Sono la prima potenza industriale, ma in ufficio, in negozio o in azienda gli statunitensi passano circa 200 ore in più di noi. Tra imprenditori, liberi professionisti e dipendenti fanno registrare una media di 1.821 ore di lavoro all’anno contro le 1.606 del nostro Paese. Come se lavorassero cinque settimane in più di noi in un anno, e un anno in più nell’ultimo decennio. È questo lo scenario elaborato dal Centro studi della Cgia di Mestre sulla base di una elaborazione effettuata su dati dell’Ocse. E accanto ai risultati di Stati Uniti ed Italia vengono rilevati anche quelli dei principali Paesi europei.
Si scopre così che i lavoratori francesi raggiungono quota 1.532 e che i tedeschi arrivano appena a 1.467 ore lavorate all’anno. Risultato ottenuto grazia all’introduzione delle 35 ore per legge per i transalpini e agli accordi sindacali avvenuti nelle grandi aziende tedesche che hanno introdotto forti misure di flessibilità nell’orario.
Più zelanti sembrano essere gli inglesi, con 1.711 ore, il primato in Europa spetta agli spagnoli, vicinissimi agli Usa, con 1.816 ore. La penisola iberica, tra l’altro, vanta un secondo primato, quello di aver incrementato il numero di ore lavorate negli ultimi cinque anni. Erano 1.813 nel 1997. In tutti gli altri Paesi sui quali si è concentrata l’attenzione e l’analisi della Cgia di Mestre, invece, la tendenza è alla riduzione. Cinque anni fa negli Stati Uniti, i lavoratori producevano per 1.849 ore, gli inglesi per 1.737, gli italiani per 1.640 ore, i tedeschi arrivavano a 1.513 e i francesi a 1.657. L’analisi della Cgia mette poi a confronto i dati relativi al tasso di occupazione al 2001 di ciascun Paese e l’andamento percentuale medio sia delle ore lavorate sia della produttività media nel periodo 1990-2001. Osservando il dato relativo all’occupazione emerge che Italia e Spagna nonostante un monte ore elevato (rispetto a Francia e Germania, ad esempio) presentino livelli di occupazione relativamente bassi. “Ciò sta a significare – sottolinea il segretario della Cgia di Mestre Giuseppe Bortolussi – che la presenza di contratti cosiddetti atipici è poco presente in queste realtà. Quindi, meno occupati degli altri ma che lavorano di piu”.
Interessante anche il confronto tra l’incremento delle ore lavorate e il livello di produttività ottenuto tra il 1990 e il 2001. “Non riscontriamo – conclude Bortolussi – una linearità tra la diminuzione dell’orario che è avvenuto in tutti i Paesi e un corrispondente aumento della produttività. Certo, l’avvento dell’informatica e delle nuove tecnologie nelle grandi imprese ha indubbiamente contribuito a migliorarne la produttività. Forse è per questo, che l’Italia è il Paese che ha registrato l’incremento (0,45%) pi— modesto. Non perchè abbiamo meno grandi imprese di tutti, bensì perchè sono poco competitive in campo internazionale”.
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