Quale strategia di sviluppo sta alla base della politica industriale della Regione?
La Regione Toscana ha definito le sue strategie nel Piano regionale di sviluppo, in coerenza con le politiche dell’Unione europea, nel quadro della strategia di Lisbona (società dell’informazione) e di Goteborg (sostenibilità dello sviluppo). Quindi, il nostro è un processo di sostegno ai settori manifatturieri, concentrati nelle aree di distretto industriale, che intende favorire i percorsi di innovazione e di trasferimento della ricerca e le azioni di miglioramento dei processi produttivi, messe in atto dalle imprese. Ma non solo questo, noi agiamo anche su un altro versante. La riorganizzazione su base mondiale dei processi di produzione rende infatti necessario mettere in campo politiche di sostegno alla internazionalizzazione del sistema produttivo regionale, migliorandone la capacità competitiva sui mercati internazionali, non solo dal punto di vista commerciale ma anche qualitativo.Infine, operiamo per il miglioramento dei fattori di contesto, attraverso il sostegno alla realizzazione delle infrastrutture materiali ed immateriali, che determinano vantaggi competitivi in relazione ai fattori di localizzazione delle imprese.
A tutto questo si lega il problema dell’occupazione, della sua qualità e delle sue prospettive.
Il nuovo Patto per lo sviluppo, sottoscritto dalla Regione con le forze sociali ed economiche, in coerenza con le strategie regionali, pone al centro della propria riflessione e dei propri interventi la qualità del lavoro. In questo ambito considero particolarmente significativa la promozione delle forme di certificazione sociale, ambientale ed etica, che qualificano le politiche e lo sviluppo da un punto di vista della qualità dei processi economici. Questo può non essere sufficiente, anche nel quadro di una analisi dello sviluppo territoriale che vede l’attuazione di percorsi di delocalizzazione dall’Unione europea verso i Paesi nuovi aderenti e verso Paesi del Sud Est asiatico. La capacità dei distretti di permanere come “testa pensante” sui nostri territori, così come di diversificare, innovando continuamente le produzioni per renderle competitive, diviene l’asset principale delle nostre future politiche. Al momento, la Regione ha delle buone performance in termini di occupazione, sia pur con alcune diversificazioni per territori. La possibilità di confermare tali indicatori dipende da una serie di fattori, di cui le politiche regionali sono una componente significativa. Il fare sistema si deve estendere a tutti i processi decisionali territoriali, delle autonomie funzionali, del settore privato, fondazioni bancarie comprese, e deve riguardare l’allocazione del complesso delle risorse disponibili.
Anche le politiche di sviluppo hanno bisogno di innovazione?
Certamente, anche qui si deve innovare, avere fantasia, predisporre interventi, probabilmente sperimentali, finalizzati a favorire processi di accorpamento e/o di crescita dimensionale delle imprese, oppure la creazione di reti “corte” imprese/università per migliorare il trasferimento di innovazione. Ovviamente, a nuovi processi e nuove tecnologie devono corrispondere adeguate capacità professionali, costantemente al passo con le necessità. Non sempre è facile, ma tramite la pratica della concertazione, socio-economica ed istituzionale, è possibile condividere, oltre che i problemi, anche possibili forme di intervento, almeno nelle linee generali, rispetto ai fabbisogni delle imprese e del mondo del lavoro.
Come funzionano i vostri rapporti con le parti sociali? Praticate la concertazione, e con quali risultati?
La politica regionale si fonda sulla concertazione, perché essa fa parte del Dna della Toscana. La governance della regione trova nella concertazione il suo snodo essenziale. Il percorso è complesso, per l’ampiezza dei soggetti e degli interessi che rappresentano, ma qui si misura la capacità della Regione e del sistema delle autonomie locali, in cui si sta sempre più articolando il processo decisionale, di dare conto del processo concertativo, di fare sintesi, e di assumere le relative e conseguenti responsabilità. L’indirizzo politico si attiva mediante la formalizzazione dei processi partecipativi esterni alle istituzioni: per fare questo occorre fissare fin dall’inizio le modalità di tale partecipazione e delle forme attraverso le quali si assumono le decisioni. Nel rispetto dei ruoli e dei livelli di responsabilità. In passato si è molto polemizzato sul significato da attribuire alla concertazione; in Toscana si è pervenuti alla definizione e sottoscrizione del Nuovo Patto per lo Sviluppo e la buona occupazione, che ha individuato nuovi obbiettivi e concordato strumenti operativi, responsabilizzando i diversi soggetti deputati alla realizzazione di questa intesa di alto valore, senza cadere nel rischio della consociazione. Concertazione, quindi, come assunzione di responsabilità, non smarrimento della rappresentanza.
La lunga esperienza di sindacalista le è servita nel nuovo mestiere?
La pratica delle relazioni sindacali e della negoziazione è un’ottima palestra. E’ pur vero che non sempre i mestieri sono intercambiabili, per quanto quello del politico e dell’amministratore lo intenda, per la mia storia, come un servizio piuttosto che come un vero e proprio mestiere. Nel fare sindacato, così come nel fare politica, occorre sempre avere la capacità di relativizzare e di perseguire il raggiungimento di un punto di equilibrio. Soprattutto, occorre un grande rispetto per i propri interlocutori. Guai se si dovesse procedere per tentativi, magari reciproci, di delegittimazione degli altri punti di vista, solo perché diversi. La rappresentanza di interessi diversi non impedisce, anzi impone, la ricerca della mediazione, per poi assumere, ciascuno nel suo ambito, le proprie responsabilità. E questo è il contrario del consociativismo.
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