Il sindacato e’ a una svolta, una delle tante nella sua lunga storia, sicuramente una delle piu’ difficili. Messo ai margini dalla politica, sconta l’accusa di aver difeso solo ‘’diritti acquisiti’ e ignorato del tutto i problemi delle nuove generazioni. Ma la disaffezione e’ generalizzata e diffusa. Il Diario del lavoro ha dedicato al tema la seconda puntata di Duel, mettendo a confronto due dirigenti sindacali che, nell’accezione ampia del nostro paese, si possono definire ‘’giovani’’: Alessandro Genovesi, segretario generale della Cgil Basilicata, e Marco Bentivogli, da poco leader della Fim Cisl, moderati dal direttore del Diario, Massimo Mascini.
Entrambi attorno ai quarant’anni, al di là delle differenze dovute ai diversi schieramenti, Genovesi e Bentivogli hanno del ruolo del sindacato una visione molto simile. Ecco la sintesi del dibattito, che si può vedere integralmente sul nostro sito.
Il sindacato, dunque, è nemico o no dei giovani? E’ o non e’ un baluardo solo per i diritti acquisiti? Ammette Genovesi: “di patto intergenerazionale si e’ parlato molto, ma e’ solo di facciata: tutte le riforme del welfare e del lavoro in questi anni sono state scaricate sulle nuove generazioni”. Quanto alla difesa dei cosiddetti ‘’diritti acquisiti’, anche qui il dirigente Cgil ha qualche dubbio: “di fatto, si tratta di diritti per pochi: mi chiedo come si possa definire diritti acquisiti quelli relativi a una platea così ridotta”. La verità, dice a sua volta Bentivogli, “ e’ che oggi sul monitor del sindacato ci sono troppi invisibili”. Ma non e’ solo colpa dei sindacati. “Noi –dice ancora Genovesi- stiamo pagando il fatto che la debolezza della politica ha costretto il sindacato a un ruolo di supplenza, lo ha fatto diventare il luogo dove si scaricano le esigenze di rappresentanza che prima erano dei partiti, della politica. La Cgil, in particolare, e’ diventata il sostitutivo della politica dei partiti. Ma con il ritorno della politica forte, quella di Renzi, per intendersi, cambia il quadro, e ci costringe a interrogarci, per esempio, su come governiamo certe contraddizioni. Per fare un esempio concreto: la Cgil ha 6 milioni di iscritti, 4 dei quali votano Pd: oggi, noi chiediamo a questi iscritti di scioperare contro il partito che hanno votato”.
Forse anche per questo si e’ riscontrata una cosi’ bassa affluenza elettorale in Emilia Romagna, tradizionale roccaforte sia del Pd che della Cgil? “Ma no: se bastasse un contrordine dei sindacati perché la gente tornasse a votare, lo daremmo immediatamente. Quello che ha pesato, piuttosto, e’ la crisi economica e sociale, ma anche il fatto che Renzi non riconosce i corpi intermedi: non solo i sindacati, nemmeno i sindaci, o i governatori delle regioni. E’ questo che crea disaffezione. E nel contempo però ci indica anche la via d’uscita: recuperare il dialogo, il confronto, la partecipazione, e ricostruire così un collegamento sano tra la politica e la società”.
Concorda Bentivogli: ‘’la penso come Genovesi, il rapporto di Renzi con i corpi intermedi e’ assolutamente non condivisibile. Per quanto riguarda lo sciopero, però, sono assolutamente convinto che la Cgil stia sbagliando. Renzi pone una sfida al sindacato: può essere condivisbile o meno, ma proclamare uno sciopero in questo modo e’ un boomerang. Uno sciopero che arriva dopo l’approvazione della legge contro cui sciopera, ha ancora meno senso. Può addirittura indebolire il sindacato: la gente farà il conto del dare/avere, si chiederà cosa ha ottenuto di più con lo sciopero, e se non avrà ottenuto nulla ne trarrà le conseguenze”. Senza contare il rischio flop: ‘’negli ultimi scioperi proclamati dalla Fiom – insiste il leader Fim- le adesioni sono state bassissime, con percentuali sotto il 14%. Io credo quindi che da questo sciopero Renzi e il suo governo ne usciranno rafforzati”.
Replica Genovesi: “lo sciopero del 12 non e’ politico, anzi: scioperi ne ho visti tanti, se ce n’e’ uno squisitamente sindacale e’ proprio questo. Vero che il 12 dicembre il jobs act sara’ gia’ stato approvato, ma la nostra protesta servirà a fare pressione in vista dei decreti legislativi. E se, come pare, il governo non e’ intenzionato a confrontarsi nemmeno su quelli, be’, ricordo a Bentivogli che spesso gli scioperi si fanno proprio per conquistare un tavolo di confronto. Per questo, rovescio la questione: credo che sia la Cisl a sbagliare, non aderendo alla protesta: c’e’ una domanda forte, dal mondo del lavoro, perche’ si interrompa questa continua compressione dei salari e dei diritti, e richiede una risposta. Noi, con lo sciopero, puntiamo anche ad accumulare consenso su una piattaforma che non finira’ col 12 dicembre. E mi auguro che in seguito, a gennaio, a febbraio, ci siano le condizioni per iniziative unitarie”.
