Quello dei vaccini è il tema all’ordine del giorno. Dal successo della campagna di immunizzazione dipende la ripresa dell’economia e il ritorno alla normalità. Una questione trasversale dunque, che non tocca solo la salute delle persone, ma anche il mondo del lavoro, come dimostra la firma del protocollo tra governo e parti sociali per la vaccinazione all’interno delle aziende, e dai risvolti anche geopolitici. L’accesso ai preparati contro il coronavirus si traduce in un vantaggio economico e politico per i singoli paesi. La pandemia ha così riacceso i riflettori sull’industria farmaceutica. Un settore nel quale l’Italia detiene il primato, al livello europeo, assieme alla Germania, con poli di eccellenza, presenti soprattutto nel Lazio e in Lombardia, dove accanto a molte luci convivo anche punti di criticità.
I numeri forniti da Farmindustria descrivono una realtà assolutamente dinamica e in espansione, che incide sul 10% del Pil. Nel 2019 il valore della produzione ha raggiunto i 34 miliardi di euro, e nel 2020 il fatturato dell’export è stato di 33 miliardi, con una crescita dell’8%. Sul versante degli occupati, quelli diretti sono 66mila, mentre l’indotto arriva a 80mila addetti. Alta la presenza di donne e giovani. Nel complesso, la presenza femminile è pari al 43%, che arriva al 48% tra gli under 45, e sono più della metà nella ricerca e nello sviluppo. Negli ultimi 5 anni, raccontano ancora i numeri di Farmindustria, gli under 35 sono cresciuti del 19%, pari al 42% degli assunti.
“Nel quadriennio 2021-24 – spiega Marcello Cattani, responsabile delle relazioni industriali di Farmindustria – le aziende sono pronte a mettere sul tavolo 4,5 miliardi di euro, un investimento che produrrà una crescita di 8mila occupati diretti, e 25mila nell’indotto. L’ingresso di nuove forze e di nuovi profili professionali sarà fattore strategico in vista del ricambio generazionale e della trasformazione tecnologica e digitale, che saranno alla base del prossimo rinnovo contrattuale, sul quale è iniziato il confronto con i sindacati”. Le relazioni industriali sono un punto di forza del settore, fondate sul confronto e una contrattazione d’anticipo per leggere e comprendere gli scenari futuri. “Quello che in questi anni però è mancato – prosegue Cattani – è stata una politica industriale di sostegno al comparto. È quanto mai necessaria una nuova governance e un quadro di regole chiaro, per rafforzare la crescita delle eccellenze presenti. Altro ostacolo da superare sono le troppe differenze regionali, anche in termini di infrastrutture fisiche e digitali. Bisogna uscire dalla logica locale, e confrontarsi sempre di più con il mercato globale della salute. In tutto questo il Recovery Plan si presenta come una grande occasione, da cogliere nel migliore dei modi”.
Sulla partita dei vaccini, Farmindustria sottolinea come il governo guidato da Mario Draghi abbia dimostrato fin da subito una maggiore sensibilità sul tema. “Il mondo delle imprese – afferma ancora Cattani – è sempre stato pronto al dialogo. Naturalmente l’Italia può dire la sua sulla produzione. Si tratta di un progetto al lungo termine, per il quale sono già state individuate risorse industriali, anche se, nell’immediato, non ci sono impianti pronti per realizzare un vaccino”.
Le difficoltà che l’Italia ha incontrato in queste settimana nell’approvvigionamento dei preparati contro il coronavirus derivano, dunque, anche da precise scelte di politica industriale. In questi anni c’è stata, da parte del pubblico, poca attenzione al tema della ricerca. Il 75% di questa, spiega Daniele Bailo, segretario nazionale della Uiltec, con delega alla farmaceutica, è autofinanziata dalle imprese. Al momento il nostro paese è tagliato fuori dalla corsa ai brevetti, e le nostre aziende, molto capaci nell’infialamento e nella logistica, lavorano, sostanzialmente, per conto terzi. Uno scenario venutosi a creare in seguito a precise scelte produttive che, dopo avere abbandonato progressivamente i farmaci da banco e generici, hanno puntato sulle cosiddette specialities, medicinali ad alto valore aggiunto, per la cura delle malattie rare e l’oncologia. Inoltre, le aziende italiano hanno avviato un progressivo processo di ampliamento e internazionalizzazione, acquisendo realtà estere.
“Per il futuro – sostiene il segretario generale della Uiltec, Paolo Pirani, – serve un cambio di paradigma, che nel contratto guardi alla trasformazione tecnologica e a nuovi modelli organizzativi, che devono passare da una logica gerarchica a una circolare, che conferisca crescente responsabilità ai lavoratori. Il Recovery Fund – prosegue – è un’occasione senza precedenti, per rafforzare un’industria con eccellenze e profili altamente qualificati, dove, tuttavia, è mancato una pianificazione strategica e di lungo periodo da parte della politica, per rilanciare anche una produzione nazionale di vaccini, come hanno iniziato a fare Francia e Germania”. L’importanza di riaccendere i riflettori su una rinnovata politica industriale per il farmaceutico viene espressa anche da Marco Falcinelli, segretario generale della Filctem-Cgil. “ L’industria del farmaco – commenta Falcinelli – ha seguito le scelte di politica sanitaria fatte dal nostro paese, caratterizzata da una progressiva riduzione degli investimenti, in particolare a discapito della ricerca. La sfida dei vaccini assume così una valenza di carattere geopolitica. La produzione per conto terzi ci espone a un’evidente debolezza, perché le aziende potrebbero benissimo decidere di accorciare tutta la catena del valore, e spostare l’intero ciclo produttivo al di fuori dell’Italia. In una situazione di emergenza, come quella che stiamo vivendo, -precisa Falcinelli – è quanto mai opportuno sospendere i brevetti, che di certo non vuol dire cancellarne totalmente la proprietà intellettuale”.
L’importanza di una sinergia, sempre più virtuosa, tra pubblico e mondo produttivo è sostenuta anche da Maria Luisa Sartore, responsabile delle risorse umane e delle relazioni industriali di Bayer per l’Italia. “È indispensabile – afferma Sartore – che il pubblico consolidi la sua presenza vicino alle imprese, con un’adeguata politica legislativa, che punti a una governance più semplice. Il settore può contare su un consolidato sistema di relazioni industriali, che fa della partecipazione il suo punto di forza. Inoltre, il sistema Italia ha una grande capacità di rispondere alle crisi e ai cambiamenti, grazie alle sue peculiarità che risiedono nella creatività, nella flessibilità e nel welfare, senza dimenticare il contributo delle alte professionalità che abbiamo”. Non mancano, tuttavia, punti di debolezza. “La complessità della burocrazia, e un insieme di norme molto spesso in conflitto tra loro, sono gli ostacoli principali, che frenano un’azienda a investire nel nostro paese. Questo non vuol dire derogare alle regole, ma snellirle”.
Sulle sfide future, le principali, secondo Sartore, sono la transizione tecnologica e quindi la definizione di nuove competenze. È molto probabile, sostiene, che si andrà verso un abbandono del sistema classificatorio dei profili professionali, così come lo abbiamo conosciuto. Una scommessa che aziende e sindacati potranno vincere unicamente puntando sulla formazione.
Tommaso Nutarelli