta a tutti, ma se qualcuno vuole restare fuori è bene che tutti ne prendano atto, i dirigenti della Fiom per primi.
Massimo Mascini