Matteo Renzi piace alla Cgil di Susanna Camusso, ma piace anche ad Antonio D’Amato e a Maurizio Sacconi che non sono proprio dalla stessa parte politica della segretaria generale della Cgil. A loro è piaciuto il piglio decisionista del premier, il fatto che abbia deciso senza consultate imprenditori e sindacati, che abbia messo mano con fermezza alle riforme, specie a quella del mercato del lavoro. Lamentano però che non abbia attaccato l’articolo 18 dello statuto dei lavoratori, quello dei licenziamenti, ma non disperano che ciò avvenga quando sarà preparato il disegno di legge delega che deciderà in merito.
L’occasione di questa dichiarazione di vicinanza è venuta da un workshop della Federazione dei cavalieri del lavoro, di cui Antonio D’Amato è fresco presidente. Si dibatteva proprio della necessità di una riforma del mercato del lavoro per rendere più competitiva l’Italia e l’uscita di Renzi è stata colta al volo. La valutazione è precisa. “Il mio giudizio sugli annunci di Renzi, ha detto D’Amato, è molto positivo, perché ha messo mano subito con energia all’agenda delle riforme, laddove altri governi che lo hanno preceduto sono morti proprio perché hanno indugiato troppo a fare le riforme. Il nostro paese sta subendo un declino molto forte, il tasso di imprenditorialità sta calando, le imprese non crescono, si fa solo innovazione di processo, come una volta, per aggirare le rigidità del mercato del lavoro. Per questo una riforma è indispensabile”.
Ma al presidente dei cavalieri del lavoro è piaciuto molto anche il metodo seguito da Renzi, il fatto che abbia deciso senza nemmeno sentire le parti sociali. “E’ giusto, ha detto, che in una democrazia parlamentare un governo decida senza veti che lo blocchino. E questo ha fatto Renzi, seguendo un registro diverso, per cui ci si confronta, da imprese e sindacati vengono progettualità, poi il governo decide come crede e al momento opportuno vengono le valutazioni su cosa ha fatto”. A sorpresa D’Amato, che pure è stato all’inizio del millennio presidente di Confindustria, ha rilevato come l’Italia si caratterizzi per avere sindacati e Confindustria molto forti e questo a suo avviso non è un bene: per questo ha salutato il piglio di Renzi che non li ha consultati vedendovi “l’inizio di un processo di normalizzazione”.
Uguale valutazione da Sacconi, anche lui convinto che il premier sia andato nella giusta direzione, con un piglio che, ha detto, gli ha ricordato il Bettino Craxi del decreto di San Valentino del 1984, quello del taglio alla scala mobile. “L’Italia, ha detto il capogruppo al Senato del Nuovo centro destra, è il paese più unionizzato che ci sia, ma i risultati hanno deluso, abbiamo bassi salari, bassa produttività, bassa crescita, alto tasso di lavoro nero. Per questo dobbiamo reagire, uscendo dai cascami del 900 ideologizzato”.
E tutti e due hanno invece insistito perché Renzi non scordi l’articolo 18. “E’ un fatto emblematico, ha detto Sacconi, e non serve limitare l’intervento ai primi tre anni del rapporto di lavoro, deve riguardare tutto il tempo in cui un contratto è in essere, perché l’impresa è una comunità fatta sa persone che si riconoscono e che a certe condizioni possono separarsi, per ragioni oggettive, ma anche soggettive. Anche perché l’articolo 18 influisce sulla propensione ad assumere”. Di qui l’invito a “discuterne senza drammi”. Per D’Amato l’articolo 18 è un punto fisso, da sempre crede che sia proprio qui uno dei difetti maggiori delle regole del nostro mercato del lavoro e per questo ha insistito perché stavolta venga riformato. “Renzi, ha detto, ha mostrato una forte volontà di aggredire i mali del nostro mercato del lavoro, allora non si fermi, vada fino in fondo, discuta anche dell’articolo 18 evitando che intervengano blocchi consociativi a fermarlo. Possiamo rimettere in moto il cambiamento, non perdiamo questa occasione”.
Più negativo nel suo giudizio su Renzi invece Michele Tiraboschi, anche lui al dibattito alla Federazione dei cavalieri del lavoro. “Il premier, ha notato il giuslavorista, va veloce, ma non è detto che arrivi lontano. Ha fatto tanto, ma non ha riformato l’articolo 18 e temo che non lo farà nemmeno in futuro. Ha toccato le cose più facili, ha aggiunto, ha smantellato i contratti a termine e questo non è seguire logiche d’impresa. E lo stesso ha fatto per l’apprendistato, con interventi che sono molto a rischio per le reazioni che possono provocare da parte della Corte di giustizia europea e delle regioni. Ma soprattutto non ha cambiato il verso della politica del lavoro, ha solo introdotto dei miglioramenti”.
Massimo Mascini