Chi lo vuole “manifatturiero e molto internazionale” e chi lo pretende “autorevole e carismatico”. Chi cerca il “profilo etico” e chi “evidenti doti di esperienza, indipendenza, e autonomia”. Chi sottolinea che non deve per forza essere “né manifatturierio né del nord”, ma piuttosto “capace di fare il presidente per quattro anni”, e chi esige “ visione strategica’’ e ‘’riconosciute doti di leadership”. In attesa che gli autocandidati scoprano le loro carte (al momento sono in campo solo Aurelio Regina e Alberto Vacchi: quest’ultimo ha anche formalizzato la candidatura presso i Saggi, Regina non ancora, ma tutte dovranno arrivare entro la mezzanotte del 15 febbraio) l’apparato di Confindustria si diletta a tracciare il ritratto del futuro presidente. Ciascuno tirando acqua al proprio mulino: senza fare nomi, per -come si usa dire – “non bruciarli”, lasciando però intendere per chi sarebbero disposti a votare. Stando ai primi identikit, comunque, il successore di Giorgio Squinzi dovrebbe essere un incrocio tra un super eroe e un guerriero Jedi. Ma c’è anche chi, in netta controtendenza, sostiene che non occorre puntare così in alto: essendo un presidente di Confindustria, alla fine, più che altro un politico.
I primi a lanciarsi del gioco del presidente ideale sono stati nei giorni scorsi i gruppi dirigenti di Assolombarda e Confindustria Emilia Romagna, oggi seguiti a ruota dalla Lombardia, dall’associazione di Roma e Lazio, da un battitore libero come Paolo Scaroni, già presidente Eni, e perfino dai Saggi stessi. Con una lettera agli associati, infatti, Adolfo Guzzini, Giorgio Marsiaj e Luca Moschini, chiedono “la collaborazione di tutti perché emergano candidature motivate, profili etici indiscutibili, supportate da visione e qualità dei propositi programmatici e da evidenti doti di esperienza, indipendenza, autonomia e potenzialità personali: tutti requisiti necessari per essere all’altezza del ruolo di massima rappresentanza dell’industria italiana e delle sue imprese, insieme al compito di far crescere ulteriormente la reputazione della nostra confederazione in Italia e all’estero”. Insomma: astenersi perditempo, incapaci, e inquisiti.
Ma la sorpresa di giornata e’arrivata dalla Lombardia. Secondo i rumors, era atteso un pronunciamento dell’associazione regionale per Marco Bonometti, presidente di Bergamo, che a sua volta avrebbe dovuto sciogliere la riserva e presentare la propria autocandidatura. Invece, dalla riunione del gruppo dirigente lombardo e’ uscito un comunicato senza nome: “Il Consiglio di presidenza di Confindustria Lombardia –spiega la nota- ha deciso di non indicare un nome. Una volta rese ufficiali tutte le candidature e i relativi programmi, si riunirà nuovamente per valutare un’eventuale posizione comune”. Per la confederazione lombarda, il nuovo leader dovrà comunque essere “un imprenditore/imprenditrice autorevole e carismatico, espressione di una realtà manifatturiera con forte propensione all`internazionalizzazione, di visione strategica di lungo periodo e riconosciute doti di leadership”. Il suo primo compito dovrà essere “individuare tempestivamente pochi temi prioritari, sui cui concentrare l`azione del proprio mandato” e cioè: “politica fiscale, digitalizzazione dell`economia, innovazione, liberalizzazione dei servizi”. Ma soprattutto, dovrà essere “capace di far superare la diffusa cultura anti industriale oggi presente nel paese”. Di fatto, quasi un gemello del presidente richiesto da Assolombarda, e che esclude dalla corsa almeno uno dei due candidati in campo, cioè Aurelio Regina.
In soccorso di Regina e’ però sceso in campo con decisione Maurizio Stirpe, presidente dell’Unione industriali di Roma e del Lazio, una delle più potenti d’Italia, dove siedono tra l’altro tutte le principali aziende di servizi del paese. Per Stirpe, “il futuro presidente di Confindustria non deve essere espressione né di una elite settoriale, né di una elite territoriale”, perché “al sistema Confindustria appartengono imprese manifatturiere, certo, ma anche imprese provenienti dai settori più svariati e da più parti del paese”, e il futuro presidente “dovrà avere la capacità di fare sintesi degli interessi di tutti”. Quindi, per farla breve: “non necessariamente un imprenditore manifatturiero, non necessariamente del nord d’Italia, ma che abbia la capacità di fare il presidente di Confindustria per i prossimi anni”.
Sul gioco delle caratteristiche richieste a un buon leader degli industriali entra però a gamba tesa Paolo Scaroni, già presidente Eni e secondo alcuni possibile candidato a sorpresa dell’ultimo minuto. Cosa che nega con forza, e vedremo perché. Intanto, afferma Scaroni, nessuna delle doti elencate fin qui occorre davvero, anzi, caso mai il contrario: “tutte le qualità che fanno un grande imprenditore sono le stesse che non servono per fare il presidente di Confindustria. Il grande imprenditore è una persona concreta, pragmatica. Il presidente di Confindustria è invece un mestiere da politico, è un mestiere da lobbista: e quindi le qualità richieste sono molto diverse”. Inoltre, ha aggiunto Scaroni, oggi Viale dell’Astronomia conta ormai ben poco: “i fasti della Confindustria del passato, quando la nomina del presidente era il titolo di prima pagina sul Corriere, sono un po’ dietro di noi”. Confindustria, spiega, ha avuto per anni un ruolo molto forte (peraltro come i sindacati ) solo perché la politica era debole; ma oggi che la politica e’ tornata a occupare la scena, l’associazione “serve molto meno”. Quindi, perché mai Scaroni dovrebbe lasciare Londra, dove ricopre il dorato incarico di Deputy Chairman di Banca Rothschild, per tornare a Roma-Eur?
Nunzia Penelope