La regione trabocca di crisi industriali e lo sblocco dei licenziamenti, tranne per il tessile e i settori affini, mette le imprese nelle condizioni di riassumere successivamente i lavoratori, ma a condizioni molto più svantaggiose. A dirlo è Vincenzo Sgalla, segretario generale della Cgil Umbria. I 3 miliardi del Recovery Plan destinati all’Umbria rischiano di non arrivare senza una vera progettualità.
Come è la situazione lavorativa in Umbria?
In Umbria stiamo gestendo numerose crisi industriali: la prima è sicuramente quella della AST di Terni in cui la vendita è ancora in corso e dal cui esito dipendono le sorti dell’economia di tutta l’Umbria. Registriamo poi una crisi nel polo della chimica di Terni; la crisi del sito produttivo di Acque Minerali d’Italia a San Gemini e Amerino e, nell’aria di Perugia, quella di TRAFOMEC, azienda metalmeccanica che si occupa di trasformatori. In più la pandemia ha colpito duramente anche il settore dell’aerospazio: in questo momento non registriamo perdite di posti di lavoro soltanto grazie al blocco dei licenziamenti, tuttavia possiamo già segnalare le mancate assunzioni degli stagionali.
Il governo ha deciso di prorogare il blocco dei licenziamenti solo per il tessile e i settori affini. Quali sono i rischi occupazionali per gli altri comparti?
Anche il centro di ricerca IRES ha confermato che sbloccare i licenziamenti in questo momento significa solo dare modo alle imprese di licenziare i propri lavoratori per poi assumerli nuovamente con meno diritti. Il problema è la logica: secondo noi non è ammissibile dare alle imprese sia i soldi sia la possibilità di licenziare il personale per poi riprenderlo ma con meno garanzie. Nel marzo 2020 abbiamo fatto gli accordi sui settori ATECO per salvare il Paese, ora è necessario salvare i lavoratori. Serve una politica nazionale diversa, non basta più stanziare risorse. Il governo deve attuare politiche industriali per l’innovazione e lo sviluppo tecnologico. Soltanto questo garantirà diritti e salari ai lavoratori.
Invece a livello regionale cosa è necessario fare?
Abbiamo chiesto all’assessore dello sviluppo economico della regione Umbria di costituire una task force contro i licenziamenti. Dalla regione è avvenuta un’adesione formale alla nostra proposta che non si è ancora trasformata in nessuna azione pratica. La regione non ha dato risposte sostanziali di nessun tipo nemmeno su altri campi. Ad esempio si era impegnata ad assumere 1500 nuove unità nel settore della sanità durante il 2021 ma siamo ormai a luglio e ancora non è avvenuto niente di quanto avevano promesso.
Dunque quale è il rapporto con le istituzioni regionali?
Il rapporto con le istituzioni regionali è insoddisfacente e decisamente insufficiente. Né la presidente Tesei né la giunta hanno un progetto per l’Umbria per gestire la fase successiva alla pandemia e i fondi del Recovery. Continuano a perpetuare le vecchie logiche pre-pandemiche, logiche che, però, avevano portato l’Umbria ad essere la prima regione del Centro Italia con dati economici paragonabili a quelle del Mezzogiorno. Sul PNRR in Umbria manca visione strategica. I 3 miliardi di euro tanto attesi da tutti non sono reali perché manca progettualità e nessun Governo centrale destinerà risorse alle regioni prive di progettualità.
E invece quali progetti per il PNRR dovrebbe adottare la regione?
Noi abbiamo presentato varie idee alla giunta: innanzitutto all’Umbria serve un piano straordinario sulla sicurezza nei luoghi di lavoro; in secondo luogo serve una legge regionale specifica sugli appalti che consenta all’Umbria di superare l’appalto regionale al massimo ribasso perché crea disvalore del lavoro. In più abbiamo proposto di far diventare l’Umbria la prima regione certificata totalmente bonificata dall’amianto e di dare maggiore attenzione al ciclo produttivo che ruota intorno al settore del riciclo rifiuti. Aspettiamo, come detto, anche le assunzioni promesse nel settore sanitario e infine una maggiore protezione sociale per la terza età.
Alcuni imprenditori del turismo lamentano di non riuscire a trovare lavoratori per la stagione estiva a causa dei sussidi, cosa rispondete?
Se non si cambia il paradigma del lavoro ciò che la pandemia ci lascerà in eredità saranno diseguaglianze e rabbia sociale. Le imprese hanno tutti gli strumenti per attuare, grazie al sindacato, piani di formazione che garantiscano una preparazione adeguata ma anche diritti e retribuzioni corretti per tutti i lavoratori. Il vero problema degli imprenditori è che negli ultimi anni i giovani sono stati sempre sfruttati e questo non è più tollerabile.
Quali scelte di politica industriale dovrebbe prendere il Governo nazionale sul tema dell’acciaio?
L’Italia non può prescindere dalla lavorazione dell’acciaio. Siamo ancora il secondo stato manifatturiero d’Europa, l’acciaio è alla base delle strategie del Paese. Noi non siamo d’accordo con chi vuole trasformare l’Italia in un Paese di commercio e servizi. E serve che il governo prenda delle decisioni con visione nazionale e anche con attenzione ai territori di produzione.
Cosa vi aspettate dal Governo?
Le persone devono essere al centro della ripresa post-pandemia. Al centro di tutto dobbiamo mettere i lavoratori. Quando il Governo ha avuto la necessità di fare scelte per salvare il Paese ci ha chiamato, adesso che ci sono le risorse ci aspettiamo lo stesso comportamento. In questo momento le perdite di posti di lavoro, che ci sono state tra precari, soprattutto giovani, e interinali, a cui vanno aggiunte le mancate assunzioni degli stagionali, sono comunque limitate soltanto grazie al blocco dei licenziamenti.
Eleonora Terrosi