L’ultimo giorno di agosto, il mondo dell’auto è stato messo a rumore, sulle due sponde dell’Atlantico, da una nuova esternazione del capo di Fca, Sergio Marchionne. Il quale, facendosi intervistare da Automotive News, ha rilanciato il tema del merger, ovvero della da lui auspicata fusione tra Fca e General Motors. E lo ha fatto esibendo un linguaggio non solo franco, come gli è abituale, ma anche insolitamente duro. Per non dire pesante nei confronti del numero uno di Gm, la signora Mary Barra.
La domanda che sorge spontanea è: perché Marchionne ha fatto questo rilancio nonostante che la stessa Mary Barra gli avesse già pubblicamente risposto, un paio di mesi fa, che non se ne parlava proprio? E ancora: perché ha fatto tale rilancio adesso?
Rispetto a questi interrogativi, ovviamente, si possono avanzare solo ipotesi interpretative, e non risposte certe. Ma vale comunque la pena di tentare di formulare un paio di tali ipotesi. Partendo, come è corretto fare, dalla descrizione della notizia.
Dunque, alle ore 18:00 del 30 agosto, quando da noi era già mezzanotte, Automotive News, la più nota testata on line del settore, almeno per quanto riguarda gli Usa, pubblica un articolo di Larry P. Vellequette, il redattore che, secondo quanto attesta il suo account Twitter, segue le vicende della Chrysler. Titolo: Marchionne puts the squeeze on GM; GM’s response: ‘Why bail out FCA?’. Traduzione (approssimativa): Marchionne fa pressione su GM. Che risponde: ‘Perché (dovremmo) salvare Fca?’ Occhiello: Sergio: do the math (cioè, più o meno, Sergio ha fatto i conti). Bacchettone: FCA chief says, ‘I can hug you nicely, I can hug you tightly’. Cioè ancora: Il capo di Fca dice: ‘Posso abbracciarti con delicatezza, oppure in modo molto stretto’.
Almeno nominalmente, queste profferte amorose, un po’ brutali, sono rivolte da Marchionne al Ceo di General Motors, la succitata Mary Barra. Il che è strano visto che nel giugno scorso, come detto, la stessa Barra aveva già dichiarato che la General Motors possiede le dimensioni giuste rispetto, si immagina, alla competizione globale e non ha quindi bisogno di crescere attraverso un’ipotizzata fusione. Al che, stando al New York Times, Marchionne rispose: “Sono stato rifiutato una volta, non tornerò a farmi rompere il naso una seconda”.
Adesso invece, dopo appena un paio di mesi, Marchionne torna a farsi sotto. Con questo ragionamento. Ho esaminato – dice – le modalità della possibile fusione fra Fca e Gm. Ho analizzato minutamente prodotti, impianti, aree. Ebbene, il risultato è che non stiamo parlando di guadagni marginali, ma di enormi (huge) cambiamenti. Passando dalle parole alle cifre, Marchionne quantifica il margine operativo lordo annuo (EBITDA) generabile con la fusione in qualcosa come 30 miliardi di dollari.
Tuttavia, prosegue il Ceo di Fca, nonostante queste cifre strabilianti Mary Barra non vuole parlare con me. Alla General Motors, non prendono neppure le mie telefonate. Ora, aggiunge Marchionne, capisco che qualcuno, dopo averla esaminata, non accetti una mia proposta. Ma perché rifiutarsi di esaminarla? Forse proprio perché, se la si esaminasse, ci si dovrebbe rendere conto che la logica in base a cui è costruita è “inconfutabile”? Infatti, sempre secondo Marchionne, Fca e Gm sono oggi strutturate in modo tale che la loro fusione genererebbe vantaggi non raggiungibili qualora l’una o l’altra scegliesse un qualsiasi altro partner.