I terreni su cui rilanciare l’iniziativa delle tre confederazioni, del resto, non mancano: politica industriale, politica fiscale, energia, per esempio, sono argomenti cruciali. Ma il sindacato sui grandi temi sembra non riuscire ad essere incisivo. La scorsa primavera, per dire, i consigli generali unitari, riuniti per la prima volta dopo anni, avevano lanciato una piattaforma che avrebbe dovuto servire da rampa di lancio per una grande vertenza nazionale su pensioni e fisco. Che però non e’ mai nemmeno iniziata. Ammette Bentivogli: “si, e’ stato un esempio negativo. Il problema e’ che si impiegano mesi e mesi per stendere una piattaforma unitaria, altri mesi per fare le assemblee, e altri ancora per presentarla al governo. Ma a quel punto il governo ha gia’ fatto altro, o addirittura e’ cambiato il governo. Occorre essere più tempestivi e rapidi nel coinvolgere la gente. E poi, diciamoci la verità: Renzi, con gli 80 euro in busta paga, ha smontato e reso superflua la nostra piattaforma sul fisco”.
Da cosa e come ripartire, dunque? “Innanzi tutto –risponde Bentivogli- con tempi che guardino alla realtà del 2014, e non con quelli di 20 anni fa. Il rapporto con la gente e’ fondamentale, come argine ai populismi, ma occorre ridurre i tempi del coinvolgimento. Inoltre, dobbiamo essere più pragmatici e coraggiosi nelle risposte. Nella nostra piattaforma sulle pensioni non c’era coraggio: perché coraggio, oggi, significa pensare alle pensioni dei giovani, che se va bene saranno il 45% dell’ultima retribuzione. Per questo io dico no al Tfr in busta paga, come vorrebbe il governo: deve andare obbligatoriamente nei fondi pensione, fondamentali per le pensioni dei giovani e, paradossalmente, disertati, oggi, proprio dai giovani. Una disaffezione su cui pesa certamente il fatalismo di chi, a trent’anni, non riesce a pensare a cosa accadrà fra altrui trenta, ma non dobbiamo nasconderci che su questo abbiamo una forte responsabilità anche come sindacato”. Piu in generale, per il leader cislino non c’e’ tanto un problema di tasso di sindacalizzazione, su cui l’Italia e’ anzi ai primissimo posti, quanto di strategie: “il sindacato non e’ più una fucina di idee, come e’ stato e come dovrebbe essere. C’e’ poi anche un problema organizzativo: troppe liturgie, poco comprensibili a chi sta fuori, slogan non chiari’’. Genovesi la pensa come il collega cislino: “la nostra cassetta degli attrezzi e’ stata pensata ai tempi dei brontosauri, oggi il mondo va da un’altra parte. Tutte le nostre politiche sono state per decenni basate su due pilastri: il contratto nazionale e la contrattazione aziendale. Ma oggi la sfida vera e’: il contratto nazionale, che funzione deve avere? E la contrattazione di secondo livello, nelle grandi aziende, quelle più innovative e internazionalizzate, che ruolo deve svolgere?”
Ripensare quindi la struttura della contrattazione, iniziando con lo sfoltimento della giungla contrattuale. Bentivogli sottolinea che esistono ‘’troppe categorie’’, e soprattutto troppi contratti: “il contratto nazionale copre l’85% del salario, ma se il tutto avviene attraverso 400 contratti differenti, e’ indifendibile’’. La Cisl, del resto, si sta preparando a realizzare una federazione dell’industria, sul modello europeo. A sua volta, Genovesi ricorda che il sindacato e’ appesantito anche da questioni burocratiche interne, a partire dal come si fa carriera: “ Lo schema oggi e’ ancora quello di decenni fa. Io credo che occorra un cambio drastico anche nella costruzione dei gruppi dirigenti. Il testo unico sulla rappresentanza, per esempio, potrebbe costituire una mutazione genetica importantissima, confederendo alle Rsu un potere enorme. Applicandolo, si avrebbe un ricambio importante nel sindacato e nei suoi organismi, si sposterebbe il peso dalle categorie, o dalle camere del lavoro, alle Rsu”. Ma il Testo Unico, osservano in coro i due sindacalisti, e’ desaparecido: a un anno dalla firma, nulla e’ stato realizzato, anche per l’improvvisa defezione della Confindustria, che pure questa intesa l’aveva voluta con determinazione. E anche sul ruolo ambiguo della piu’ importante controparte, varrebbe la pena, prima o dopo, di interrogarsi.
Infine, un’ultima domanda ai contendenti di Duel: riterrebbero utile introdurre il sistema delle primarie anche nel sindacato? Sia Genovesi che Bentivogli sono nettissimi: “assolutamente no”. Il motivo e’ chiaro: il sindacato è una creatura molto più complessa della politica, e la scelta dei gruppi dirigenti non può essere gestita a colpi di gazebo.