Con una intervista a Maurizio Landini il Diario conclude la breve inchiesta sulla mutazione della Fiom da sindacato a movimento. Il segretario generale boccia i sospetti di movimentismo, nega di avere in mente la politica, lancia la sua proposta di riforma dei contratti e ribadisce che non ha alcuna intenzione di uscire dalla Cgil, malgrado le tensioni con gli attuali vertici.
Landini, la Fiom si sta trasformando da sindacato in movimento?
Assolutamente no, mi sembra una caricatura storicamente sbagliata. La Fiom nasce 110 anni fa come un sindacato non di mestiere, scegliendo di rappresentare tutto il lavoro metalmeccanico. Ha sempre avuto una visione generale, partendo dalla contrattazione della condizione dei lavoratori, ma avendo anche un progetto politico generale di cambiamento della società. Non vedo novita’, in questo, ma una continuità.
Negli anni scorsi questo carattere generalista non era così accentuato. Si delegava questo compito alla confederazione?
No, non mi pare che sia stato così. il rapporto tra Fiom e Cgil è stato sempre molto dialettico, con livelli di asprezza superiori a quelli di oggi. La verità è che la radicalità espressa dalla Fiat e dal sistema delle imprese in genere ha tolto spazio al sindacato che voleva svolgere la sua normale contrattazione. Del resto anche Cisl e Uil stanno cambiando il modo di svolgere l’azione sindacale, gestendo assieme alla controparte, attraverso la bilateralità, importanti funzioni.
La Fiom viene descritta come il sindacato che non fa accordi.
Non li fa con la Fiat, ma in questi mesi abbiamo siglato migliaia di accordi, anche in situazioni di grave crisi, dimostrando che alla globalizzazione si risponde non solo tagliando diritti o limitando il diritto di sciopero.
Perché non con la Fiat?
Perché la Fiat ha negato alla radice la possibilità di contrattare. Ha solo presentato le sue tesi chiedendo che fossero accettate cosi’ come erano. Da Pomigliano in poi è stato un crescendo di indisponibilità a trattare, alzando sempre l’asticella ogni volta che si raggiungeva un punto.
Secondo voi perché la Fiat si comporta così? Forse per crearsi un alibi e lasciare l’Italia?
Da un anno mi sto convincendo che questa sia la ragione. Del resto, finora dei 20 miliardi promessi, la Fiat ha investito solo 450 milioni, mentre chiude stabilimenti e comunque non investe in Italia, ma in Brasile. Forse la Fiat cerca un capro espiatorio e pensa che la Fiom possa svolgere questo ruolo. Ma noi non abbiamo posizioni estremistiche, chiediamo semplicemente che chi produce in Italia applichi le leggi esistenti in Italia. Riconosco a Marchionne chiarezza e coraggio, ma ha in mente un sindacato diverso da quello che c’è da noi, pensa a un sindacato all’americana, unico, mentre nel nostro paese vige il pluralismo.
Sta di fatto che proprio partendo dalla vertenza Fiat di un anno fa su Pomigliano avete accentuato l’aspetto movimentista della categoria.
E’ accaduto, semplicemente, che trattando di diritti abbiamo riaperto una grande discussione sul lavoro in tutto il paese. C’era un vuoto, l’abbiamo riempito.
La Cgil non trattava questi temi generali?
Diciamo che venivano trattati solo da Cgil e Fiom.
Qualcuno dice che accelerando sul piano movimentista perdete di vista l’azione sindacale.
E’ vero il contrario. Il punto è che il sindacato, così com’è, in Italia, ma anche in Europa, non va più bene. Diminuiscono ovunque gli iscritti, i sindacati di indeboliscono, si pone un problema di cambiamento.
In quale direzione?
In questi mesi, incontrando giovani, studenti, precari abbiamo visto una generazione diversa, non ideologizzata, ma ferma nel chiedere un cambiamento, anche del sindacato. Nel concreto, secondo me, una delle prime cose da fare e’ il contratto dell’industria: questo consentirebbe di risolvere l’attuale frammentazione e nello stesso tempo consentirebbe di rafforzare la contrattazione di secondo livello senza indebolire i lavoratori e i loro diritti. Io penso a una riforma in tre aree contrattuali: servizi e commercio, pubblico impiego e scuola, e industria, in senso molto lato di tutto cio’ che e’ manifatturiero. Poi, all’interno di queste tre aree, ci sarebbe spazio per la contrattazione di secondo livello, aziendale, di sito, di filiera, ecc.
Cos’altro cambiare?
Forse la rappresentanza. Adesso si va verso le Rsa, ma queste sono un passo indietro, sono nominate dai sindacati, non elette dai lavoratori.