Tornando al linguaggio da corteggiatore respinto, Marchionne precisa: “Non sto cercando di farmi dare un appuntamento per uscire con Mary, ma per vederla e aprire una discussione”. Un’affermazione cui segue un’insinuazione. Si dice, osserva Marchionne, che io sia un negoziatore duro. E allora? Se sono troppo duro, potrebbero mandare qualcun altro a trattare con me. “Mandate uno squalo. Io ne uscirei comunque.”
Ora a cosa serve questo tono aggressivo? La nostra ipotesi è che il corteggiamento vero del Ceo di Fca non sia più rivolto a Mary Barra, ma ai maggiori azionisti di Gm. Con l’apertura di una vera e propria campagna, Marchionne, da un lato, dichiara guerra alla signora Barra, tentando di suscitare nelle menti dei succitati azionisti il sospetto che l’attuale Ceo sia inadeguata al suo compito. Dall’altra, cerca di far balenare davanti ai loro occhi l’immagine di una cascata di biglietti verdi e fruscianti che potrebbe piovergli addosso se accettassero le proposte di Fca.
“The capital markets won’t under stand why you are rejecting the discussion”, dice Marchionne. Cioè: “I mercati finanziari non potranno capire perché questa discussione venga rifiutata”. “Se ti rifiuti di parlare con me – incalza Marchionne, riferendosi evidentemente a Mary Barra – senza aver dato neppure un’occhiata alle nostre analisi, o pensi di essere superiore a tutto e tutti, o pensi che i mercati finanziari siano pieni di cretini.” Ecco lanciato il siluro. Attenti, dice Marchionne agli azionisti di Gm. L’amministratore delegato della società di cui voi possedete le azioni pensa forse che voi non siate molto intelligenti.
Il fatto è che General Motors – a differenza di Fca, dove esiste un azionista di riferimento, costituito da Exor, la finanziaria della famiglia Agnelli – è una public company. Il management devi quindi conquistarsi ogni giorno il consenso dei maggiori azionisti. I quali non sono uniti da un comune progetto, ma dall’interesse condiviso ad avere dei ritorni interessanti dai propri investimenti finanziari.
Ed è proprio a loro che Marchionne si rivolge implicitamente quando dichiara al giornalista che lo sta intervistando: “I tell you that you can make X billion more by being together”. Ovvero: “ Io vi sto dicendo che, se ci mettiamo insieme, potrete tirar su x miliardi di dollari in più”.
Bene. Crediamo di aver risposto alla prima delle due domande da cui siamo partiti. Resta la seconda: perché adesso? Cosa è successo tra metà giugno e fine agosto per spingere Marchionne a fare una nuova offerta a Gm?
Chiarito che questa offerta è rivolta ai fondi di investimento e agli altri maggiori azionisti di General Motors e non più al vertice aziendale, rappresentato da Mary Barra, va detto che il fatto nuovo prodottosi in questo intervallo temporale è la vittoria conseguita, ai primi di agosto, proprio da Exor nella battaglia per il controllo di Partner Re, una delle prime dieci società di riassicurazione su scala mondiale. Ora il fatto è che tale vittoria è stata ottenuta da John Elkann, presidente e amministratore delegato della cassaforte di famiglia, dopo una dura battaglia combattuta contro Axis, un’altra società che intendeva realizzare una fusione con Partner Re, e, ancor più, contro il board, cioè il gruppo dirigente, della stessa Partner Re, che a sua volta era intenzionato a concludere l’accordo con Axis.
Ebbene, come ha fatto Elkann a ottenere ciò che voleva? Conducendo con grande determinazione, ed evidente successo finale, una campagna volta a convincere i maggiori azionisti della compagnia di riassicurazioni che a loro, in quanto azionisti, conveniva accettare la proposta di Exor. E ciò, appunto, poiché questa era la proposta che avrebbe remunerato di più le azioni di cui erano proprietari. Un successo, questo, cui, sia detto di passaggio, si è aggiunta, il 12 agosto, un’altra vittoria, minore quanto a dimensioni finanziarie, ma più prestigiosa: quella che ha portato Exor a divenire, con il 43%, l’azionista di maggioranza della società che pubblica l’Economist.
