Circa tre decenni fa Massimo D’Alema auspicava che l’Italia diventasse una paese normale, cioè con un sistema politico che consentisse l’unione tra le forze più simili tra loro e l’alternanza al potere con le altre dopo le elezioni a seconda di chi le avesse vinte. Non è andata così e non sta andando così. Oggi ci si unisce solo per vincere le elezioni per poi dividersi non appena si è arrivati al governo. È successo al centrosinistra almeno due volte, e altre due alla destra. Che oggi sta replicando la commedia – o la tragedia – giorno dopo giorno. Anche se, per ora, riesce miracolosamente a non mandare il governo all’aria e quindi a restare ben inchiodata al potere. Però lo spettacolo, al quale gli italiani e pure gli europei, sono costretti ad assistere non è certo tra i più edificanti: Giorgia Meloni e Matteo Salvini si detestano e ormai non fanno quasi nulla per nascondere l’astio, soprattutto elettorale, che c’è tra loro. Antonio Tajani fa il pesce in barile e intanto lavora nell’ombra per accreditare il suo partito come una forza moderata e non estremista, una forza che possa piacere alla maggioranza dell’Europa. Non a caso, piano piano, aumenta i suoi voti a discapito della Lega che invece li perde, o comunque resta inchiodata intorno all’otto per cento quando cinque anni superò abbondantemente il 30 nelle scorse consultazioni europee. La competizione nel campo della destra è piuttosto accesa, malgrado il fatto che stiano tutti insieme al governo. Se questo vi sembra un Paese normale…
E non è normale nemmeno l’altra metà della politica, cioè l’attuale opposizione altrimenti detta centrosinistra. Oltretutto per gli attuali dirigenti dei partiti di opposizione sarebbe tutto più facile, proprio perché stanno all’opposizione. Non devono varare leggi, non devono prendere provvedimenti che magari potrebbero scontentare l’opinione pubblica, avrebbero insomma le mani libere per potersi concentrare sulla battaglia politica contro la destra e preparare la rivincita. Invece non ci riescono, e si autocostringono a litigare tra loro sul governatore della Basilicata o su quello del Piemonte, piuttosto che sul sindaco di Canicattì. Nel frattempo dimenticandosi che siamo immersi nelle guerre e adesso anche – e di nuovo – nel terrorismo, mentre la maggioranza degli italiani non gode certamente di buona salute vista la pessima situazione sociale, che va dai salari bassi alla sanità che penalizza chi non può permettersi un’assicurazione privata.
Ora, è vero che incombono le elezioni europee in cui si vota col sistema proporzionale, che quindi obbliga tutti ad andare per conto proprio cercando, quando è possibile, di guadagnare voti a tutti i costi, anche e soprattutto a discapito degli eventuali alleati, tuttavia un minimo di ragionevolezza dovrebbe indurre Elly Schlein, Giuseppe Conte, Nicola Fratoianni, Angelo Bonelli e al limite – ma proprio al limite – perfino Carlo Calenda (lasciamo perdere Matteo Renzi per carità di patria), a dichiarare un cessate il fuoco tra di loro per aprirlo invece contro gli avversari. Non servirebbe un grande sforzo, semplicemente un po’ di senso di responsabilità, se volete chiamatelo buon senso. Ma se così fosse, saremmo appunto in un Paese normale e non nella solita Italia dei campanili dove ognuno fa la guerra al suo vicino per piccole liti di potere o di confine. In questo caso per un pugnetto di voti che serviranno unicamente a misurare i rapporti di forza tra di loro. E non certamente agli italiani.
D’Alema, che per qualche anno ha avuto il ruolo e il potere per ottenere il risultato che auspicava, dovette rinunciare, anche a causa di sé stesso, dei suoi innumerevoli errori e delle sue ambizioni spropositate. Avrebbe potuto essere essere l’uomo giusto per cambiare l’Italia, o almeno la sinistra, invece è finito a produrre vino e a vendere armi alla Colombia. Chissà se Schlein, Conte e tutti gli altri che fanno parte del “magico mondo” del centrosinistra, sanno almeno come si fa il vino?
Riccardo Barenghi