I grandi cambiamenti con cui ci stiamo misurando in questo primo ventennio del nuovo secolo non sono certo figli del caso. Avvengono però ad una velocità tale da lasciare poco spazio all’interpretazione e alla codifica di nuovi ed inediti modelli organizzativi che, inevitabilmente, si trascinano con sé.
Si tratta di accelerazioni strutturali che insistono su ogni ambito del vivere e su ogni sistema, pubblico o privato, favorite da un repentino e pervasivo sviluppo delle tecnologie digitali e di connessione, a cui sono corrisposti nuovi modelli organizzativi e tecniche di produzione, un aumento dell’accessibilità rispetto a contenuti, informazioni e processi, differenti bisogni e percezioni degli stessi. Dinamiche che hanno sconvolto abitudini e priorità, precedendo spesso il dibattito e l’analisi rispetto le ricadute sociali, etiche, giuslavoristiche. Se solo nel 2008, prima della crisi finanziaria, 4 delle prime cinque compagnie americane per capitalizzazione di mercato operavano in settori tradizionali, il panorama è stato completamente stravolto di lì in avanti con la scalata di Apple, Google, Facebook, Microsoft, Amazon, società faro che travalicano la definizione stessa di capitalismo digitale. La fine del modello industriale e della dittatura del profitto, sfuma nel nuovo concetto di impresa che non produce nulla, se non la cosa più importante: il valore. La gestione dei dati, empirici ed emozionali, la capacità di veicolare messaggi, di influenzare spostano il concetto stesso di ricchezza da un’ancora materiale a una immateriale, ma decisamente più potente: Il controllo.
Ciò non significa che l’estensione della digitalizzazione e delle nuove tecnologie, specie laddove queste coincidono con mutazioni innovative di processo, sia qualcosa da temere. E’ piuttosto una transizione da favorire e governare, proprio perché potrebbe contribuire a migliorare non solo la produzione, ma anche il benessere dei lavoratori, quando si innesta una relazione cooperativa tra macchina, elaboratori digitali ed essere umano. Non è certo un caso che oltre 40 dei 235 miliardi previsti nel PNRR siano riservati alla digitalizzazione del sistema produttivo e relazionale, essenziale per lo sviluppo e la competitività del Paese.
Siamo di fronte a fenomeni che stiamo apprezzando anche nei settori che come federazione dei trasporti presidiamo a partire dalla logistica e dalla rete distributiva, spina dorsale di ogni sistema Paese e chiave per un rilancio concreto in termini di efficienza e competitività, che oggi ha in Amazon il principale elemento di novità.
Più 15.000 dipendenti, nelle 9 società con cui il Gruppo opera nel nostro paese, oltre 2.600 sui siti produttivi della nostra Regione. Un fatturato di più di due miliardi di euro in Italia con incrementi dal 2019 che raggiungono oltre il 160% nelle aziende del gruppo attive nel settore della logistica che sono state oggetto dei protocolli sottoscritti nel 2021.
Oltre ad essere un rivenditore, Amazon è una piattaforma di marketing, una rete di consegna e logistica, un servizio di pagamento, un prestatore di credito, una casa d’aste, un importante editore di libri, un produttore di televisione e film, uno stilista di moda, un hardware produttore e fornitore leader di spazio server cloud e potenza di calcolo.
Amazon non solo ha raggiunto il primato nello shopping online attraverso la sua piattaforma, ma si è espansa in una suite di attività aggiuntive accumulando importanti quantità di dati sugli utenti. Dati che le consentono di estendere il proprio controllo sui clienti attraverso esperienze di acquisto personali altamente personalizzate e, grazie al suo Marketplace, di fungere da laboratorio per individuare nuovi prodotti, testare le vendite di potenziali nuovi beni ed esercitare un maggiore controllo sui prezzi. Alle attività core della logistica distributiva il gigante di Seattle associa una cultura d’impresa interamente rivolta alla soddisfazione del cliente finale, colui che attiva inconsapevolmente complesse procedure attraverso un clic sul mouse. Si tratta di una tensione resa attraverso continui investimenti in ricerca e sviluppo tecnologico-digitale orientati, in particolare, all’innovazione e l’efficienza dei processi produttivi su cui vige il controllo del c.d. “narratore omnisciente”, l’algoritmo, che segue e governa ogni fase del ciclo produttivo ordinando ogni sua componente, lavoratori compresi. Questa impostazione lascia già intendere quali possano essere le ragioni e le paure nell’accettare il confronto con soggetti esogeni al sistema come può essere appunto considerato il sindacato.