Preferite le Rsu, quelle uscite dall’accordo del 1993?
Anche quelle forse non vanno più bene. Ci sarà un motivo se le aziende preferiscono avere rappresentanze molto più diffuse sul luogo di lavoro, se nominano un team leader ogni 10-15 lavoratori; invece il sindacato, con le Rsu, finisce per avere magari un solo rappresentante per centinaia di lavoratori. Proporre soluzioni di questo genere, a mio avviso, non e’ certo movimentismo, e’ fare sindacato, un sindacato diverso.
Perche’ ritiene cosi’ urgente un cambiamento?
Perché siamo in un momento di passaggio. La politica non è stata capace di guardare a queste cose, il tema del lavoro e’ rimasto in questi anni troppo sullo sfondo. Ma oggi i rapporti di forza si sono alterati e non è possibile lasciar correre, c’è troppa sperequazione. Le fabbriche sono governate sempre più in maniera autoritaria, ma serve anche il consenso o alla fine salta tutto.
Anche la vostra scelta della via giudiziaria, il ricorrere molto spesso alla magistratura, è stata criticata come un abbandono dell’azione sindacale.
Andare davanti a un giudice è normale, le cause di lavoro esistono da sempre.
Ma ci si rivolge a un giudice per la lesione di un diritto, non se non riesco a non fare un accordo.
C’è un problema sul piano contrattuale. Abbiamo avuto 50 anni di unità sindacale, ma adesso è saltata, e non si sa come comportarsi. Per questo io dico che servirebbe una legge per definire i comportamenti in caso di disaccordo tra i sindacati.
Perché una legge e non un accordo tra le parti?
Intanto perché le parti non si mettono d’accordo. Inoltre, io credo che certi diritti debbano andare in capo direttamente ai lavoratori. L’accordo interconfederale di fine giugno non ha risolto il problema, non fa votare i lavoratori se non in casi estremi. La regola della maggioranza vale solo per le Rsu, decide la maggioranza delle Rsu e non i lavoratori.
La Cgil dice che il referendum dei lavoratori è previsto dall’accordo.
No, solo dove ci sono Rsa, cioè dove i lavoratori non votano i propri rappresentanti. Negli altri casi sono le categorie che devono trovare un accordo. Ma se non lo trovano? Ecco che si torna a capo. Per questo penso che sia necessaria una legge, che vale per tutti.
Lei dice che con la Cgil c’è sempre stata dialettica, ma ora sembra che si addensino nubi di tempesta.
Siamo in una fase dialettica. Penso che sull’accordo interconfederale la Cgil abbia sbagliato, ha costretto a esprimersi con un si o un no su un testo già definito, non modificabile. Avrei auspicato un maggiore coinvolgimento di persone e categorie.
Ma la segreteria aveva il mandato del direttivo.
Ma anche su questo non c’e’ stata possibilita’ di scelta. A fronte di un aumento della complessita’, non puo’ esserci una gestione dell’organizzazione autoritaria o a maggioranza. Non e’ nella storia e nella tradizione della Cgil.
Anche sulla consultazione dei lavoratori non c’è uguale punto di vista tra voi e la confederazione.
La Cgil vuole che si sentano solo gli iscritti. Noi invece sentiremo tutti i metalmeccanici, anche perché li consultiamo sulla piattaforma contrattuale che verrà votate il 22 settembre. Poi riferiremo alla Cgil come hanno votato gli iscritti.
Ma c’è il pericolo che si arrivi a uno scontro finale tra confederazione e categoria?
No, dal mio punto di vista, no. E’ solo un contendere sindacale, non di poteri interni. Io dalla Cgil non ho alcuna intenzione di andar via. Anzi, penso di essere io la Cgil, di essere più in linea di altri. Sostengo queste mie idee e per quanto mi riguarda rispondo ai metalmeccanici.
Alcune forze politiche, soprattutto a sinistra, guardano con interesse alla Fiom. Forse pensano che possa essere una buona base elettorale? E lei, Landini, alla politica ci pensa?
L’idea che la Fiom possa farsi promotore di un partito e’ sbagliata. Se dicessimo ai lavoratori come votare ci manderebbero a stendere…. Molti dei nostri iscritti, poi, non sono affatto di sinistra. E dunque, chi facesse un calcolo del genere sbaglierebbe. No, non c’e’ mai stata, nella mia testa, alcuna idea di dare vita a un movimento politico. Noi ci limitiamo a colmare un vuoto: sinistra compresa, in questi anni la politica ha trascurato il lavoro. Noi lo abbiamo recuperato.
Massimo Mascini e Nunzia Penelope