In Piemonte, per dire “Siamo in difficoltà” dicono “Siamo nelle curve”. Ecco, al secondo incontro, svoltosi oggi a Roma, si può dire che la trattativa per il contratto nazionale dei metalmeccanici è già “nelle curve”. Quindi non solo in salita, come può capitare a chi si muova in una regione non priva di montagne come quella sopra richiamata, ma anche in una salita marcata da difficoltà aggiuntive.
Qui bisogna dire che al termine dell’incontro, svoltosi oggi presso la sede nazionale della Confindustria, all’Eur, i protagonisti della trattativa sono stati abbastanza abbottonati. E bisogna anche sapere che l’assommarsi di uno sciopero dei mezzi di trasporto pubblici con la decisione di imporre nella Capitale due giorni di targhe alterne (oggi circolavano solo le auto con ultimo numero pari), ha reso il quartiere dell’Eur quasi irraggiungibile anche per i giornalisti.
Da dove si ricava, allora, questa sensazione di difficoltà già fortemente percepibile, rispetto a un negoziato appena iniziato? Da una serie di indizi.
Il primo di questi indizi è costituito dall’incipit della dichiarazione rilasciata da Marco Bentivogli, il giovane e combattivo segretario generale della Fim-Cisl. “A un mese dal primo incontro – afferma Bentivogli – riteniamo che Federmeccanica debba recuperare lo spirito che portò alla firma degli ultimi due rinnovi nel 2009 e nel 2012”, ovvero di due contratti firmati “a crisi già conclamata”. Il che significa, a occhio e croce, che, per il leader della Fim, quello spirito Federmeccanica non ha ancora mostrato di averlo nelle presenti circostanze.
Il secondo indizio lo si ricava da un paio di passaggi contenuti nella dichiarazione rilasciata, dopo l’incontro, da Rocco Palombella, segretario generale della Uilm-Uil. Primo passaggio: “Le posizioni tra le parti sono difficilmente conciliabili”. Secondo passaggio: “Così non si va lontano”. Un concetto, quest’ultimo, rafforzato dalle ultime parole della dichiarazione: “Bisogna rinnovare il contratto. Ma per farlo è utile partire col piede giusto”.
Ora non si creda che queste di Bentivogli e Palombella siano semplici dichiarazioni di prammatica, di quelle che si fanno all’inizio di un negoziato per conquistare una posizione di forza. In realtà, già all’inizio della trattativa, avviatasi il 5 novembre, si è subito palesato un problema non facilmente superabile. Quale sia lo ha spiegato ancora Palombella: “Il confronto fin da subito s’è fatto aspro perché gli imprenditori metalmeccanici ci hanno chiesto di definire un salario minimo di garanzia con la previsione di aumenti di fatto solo per il 5% della categoria.” Incalza Bentivogli: “Siamo disponibili a discutere di salario minimo di garanzia, solo se questo non eroderà la platea dei metalmeccanici interessati dai minimi salariali fissati dal Contratto nazionale” e se “consentirà di difendere e ampliare i due livelli contrattuali, marcando con maggiore nettezza la diversità delle funzioni dei diversi livelli”.
Di che cosa stiamo parlando? Qui il cronista deve essere prudente perché è un fatto che Federmeccanica non ha ancora formalizzato in un testo scritto una proposta che, fin qui, si è limitata a illustrare in termini generali alle controparti, sedute dall’altra parte del tavolo. Pare comunque certo che Federmeccanica abbia avanzato la proposta di introdurre nel processo di “rinnovamento” del contratto nazionale, che ritiene ormai necessario, un nuovo concetto: quello di “salario di garanzia”. Che non va confuso col “salario minimo garantito” e, secondo i sindacati, rischia, quanto meno, di impattare negativamente con i minimi salariali.
Perché? Ricorriamo a un altro dei nostri indizi, ricavato, questa volta, dal mondo dei social media. Raffaele Apotino, della Fim-Cisl Campania, ha lanciato un tweet con cui mette in bocca a Bentivogli la seguente affermazione: “I minimi contrattuali sono già minimi di garanzia al di sotto di cui non si può scendere”.