Si tratta di una condizione che ci ha condotti ad impostare una serie di azioni con un’intraprendenza pioneristica e metodologica solo apparentemente accumunabile alle attività di proselitismo e rivendicazione sindacale tipiche del secolo scorso perché svolte con strumenti diversi, rivolte ad una realtà industriale in cui ad un’essenza neo-tayloristica sul piano organizzativo si accostano peculiarità gestionali di natura digitale complesse e di non facile comprensione, in un territorio caratterizzato da scarse opportunità occupazionali in cui il bisogno di continuità lavorativa prevarica spesso la necessità di esigere i diritti di tutela e rappresentanza. Da qui l’idea di una prima azione dimostrativa, per manifestare la presenza del sindacato e la nostra vicinanza ai lavoratori, che ci ha portati alla predisposizione di una postazione mobile di “Pronto intervento diritti dei lavoratori” (esperienza descritta nel quaderno testimonianza “Algoritmo” pubblicato da Edizioni Lavoro) stazionata di fronte agli stabilimenti di Passo Corese, a cui sono seguiti i primi incontri con gruppi di lavoratori e le successive nomine dei Rappresentanti Sindacali. Proprio su una di queste nomine è maturato il primo scontro causa il mancato riconoscimento di un nostro RSA. Una condotta antisindacale, ai sensi dell’art. 28 della legge 300/70, risolta in sede giudiziaria con l’ammissione delle ragioni della Fit Cisl del Lazio da parte del giudice. Lo stato di agitazione e le pressioni sostenute su ogni territorio regionale, culminate nello sciopero nazionale del marzo 2021 esteso all’intera filiera distributiva, sono stati fattori determinanti per la successiva sottoscrizione in sede ministeriale degli storici protocolli di relazioni industriali, unici al mondo, in cui al punto 2 si riconosce che “Le Relazioni Industriali rappresentano un valore in sé”.
Le credenziali di accesso alla contrattazione constano però anche di preparazione e conoscenza dei fenomeni. Per questo motivo il percorso della Fit del Lazio sul caso Amazon è stato caratterizzato, non solo da un dinamico movimentismo rivendicativo, ma anche da un lungo periodo di analisi, riflessione e confronto con esperti e accademici, in linea con il carattere tipico della Cisl così come riassunto nel commento di Vincenzo Saba, sindacalista, professore, nonché storico direttore del Centro e dell’Ufficio studi del sindacato di via Po: “Solo partendo da un’adeguata comprensione della realtà, sostenuta anche dal concorso di ambienti accademici, allora complessivamente distanti dal lavoro organizzato, era possibile dotare la rappresentanza sindacale di un orientamento culturale adeguato al processo di crescita socio economico che era in corso e renderla capace di esprimersi con una indipendente soggettività collettiva”. Da questa consapevolezza e da queste esperienze di dialogo, ha preso vita la ricerca – “Dal digitale al mondo fisico. Le condizioni di lavoro di Passo Corese” – commissionata dalla Fit Cisl del Lazio ad Andrea Failli, giovane ricercatore, con il coordinamento dell’Ufficio Studi della struttura, discussa in diversi ambienti accademici, vincitrice del premio Pierre Carniti 2021 ma, soprattutto, strumento di lavoro per dirigenti e delegati che si occupano del settore.
In questo elaborato abbiamo ricostruito, con l’aiuto dei lavoratori, il processo produttivo, da cui si evince una caratterizzazione degli stabilimenti reatini quale realtà ibrida, con delle caratteristiche associabili ad una industria 4.0, tra digitalizzazione, automazione e struttura fisica pesante, e un’organizzazione algoritmica tipica anche di forme lavorative nuove nel mercato, come apprezziamo nelle c.d. Gig Economy.
