Dicembre 1917. Rosa Luxemburg è rinchiusa nel carcere femminile di Breslavia. “Il mio terzo Natale in gattabuia”. Un giorno, vede dalle sbarre della cella un bufalo. È ferito. Un soldato lo ha frustato con maligna insistenza perché faceva fatica a tirare un carretto pieno di sacchi. Si era fermato davanti alla porta carraia, esausto. Ma l’uomo aveva continuato a batterlo finché, con un ultimo sforzo, era riuscito a superare l’ostacolo. Ora è nel cortile della prigione, sanguinante. E sì che la pelle di questi animali “è famosa per essere assai dura, e resistente, ma quella era lacerata”.
La rivoluzionaria dal cuore d’oro scolpisce il suo orrore in una lettera a Sonja Liebknecht: “Guardava davanti a sé e aveva nel viso nero, negli occhi scuri e mansueti, un’espressione simile a quella di un bambino che abbia pianto a lungo. Era davvero l’espressione di un bambino che è stato punito duramente e non sa per cosa né perché, non sa come sottrarsi al tormento e alla violenza bruta… gli stavo davanti e l’animale mi guardava, mi scesero le lacrime, erano le sue lacrime. Per il fratello più amato non si potrebbe fremere più dolorosamente di quanto non fremessi io, inerme davanti a quella silenziosa sofferenza “.
Nel gennaio del 1919, dopo l’insurrezione spartachista, “il corpo in cui era racchiusa un’anima così elevata fu massacrata a colpi di calcio di fucile”, denunciò Karl Kraus. Proprio l’insuperabile scrittore e polemista rese poi nota la missiva, “questo documento di umanità e poesia”, pubblicandola sulla sua rivista Die Fackel, la fiaccola, e leggendola, con appassionata enfasi, durante convegni e dibattiti. Fino a rovesciare “onta e disonore” su qualsiasi repubblica che “non l’accolga nei libri di scuola, tra Goethe e Claudius,” in modo da insegnare alle generazioni future l’orrore per la brutalità e l’abiezione.
Questi testi, insieme con altri di analogo tenore tratti da opere di Franz Kafka, Elias Canetti e Joseph Roth, sono stati raccolti qualche anno fa da Adelphi in un agile ma denso libricino. “Un po’ di compassione”, annuncia e invoca l’efficace titolo. “Nel dare voce al muto dolore dell’animale, Rosa Luxemburg aveva tradotto in parole la più elementare delle sensazioni, in grado di accomunare ogni creatura e di liberare così l’uomo dal ruolo, solitario e fallace, di signore del creato “, chiosa l’ottimo curatore Marco Rispoli. Il quale ricorda anche il caso di un altro rivoluzionario, Gustav Landauer, che sosteneva “di aver provato affetto, durante la sua reclusione, perfino per una mosca”.
Il rapporto con la natura equivale alla conoscenza di sé stessi. Maggiore è la sintonia con tutto ciò che ci circonda, maggiore diventa la capacità di comprendere e di compatire. Riflessioni profetiche nel periodo tra la mattanza della Prima guerra mondiale e le avvisaglie della Seconda. Allora caddero nel vuoto della ferocia e dell’indifferenza, così arrivò l’apocalisse nazista. Tanto più dovremmo prenderle in considerazione oggi, mentre vaghiamo nella pandemica foschia, foriera di chissà quale futuro. Rischiamo di smarrirci, senza la bussola della compassione, che indica la meta di un nuovo mondo.
Lo sapeva bene, Rosa la sognatrice. “Lei, che non possedeva altri beni se non il proprio cuore e voleva guardare a un bufalo come un fratello, lei avrebbe ben volentieri predicato la rivoluzione ai bufali. Se solo avesse potuto, avrebbe fondato per loro una Repubblica dei bufali, magari con il canto armonioso degli uccelli e il melodico richiamo dei pastori”. Kraus ne era sicuro.
Ma noi, come possiamo fissare un bufalo negli occhi se rifiutiamo di incrociare lo sguardo delle donne, dei bambini, dei profughi in fuga dalla violenza belluina? Muggiti e pianti, il dolore nell’aria. Roth definisce l’uomo “signore macellante della Creazione”.
Bombe, uccisioni, carestie, siccità, fame, sete, cataclismi, sopraffazioni, razzismo, sfruttamento, povertà, dittature. Eppure, ci accaloriamo solo parlando di green pass.
Marco Cianca