L’implementazione delle nuove tecnologie e dell’intelligenza artificiale nel welfare dovrebbe rappresentare l’occasione per conciliare l’uguaglianza nell’esigibilità dei diritti con un sistema fatto di competenze e servizi presenti sui territori che dovrebbe ridurre invece che aumentare le diseguaglianze. “È la grande sfida dello Stato sociale del XXI secolo”. È questo il giudizio di Elena Amalia Ferioli, professoressa di Istituzioni di Diritto pubblico presso l’Università di Pisa.
Professare quali sono le possibili applicazioni dell’IA nel welfare?
La tecnologia digitale e le sue applicazioni nell’intelligenza artificiale possono trovare ampio spazio
nei sistemi di welfare nazionali, con particolare riferimento ai settori tradizionali dei sistemi pensionistici, sanitari, sociali, nonché nelle politiche del lavoro. In questi ambiti, le nuove tecnologie presentano due distinti profili applicativi: uno riguarda il loro utilizzo nella gestione del sistema pubblico sotto il profilo squisitamente organizzativo, amministrativo-procedimentale, con riferimento, per esempio, al monitoraggio delle prestazioni e dei relativi flussi informativi verso gli organi di governo, per processi decisionali automatizzati, nella selezione del personale pubblico o dei beneficiari delle prestazioni. L’altro ambito applicativo riguarda invece l’utilizzo delle ICT nella fase dell’erogazione delle prestazioni e servizi di welfare, potendo le stesse innovare le tipologie degli stessi, le modalità della presa in carico degli aventi diritto, i modelli di servizio. Così, per esempio in ambito sanitario, l’IA può aiutare nell’acquisizione e rielaborazione di dati informativi necessari per la programmazione e il finanziamento del SSN oppure essere utilizzata nella diagnostica di una patologia.
Nel nostro sistema di welfare quanto è diffusa l’intelligenza artificiale?
I processi di digitalizzazione ed aggiornamento tecnologico del welfare italiano sembrano avanzare in modo contenuto, se confrontato con altri Stati dell’Ue.
La normativa italiana ed europea è sufficientemente matura? Deve essere implementata o aggiornata?
Dal punto di vista normativo, la regolazione e normazione dell’aggiornamento tecnologico del welfare si colloca, per sua natura, su un crocevia di più sistemi di regole distinti sia in senso verticale, in quanto afferenti ai diversi livelli ordinamentali locali, statali, europei, sia in senso orizzontale, interessando ambiti di regolazione destinati alla tutela di molteplici interessi quali l’attuazione dei diritti sociali – protezione sociale, salute, lavoro, assistenza, – , ma anche la protezione dei dati personali, in particolare digitali, l’innovazione tecnologica e lo sviluppo economico. Ne consegue un quadro normativo di riferimento complesso, con gradi di sviluppo e consolidamento interpretativo e giurisprudenziale disomogenei. Quello che emerge però con chiarezza, nell’approcciarsi all’analisi del quadro normativo di riferimento, è l’importante ruolo svolto dall’Unione europea, le cui politiche in materia si sono distinte per una costante tendenza a promuovere e stimolare l’innovazione tecnologica dei sistemi di welfare nazionali, più recentemente intensificando la propria azione con specifico riferimento alla realizzazione del mercato unico digitale e la regolamentazione della produzione e commercializzazione dei dispositivi robotici e di AI, seguendo un approccio basato sulla protezione dal rischio che dalle stesse può derivare.
Facendo un bilancio dell’uso dell’IA nel sistema di welfare, quali sono i benefici e quali, invece le criticità?
Iniziando dai vantaggi, le ICT sembrano tendere a implementare la personalizzazione delle prestazioni e quindi, di per sé, potrebbero agire a favore di una valorizzazione della centralità della persona nel sistema di welfare. Inoltre, possono apportare maggiore efficienza ed efficacia all’azione dei pubblici poteri competenti nell’erogazione delle prestazioni, migliorando la gestione amministrativa dei procedimenti, aumentando l’efficienza di interventi e servizi e quindi diminuendo i tempi di attesa da parte dei beneficiari. Ancora, le nuove tecnologie possono incrementare controllo e responsabilità della persona nelle decisioni e nei comportamenti che riguardano il proprio benessere e la propria sicurezza sociale. Si pensi, per esempio, alle numerosissime app sanitarie che consentono l’automonitoraggio e controllo della salute o il rapido intervento del personale sanitario in caso di pazienti fragili, cronici o non autosufficienti. Non a caso l’OSM e la letteratura parlano di empowerment della persona. Infine, le ICT sono centrali nella transizione verso modelli di servizio che, a livello nazionale, da tempo si vorrebbe implementare, come le cure domiciliari, in coerenza con le riflessioni indotte dal periodo pandemico e l’attuazione dei finanziamenti del PNRR.
Certamente, però, i profili sopra descritti ci restituiscono una nuova visione di beneficiario del welfare quale persona informata, tecnologicamente competente, impegnata e più responsabile nel soddisfacimento dei suoi bisogni sociali. Ciò obbliga a confrontarsi con l’evoluzione della relazione umana all’interno dei servizi di welfare: l’assistenza virtuale, l’intelligenza artificiale, le prestazioni a distanza mutano le relazioni umane tra operatori e cittadini. Fino a che punto deve spingersi questa trasformazione? La centralità della persona sarà davvero esaltata dal dato digitale o ne risulterà offuscata? Il digital divide incrementa ulteriormente il social divide? Queste possibili criticità possono essere contenute o evitate grazie ad una governance attenta del processo di innovazione del welfare statale. Personalmente su questo punto penso che la normativa italiana, sulla scorta del principio personalista riconosciuto nella Costituzione, sia già oggi in grado di indirizzare in senso garantista la tecnologia senza dimenticare la centralità della persona.
Le criticità maggiori che vedo all’orizzonte sono invece legate da un lato alla dimensione dell’eguaglianza da garantire a tutti di beneficiari del nostro stato sociale, sia pur nell’ambito di un sistema decentrato sul territorio, la sanità e i servizi sociali, e dall’altro al rischio di marginalizzazione della dimensione pubblica del nostro welfare rispetto agli interessi economici dei privati coinvolti nella produzione, commercializzazione e applicazione delle nuove tecnologie ai servizi di welfare. Questi profili meritano una riflessione da parte dei decisori politici e del legislatore, anche perché, soprattutto il primo costituisce già una debolezza antica del nostro welfare, pregressa all’introduzione delle nuove tecnologie.
Sarebbe quindi auspicabile che l’implementazione delle ICT nel welfare italiano diventi l’occasione per rivisitare gli strumenti e i meccanismi che consentono di conciliare l’uguaglianza nell’attuazione ed effettività dei diritti sociali con un sistema di competenze decentrate sui territori, per evitare che una diffusione troppo disomogenea delle nuove tecnologie a livello regionale e locale aumenti, invece che diminuire, le disuguaglianze. È la grande sfida dello Stato sociale del XXI secolo.
Tommaso Nutarelli