Rispetto ai dati sull’andamento della disoccupazione resi oggi noti dall’Istat, per i segretari confederali di Cgil, Cisl, Uil e Ugl, non si può parlare di pieno successo.
Per Serena Sorrentino, segretario confederale Cgil, anzi “c’è di che preoccuparsi”. Il saldo positivo del 2015 (+ 109 mila attivi), infatti, spiega Sorrentino “è esattamente lo stesso di quello del 2014, anno in cui Jobs act e sgravi non erano in vigore, e gli inattivi continuano a crescere mese dopo mese”. saldo degli occupati 2015 è infatti praticamente identico a quello del 2014, anno in cui Jobs act e sgravi alle imprese non erano in vigore. La segretaria confederale della Cgil sottolinea che “la cancellazione dei diritti fatta con il Jobs act e 3,5 miliardi di euro alle imprese in tre anni attraverso l’esonero contributivo hanno prodotto 48 mila posti di lavoro in più, per questo “parlare di successo appare una forzatura”. ” Nell’ultimo trimestre del 2015 – sottolinea inoltre Sorrentino – si registra contemporaneamente la crescita degli inattivi ( +0.2%, pari a +32mila), dato che segnala un aumento dello scoraggiamento delle persone nella ricerca di occupazione e l’urgenza di un investimento serio sulle politiche attive. Cosa che finora non è stata fatta – conclude – considerando la nuova agenzia Anpal, nata senza risorse e senza strumenti e non ancora operativa, e la vertenza dei lavoratori dei centri per l’impiego, che assume connotati sempre più drammatici e di incertezza”.
Per il segretario confederale Cisl, Gigi Petteni i dati Istat di oggi sull’andamento occupazionale sono “contraddittori”, a conferma che “la fase di vera ripresa non è ancora stabile nel nostro paese. C’è purtroppo una lieve crescita della disoccupazione – dichiara Pettini -, che, dopo un 2015 all’insegna di un calo lieve ma continuo, ha fatto registrare un +0,1% passando dal 11,3% di novembre all’11,4%, mentre rimane invariato il tasso di occupazione”. Resta comunque “decisamente positivo” il segnale che riguarda i dati annuali: “Per la prima volta cominciano ad esserci risultati decisamente importanti anche nel tasso di disoccupazione giovanile che ora è sceso al 37,9%, il risultato migliore degli ultimi tre anni. Per tornare ad un dato più positivo bisogna infatti tornare ad ottobre 2012. Il lievissimo calo degli occupati nell’ultimo mese fra l’altro, corrisponde al differenziale tra il calo dei lavoratori autonomi (-54.000) e la crescita dei dipendenti a tempo indeterminato (+31.000). Cresce anche il numero delle persone in cerca di occupazione (+18.000 un +0,6% su novembre) e cala il numero degli inattivi seppur lievemente (-0,1%) grazie quasi esclusivamente alla componente maschile”.
Per Guglielmo Loy, segretario confederale della Uil, “se l`occupazione a dicembre sostanzialmente non è cresciuta, nonostante sia stato l`ultimo mese utile per usufruire dei generosi incentivi (esonero contributivo totale per 3 anni) c`è da preoccuparsi”. “Abbiamo sempre sostenuto che, più che del Jobs act, c`è bisogno di Pil for Jobs e, purtroppo, il tasso di crescita è ancora insufficiente a promuovere un vero salto di qualità (e quantità) del lavoro nel nostro Paese – prosegue – con dicembre si può fare una prima analisi sull`anno trascorso e, da elaborazioni Uil, emerge che i disoccupati, tra il 2014 e il 2015, sono scesi di 200.000 unità; i lavoratori dipendenti sono aumentati di 193.000, ma l`incremento a tempo indeterminato, pari a 80.000 unità, è molto meno forte della crescita delle 113mila unità a termine”.
Dello stesso avviso dei colleghi Cgil e Uil, anche il segretario confederale dell’Ugl, Fiovo Bitti, che dichiara: “Il Jobs Act non funziona: il governo ne prenda atto, corregga il tiro aprendo un confronto con le parti sociali e cogliendo anche l’occasione per colmare il vuoto dell’assente o, nel migliore dei casi, ‘episodica’ politica industriale”. Per il sindacalista “date le premesse, non c’è da meravigliarsi se, a conti fatti, le misure adottate dal governo, purtroppo, non hanno prodotto particolari choc positivi sugli occupati. Il tasso di occupazione femminile rimane sempre troppo basso, mentre oltre il 74% dei giovani fino a 24 anni è inattivo: se non si aggredisce questa situazione, difficilmente si assisterà in tempi rapidi ad una vera ripresa dell’occupazione”.
“L’Italia – conclude Bitti – resta un Paese che naviga a vista, in balia delle onde, con le aziende che, nonostante i forti incentivi economici e normativi, continuano a preferire il contratto a tempo determinato, confermando così di essere le prime a non credere alla ripresa e rendendo sempre più asfittico il mercato interno”.