Ora, naturalmente, l’eventuale rapporto tra Fca e Gm è cosa diversa dal rapporto fra Exor e Partner Re. Infatti, Exor aveva molta liquidità in cassa e ha potuto presentare agli azionisti di Partner Re un’offerta più vantaggiosa di quella formulata da Axis. Al contrario, come ricordato dalla stessa Automotive News in un problematico servizio firmato il 31 agosto dallo stesso Vellequette e da Luca Ciferri, Fca è, di gran lunga, la più indebitata fra le grandi case costruttrici di automobili. Inoltre, se si fa un confronto proporzionale, Gm è ben più grande di Fca. Non per caso, lo stesso Marchionne, nel colloquio con Automotive News pubblicato il 30 agosto, esclude esplicitamente di avere l’intenzione di promuovere una “hostile takeover bid”, cioè un’Opa ostile nei confronti di Gm; osservando che, semmai, ciò che intende fare, come si è visto, è “abbracciare” Gm. In altri termini, par di capire, realizzare una fusione in cui il potere, ancorché notevolmente diluito, resterebbe nelle mani di Exor e di Marchionne, mentre i guadagni dovrebbero aumentare per tutti gli azionisti: sia quelli di Gm, sia quelli di Fca.
Due ultime considerazioni. La prima. Al di là di qualche eccesso linguistico, Marchionne è tornato a esprimere, nel colloquio con Automotive News, una sua convinzione profonda, da lui già maturata almeno dal 2008, quando la crisi finanziaria, manifestatasi a partire dalla metà del 2007, era diventata ormai una crisi economica globale. E cioè la convinzione che l’industria dell’auto fosse un’industria mal condotta su scala planetaria e che per migliorare le cose fosse necessario ridurre il numero dei produttori. Ciò allo scopo di consentire una crescita dimensionale dei costruttori sopravvissuti. Crescita, a sua volta, necessaria per determinare un equilibro ragionevole tra investimenti e ricavi.
Seconda considerazione. Alla base del ragionamento di Marchionne c’è il concetto di economie di scala. Come riportato da Vellequette e Ciferri nel loro articolo del 31 agosto, secondo lo stesso Marchionne Fca può sopravvivere anche da sola, ma “in mediocrity”, ovvero nella mediocrità. Può cioè tirare a campare, ma è troppo piccola, e, lascia capire Automotive News, troppo indebitata per affrontare i compiti che si pongono oggi davanti all’industria dell’auto. Compiti che comportano massicci investimenti. D’altra parte, Marchionne sembra pensare, e comunque trasmette l’idea, che Gm non abbia oggi una guida capace di assicurarle quella crescita che sarebbe nelle sue potenzialità. Mentre se Fca e Gm si mettessero insieme, potrebbero crescere proprio a partire dalla realizzazione di opportune sinergie e consistenti economie di scala. Infatti, secondo l’intervista del 30 agosto, solo alcune piattaforme, e non altre, potrebbero sopravvivere dopo un’eventuale fusione. Lo stesso varrebbe per i motori, alcuni dei quali sarebbero destinati a sopravvivere, mentre altri no. Sorge allora una domanda. Ciò varrebbe anche per gli impianti? E insomma: almeno in una fase iniziale, sarebbe logico attendersi dei tagli occupazionali?
Nel suo articolo del 30 agosto, Vellequette riporta che un paio di settimane fa, nel corso di un evento a Las Vegas, Marchionne avrebbe cercato di rassicurare i concessionari sostenendo che l’auspicata fusione non produrrà ricadute negative sulle reti di vendita, né tagli di posti di lavoro in fabbrica. Sono preoccupazioni che possono apparire premature. Ma se la sfida di Marchionne dovesse avere un futuro, prima o poi diventeranno attuali.
@Fernando_Liuzzi