Se Atene piange, Sparta non ride: con questo vecchio motto che viene da lontano, si potrebbe sintetizzare l’attuale situazione della politica italiana. Dove Atene sarebbe la destra e Sparta la sinistra, o viceversa.
Basta leggere i giornali di questi giorni per rendersi conto che dopo la morte di Silvio Berlusconi (ma in realtà anche prima), la coalizione che ha vinto le elezioni nell’autunno scorso non gode di ottima salute, tutt’altro: litigano su tutto o quasi, a cominciare dal Mes, il famigerato fondo salva Stati europeo che già molte polemiche provocò ai tempi del governo giallorosso e di quello guidato da Mario Draghi; proseguendo per i vari problemi politico-giudiziari che stanno funestando la vita di Giorgia Meloni, il caso del ministro Daniela Santanché è solo l’ultimo. E ancora: i problemi in Europa, che nonostante gli incontri tra la nostra premier e i leader di Francia e Germania non sembrano affatto risolti. Mettiamoci pure che in Parlamento è anche successo che la destra sia stata battuta dal centrosinistra proprio sul Mes, ed ecco apparire davanti a noi un quadro nient’affatto tranquillo per chi oggi governa il Paese. Ma ovviamente nessuno si illude che domani o dopo il governo cadrà, tuttavia è sicuramente più debole di qualche settimana fa e i mesi futuri non promettono un nuovo Rinascimento, al massimo una vita giorno per giorno costellata di conflitti interni e di scontri con l’opposizione.
Appunto, l’opposizione. Che fa l’opposizione e soprattutto chi è l’opposizione? La geografia ci dice che quelli che non stanno nella coalizione di governo sono almeno sei partiti, più varie ed eventuali. Sei partiti che al momento non vanno d’accordo non solo tra di loro ma neanche dentro di loro. Prendiamo i due principali antagonisti del governo, ovvero il Partito di Elly Schlein e quello di Giuseppe Conte. È bastato che la leader del Partito democratico facesse cosa giusta, banalmente giusta, come partecipare alla manifestazione dei Cinquestelle. Apriti cielo! Il suo partito, o meglio una parte del suo partito, l’ha immediatamente messa sotto processo, con accuse di subalternità politica, di non saper guidare il Pd, di essere soprattutto una giovane scappata di casa che non conosce l’arte della politica. E anzi, che non si rende conto che deve essere il Pd il centro del mondo. Come se questi Guerini, Bonaccini e compagnia bella non sapessero – o facessero finta di non sapere – che da solo il Partito democratico non va da nessuna parte. A voler essere ottimisti potrebbe arrivare al 25 per cento alle elezioni europee dell’anno prossimo. Certo, trovare un accordo generale con Conte, cioè un’idea e una strategia condivisa per potersi presentare come coalizione alle politiche quando ci saranno, non è facile. Al momento il punto più forte che li divide è la guerra, anzi l’invio di armi all’Ucraina. Ma verrebbe da obiettare che noi viviamo in Italia e che loro dovrebbero pensare a governare l’Italia, con tutti problemi che ha questo Paese, dalla disoccupazione alla precarietà, dalla povertà che non è certo stata sconfitta (checché ne dicesse Luigi Di Maio nel 2018), dalla crisi industriale alla profondissima crisi di motivazione politica e ideale che colpisce ormai tutti i cittadini, basti pensare a quanto è cresciuta l’astensione in questi ultimi anni, ormai vota un italiano su due. Per quanto si tratti di un test non molto rilevante, domenica in Molise vedremo se Pd e Cinquestelle riusciranno a vincere le elezioni, se vincessero si tratterebbe di una premessa, piccola ma importante, per il futuro politico del centrosinistra.
Per il resto l’opposizione è composta forze politiche come la Sinistra di Nicola Fratoianni e i Verdi di Angelo Bonelli, insieme potrebbero al massimo raggiungere il 5 per cento, una soglia che potrebbe anche fare la differenza nel caso le due coalizioni arrivassero appaiate.
Ma la vera differenza, purtroppo, la determineranno Matteo Renzi e Carlo Calenda. A meno che nei prossimi mesi non scompaiano dalla scena, cosa possibile, questi due potrebbero determinare la vittoria dell’uno o dell’altro campo, soprattutto dell’uno, cioè della destra. Da quando è morto Berlusconi, anzi da prima, Renzi non perde occasione per corteggiare quelli di Forza Italia, forse per prendersi qualche loro parlamentare o forse per portare la sua piccolissima Italia viva dentro quel partito per poi scalarlo. Difficile che ci riesca ma certamente ci sta provando. Calenda invece sembra assistere allo spettacolo senza saper cosa intenda fare da grande, ma prima o poi dovrà scegliere da che parte stare visto che il suo agognato Terzo polo è morto prima di nascere. Ovviamente, i giochi veri cominceranno dopo le europee, quando tutti potranno misurare la loro forza elettorale e dunque decidere chi sono e dove vogliono andare.
Intanto però il discorso si riduce a due antagonisti, la destra di Meloni e Salvini e il centrosinistra di Schlein e Conte. Chi al governo, chi all’opposizione, hanno un anno di tempo per convincere la maggioranza degli italiani e magari farli vincere. Certo, se continuano a litigare al loro interno sarà molto difficile che un qualsiasi elettore possa fidarsi di gente che non perde occasione – soprattutto a sinistra – per mandarsi al diavolo l’un l’altro.
Riccardo Barenghi