Infatti, la funzione più tipica dei contratti nazionali, è quella di fissare i minimi retributivi per i diversi livelli dell’inquadramento professionale dei lavoratori di una data categoria.. Si tratta dei famosi “minimi sindacali”, quelli che fissano, appunto, il minimo della retribuzione derivante dal contratto nazionale per i lavoratori collocati su un dato livello dell’inquadramento. Minimi al di sotto dei quali è impossibile scendere. Ma anche minimi che possono crescere grazie a cifre derivanti da altre fonti, quali eventuali scatti di anzianità, la contrattazione collettiva aziendale e la contrattazione individuale. Cifre definite nel gergo sindacale, in questi ultimi due casi, “superminimi”.
Ebbene, quando si rinnova un contratto, in genere, i minimi salariali vengono ritoccati aritmeticamente all’insù. Anche se poi ciò che determina la crescita o la decrescita del reddito da lavoro di un operaio o di un impiegato non è tanto la crescita del cosiddetto salario “nominale”, quanto l’eventuale crescita del suo potere di acquisto. Una crescita, o una decrescita, derivanti, a loro volta, dal rapporto tra una data retribuzione e il livello generale dei prezzi.
Finito il ripasso economico-sindacale, torniamo a bomba. E cioè alla proposta di Federmeccanica. A quanto si comprende, il suo nuovo “salario minimo di garanzia” dovrebbe consistere in una cifra, definita per un dato livello di inquadramento, che, grazie al contratto nazionale, farebbe crescere il salario solo per quei lavoratori che, al momento del rinnovo, avessero una retribuzione individuale ad essa inferiore. Il problema, per i sindacati, nasce dal fatto che Federmeccanica intenderebbe riferirsi, con la dizione “retribuzione individuale”, al salario di fatto di cui gode un determinato lavoratore. In pratica, la “retribuzione individuale” sarebbe equivalente alla somma del salario derivante dal precedente contratto nazionale con le altre voci retributive sopra ricordate.
La novità della proposta progettata da Federmeccanica sarebbe dunque questa: i minimi salariali fissati dal prossimo contratto non determinerebbero degli aumenti del salario nominale che andrebbero ad irrobustire i minimi derivanti, per tutti i metalmeccanici, dal contratto precedente. Al contrario, i nuovi minimi “di garanzia” determinerebbero aumenti salariali solo per quei lavoratori la cui retribuzione di fatto, tolti gli eventuali elementi variabili, risultasse inferiore ai nuovi minimi.
A questo punto del ragionamento, siamo in grado di comprendere, almeno in via di ipotesi, perché Palombella abbia dichiarato, come sopra riportato, che il “salario minimo di garanzia” potrebbe, nei fatti, comportare aumenti “solo per il 5% della categoria”. O perché la Fiom-Cgil abbia scritto, in un suo comunicato diffuso in serata, che, con la proposta di Federmeccanica, “eventuali aumenti salariali definiti a livello nazionale non sarebbero più erogati a tutti”, ma “solo a una minoranza delle lavoratrici e dei lavoratori”.
Nella sua dichiarazione, Bentivogli ha poi sollevato un secondo problema, relativo non ai contenuti ma ai tempi della trattativa. “Federmeccanica – osserva il leader della Fim – sostiene di puntare al rinnovo per fine anno.” Se questo è l’obiettivo, afferma Bentivogli, “il calendario della trattativa va reso immediatamente più serrato”. Fatto sta che il prossimo incontro è stato fissato per martedì 22 dicembre, ovvero per una data collocata a ridosso delle feste di fine anno. A ciò si aggiunga che, come si può leggere ancora nel comunicato Fiom, Federmeccanica ha annunciato che, in questo prossimo incontro, “presenterà una propria proposta complessiva”.
Fermo restando che, a questo punto, appare difficile immaginare che la trattativa possa concludersi positivamente entro la fine di dicembre, l’incontro del 22 si prospetta come davvero importante.
@Fernando_Liuzzi