Si dimette, non si dimette, forse – mentre leggete queste righe – si è già dimesso? Come che sia il ministro Gennaro Sangiuliano è ormai totalmente screditato, e con lui purtroppo anche l’immagine istituzionale della cultura italiana. Chissà se sarà sostituito da qualcuno che non confonde Londra con New York e non commette errori di storia che neanche un bambino delle elementari, come quando ha sostenuto che Cristoforo Colombo aveva seguito le indicazioni di Galileo Galileo, il quale era nato circa due secoli dopo il navigatore genovese. E così via, le topiche di Sangiuliano sono innumerevoli, fino ad arrivare allo scandalo in corso, cioè la nomina, ma non attuata, di Maria Rosaria Boccia a consulente del suo ministero.
Ora, è evidente che tra i due c’era una storia sentimentale, o almeno sessuale, e fini qui niente di grave: ognuno, anche se è ministro, ha diritto di accoppiarsi con chi vuole. Tuttavia il suo diritto finisce sulla soglia del suo ministero, sui viaggi, gli alberghi, i ristoranti pagati da non ci sa chi. Qui entra in ballo l’etica istituzionale, se è possibile usare questo concetto di fronte a un governo che ancora annovera tra i suoi ministri Daniela Santanché finita nei guai per questioni finanziarie non esattamente cristalline. Ed entra in ballo la stessa Giorgia Meloni che questi ministri difende, compreso il suo ex cognato Francesco Lollobrigida, quello che ha fatto fermare un treno perché era in ritardo e che ha sostenuto che i poveri mangiano meglio dei ricchi e altre cazzate di questo genere.
La premier li difende, ma perché e soprattutto fino a quando?
La ragione si spiega facilmente, Meloni vuole evitare a tutti i costi una sorta di crisi del suo governo, che in caso delle dimissioni di un solo ministro non sarebbe una crisi vera e propria ma comunque si tratterebbe di un serio e grave colpo all’immagine della coalizione che ha vinto le elezioni quasi due anni fa. Inoltre proprio alla vigilia del G7 che si svolgerà in Italia guarda caso proprio sulla cultura.
Quanto ai tempi delle dimissioni di Sangiuliano e magari anche di Santanché è appunto solo una questione di tempo: tocca alla premier decidere quando è meglio, anzi meno peggio, costringere i due a lasciare il governo così da poter ripartire con uomini e donne nuove nella squadra. Anche perché come ha detto lei stessa direttamente al ministro della Cultura “Stiamo facendo la storia, non sono consentiti errori”.
Al di là dell’enfasi retorica che la premier ha voluto usare, retorica che aveva utilizzato anche due giorni fa in un’intervista a Retequattro sciorinando numeri su numeri per dire che non siamo mai stati così bene (economia, occupazione e via elencando), lei stessa ammette che qualche errore è stato fatto e che dunque tocca correre ai riparti prima del G7 e magari anche prima delle elezioni regionali in Emilia Romagna, Umbria e Liguria che si terranno a novembre. E che se dovessero andare male per la destra sarebbe difficile continuare come se nulla fosse, a quel punto non si potrebbero escludere le elezioni politiche anticipate in primavera. Obiettivo che dovrebbe essere quello dell’opposizione, viste le difficoltà del governo, prima si vota e più possibilità ci sono per la sinistra di vincerle. Ovviamente a condizione che nei prossimi mesi il centrosinistra riesca a darsi una fisionomia chiara, un progetto condiviso e una squadra credibile. Magari senza Matteo Renzi, che se entrasse nella coalizione e questa stessa coalizione vincesse, dal giorno dopo comincerebbe a fare di tutto per metterla in crisi. D’altra parte l’ha già fatto ai tempi del governo rosso-verde nel 2019, e come si dice l’assassino torna sempre sul luogo del delitto.
Riccardo Barenghi