La c.d. economia dei lavoretti, che non rappresenta un settore a sé stante, nel nostro caso specifico significa food delivery e rider. Purtroppo alla “esposizione mediatica” della categoria non è seguito un riconoscimento di analogo risalto dal punto di vista delle tutele, specie per quanto riguarda la salute e la sicurezza di lavoratori che hanno nella strada il loro luogo di lavoro. L’incertezza del legislatore rispetto il riconoscimento della natura subordinata dei rapporti di lavoro in questo ambito, hanno dato adito ad operazioni contrattuali discutibili, favorite dall’eterogeneità dei lavoratori coinvolti che, soprattutto all’apice del momento pandemico, hanno in molti casi trovato la soluzione più veloce e di facile accesso nel divenire platform worker al fine supplire alla carenza d’impiego e alle difficoltà economiche a questo collegate. Ciò ci ha indotto anzitutto a chiederci chi fossero queste persone, intuendo l’evoluzione rapida che si sarebbe determinata con il passaggio da ripiego a mestiere. La fotografia scattata da Inapp nel Rapporto Plus 2022 indica infatti chiaramente come ormai quasi il 50% dei lavoratori delle piattaforme, complessivamente intese) consideri questa attività come principale, con il 50% di quelli coinvolti nelle c.d. location based, nelle quali rientrano i rider, che affermano essere essenziale il reddito derivante da queste prestazioni. Giovani, disoccupati, immigrati, a cui a volte corrispondono episodi di caporalato digitale già oggetto di diverse indagini da parte della magistratura, compongono un complesso mosaico di identità con cui avevamo la necessità di relazionarci pur in assenza di un luogo di lavoro fisico nel quale incontrarli attivando le classiche modalità assembleari. Allora abbiamo deciso di creare direttamente quel luogo, aprendo uno spazio su strada a cui abbiamo assegnato il valore di Stazione (Stazione Lavoro) quale rifugio per viandanti in cerca di ristoro, relazioni umane, informazioni, punti ricarica del proprio strumento di lavoro, in questo caso lo smartphone prima ancora della bici, o di un banale quanto essenziale servizio igienico. La Stazione è stata il punto di approdo, e insieme, di avvio di un articolato e costante dialogo. Un nodo di prossimità sindacale, divenuto in breve tempo punto di riferimento per l’intero quartiere, che riunisce, in particolare, lavoratori sottoposti a tendenze globali e internazionali di cui molto spesso non hanno contezza. I rider sono spesso riflessi stradali, involucri di un pasto consumato in casa o in ufficio, troppo frequentemente vittime strada, luogo di lavoro che sfugge alle previsioni di decreti e normative sulla salute e la sicurezza dei lavoratori, pedine anch’essi che si attivano con un clic inconsapevole del processo di vita che innesca. Questa esperienza ci ha mostrato come il problema della rappresentanza non sia legato esclusivamente alla diffidenza e la difficoltà dell’incontro, ma anche alle diverse motivazioni per le quali è stata intrapresa questa attività. Al ragazzo che lo utilizza come lavoretto per coprire spese extra o al lavoratore che integra una retribuzione primaria poco soddisfacente, si accostano anche situazioni boarderline e nuove marginalità verso cui la dimensione sindacale si fa anche sociale, nell’esercizio costante di confronto per spiegare le ragioni di tutela e di esigibilità di diritti per noi fondamentali. Condizione che ci sta facendo riscoprire anche l’importanza che come corpo intermedio ricopriamo come agenzia di socializzazione e di opinione verso la sensibilizzazione del lavoratore così come dell’utente finale. Una sfida antica per un sindacato moderno. Come Federazione dei Trasporti a livello nazionale siamo riusciti nell’intento di individuare una via alternativa attraverso l’intesa raggiunta con una delle principali piattaforme (Just Eat) con la quale si riconosce l’applicazione del CCNL di riferimento, cioè quello della Logistica e Merci così come previsto dai firmatari dello stesso già nel 2018.
In coerenza e in piena condivisione con quanto è stato ben sottolineato negli scorsi mesi durante il dibattito promosso da Il Diario del Lavoro, a partire dal progetto europeo BreakBack su sindacalizzazione e “servizi collettivizzanti”, le reti di prossimità che stiamo tentando di annodare ai bisogni di tutela del lavoratore e del cittadino devono trovare una qualche connessione con i vari livelli di regolazione locali, nazionali e comunitari per la ricomposizione di un tessuto sociale realmente inclusivo in cui l’interesse e il benessere delle persone torni ad essere il tema centrale da affrontare anche con strumenti ancora inediti, ma costruiti basandosi su una conoscenza dei vissuti e delle dinamiche ad essi correlate verso la quale deve esistere sempre un’attenzione e una tensione alla conoscenza e alla comprensione. Siamo convinti che il Sindacato avrà sempre un ruolo attuale ed insostituibile in una e per una società più equa e più giusta. In questo momento affermare con ragionevolezza ad ogni livello che il cambiamento dei mezzi di produzione non possa coincidere con il cambiamento dei principi e dei valori che sono alla base del lavoro del sindacato e della contrattazione potrebbe rappresentare la posizione più avanguardistica da sostenere nelle complessità politico-sociali in atto.
Marino Masucci, segretario generale Fit Cisl Lazio
Giuseppe Passacantilli, responsabile Ufficio studi Fit Cisl Lazio