Non c’è mai stato un gran feeling tra Matteo Renzi e la Confindustria: l’ennesima prova è nell’assenza del premier alle assise annuali degli industriali, domani a Milano. Per la prima volta, l’assemblea generale si terrà in trasferta, nei padiglioni dell’Expo. Oltre duemila gli ospiti in platea, ma tra loro, appunto, non ci sarà Renzi. Che, come già lo scorso anno, preferisce farsi notare per la sua assenza, o meglio: per la sua presenza in un contesto simile, ma in un luogo diverso. Nello specifico, domani sarà a Melfi, assieme a Sergio Marchionne, in visita alla FCA. Uno sgarbo analogo a quello del 2014, quando diede forfait alla cerimonia confindustriale, ma poco tempo dopo accettò un invito all’assemblea della Confindustria di Bergamo, seguita da una visita allo stabilimento Dalmine del Gruppo Tenaris, di proprietà di Gianfelice Rocca, presidente di Assolombarda. Ma quest’anno la scelta di Renzi ha un significato ancor più simbolico: Marchionne, infatti, è stato il primo a dare l’addio alla Confindustria, scegliendo di giocare come battitore libero fuori dalle pastoie confindustriali. Un uomo solo al comando, anche lui, come il premier.
La tecnica renziana è infatti simile, e rientra perfettamente nella linea del personaggio: mai accanto alle burocrazie d’apparato, di qualunque genere (non si è mai fatto vedere nemmeno a una assise sindacale, per dire), ma, in compenso, sempre vicino all’impresa “che produce”, agli uomini del fare, per dirla con Berlusconi. Il Cavaliere, però, alle cerimonie confindustriali ha sempre partecipato, facendosi notare con discorsi spesso fuori dagli schemi, non sempre appropriati. Un paio di esempi. Nel 1994, anno primo del suo governo, di fronte alla nomenclatura di viale dell’astronomia sostenne che il programma, appena illustrato dall’allora presidente Luigi Abete, era “’copiato” pari pari da quello di Forza Italia. Apriti cielo: Abete riprese quasi a forza il microfono per sottolineare che, nel caso, era il programma di Forza Italia ad essere stato copiato da quello confindustriale. Incidente diplomatico che non fu mai sanato. Nel 2009, invece, Berlusconi colse l’occasione per definire “velina” la presidente Emma Marcegaglia: una boutade delle sue, che fece scendere una coltre di gelo sulla platea.
In generale, tutti i premier – di sinistra o di destra – hanno sempre preso parte all’appuntamento annuale degli industriali: Prodi, che pure non è mai stato amato da quella platea, Letta (amatissimo, invece), D’Alema, Amato, eccetera. Renzi ha interrotto la tradizione, lasciando al solo ministro dell’Industria il compito di rappresentare l’esecutivo. E domani, a Milano, toccherà a Federica Guidi, per la seconda volta, parlare di fronte ai suoi ex colleghi, in quella che lo scorso anno, da imprenditrice ed ex presidente dei Giovani Industriali, definì una sorta di “casa” in cui tornare con “emozione”.
Domani sarà anche l’ultima assemblea di Giorgio Squinzi: il prossimo anno, sul podio salirà infatti il nuovo presidente. Sul nome del successore c’è la nebbia più assoluta.La partita per la nuova presidenza, ufficialmente, deve ancora aprirsi ma verrà giocata con le nuove regole introdotte dalla riforma Pesenti, in base alla quale il nuovo leader sarà eletto dall’assemblea su proposta del Consiglio generale, l’organismo che ha sostituito la Giunta. Come al solito, la rosa dei possibili candidati è molto ampia: dopo il forfait di Gianfelice Rocca (a lungo dato per papabile, ma recentemente pare che abbia cambiato idea), si parla anche di Aurelio Regina, già vicepresidente con Squinzi, ma poi entrato in rotta di collisione e da un anno dimissionario dalla carica, e dello stesso Carlo Pesenti, autore della riforma. Tuttavia, il nome che oggi in molti danno per più accreditato è quello di Antonella Mansi, pupilla di Squinzi, già al Monte dei Paschi, e ora di ritorno nell’associazione si dice proprio per assumerne, in prospettiva, la guida, con la benedizione del presidente uscente. Il quale, domani, di fronte alla platea radunata all’Expo, rilancerà ai sindacati la proposta di riformare la contrattazione, sulla base del progetto già presentato un anno fa a Cgil, Cisl e Uil, e, guarda caso, incredibilmente simile a quel “contratto Fiat” realizzato da Marchionne, che stabilisce la non sovrapponibilità dei livelli di contrattazione e il legame diretto e inscindibile fra retribuzioni e produttività. Sarà interessante vedere che risposta avrà l’appello di Squinzi. La Cgil ha già detto di non essere interessata, Cisl e Uil sono più possibiliste. Un ruolo in questa partita potrebbe averlo però anche il governo stesso, attraverso un intervento legislativo. Magari nell’ambito di una legge sulla rappresentanza, tema sul quale Renzi ha già annunciato di essere favorevole.
Nunzia Penelope