Gli unici che hanno diritto a lamentarsi sono i Brambilla, gli alfieri delle piccole e medie imprese, che sono il cuore del sistema industriale italiano. Ma, per il resto, il dibattito sull’energia è una sorta di fiera delle bufale. Non è vero che l’Italia è un paese strangolato dal costo dell’elettricità. Non è vero che ci sono imprese in ginocchio o in fuga (come l’Alcoa) per il peso delle bollette. Non è vero che i bilanci familiari sono saccheggiati da insostenibili sussidi alle rinnovabili. Una ricerca condotta da lavoce.info, Legambiente e Kyoto Club rivede i conti e scopre che gli italiani, più o meno, pagano l’energia quanto i tedeschi, i più simili a noi per l’importanza del comparto manifatturiero. Le grandi imprese consumatrici di energia, tipo l’Alcoa ( 70-150 mila megawattore l’anno) spendono il 15 per cento in meno degli omologhi tedeschi. Le famiglie pagano 20 centesimi a kilowattora, contro i 31 delle famiglie tedesche. Chi è penalizzato sono piuttosto le piccole medie imprese (500-2000 megawattore l’anno di consumo) che, con 19,5 centesimi a kilowattora, sono il 30 per cento sopra la media europea, ma solo il 4 per cento sopra i colleghi tedeschi.
In assoluto, comunque, in Italia nessuno si svena per la bolletta della luce. Non le famiglie. L’energia pesa per il 5 per cento sulla spesa media mensile (2.500 euro), ma per metà riguarda il riscaldamento. Ben più caro il capitolo trasporti, a cominciare da auto e benzina, che si mangiano il 14 per cento del bilancio. E le imprese? La bolletta dell’energia elettrica pesa sui bilanci aziendali per oltre il 3 per cento del fatturato solo nel 3,8 per cento delle imprese italiane. Nel 20 per cento dei casi, il costo dell’energia non incide più dello 0,1 per cento degli incassi e, in un altro 50 per cento, resta sotto lo 0,5 per cento del fatturato. Da questo punto di vista, sembrano star peggio i tedeschi. Il 92 per cento delle imprese, in Germania, destina l’1,6 per cento dei ricavi all’elettricità e, nell’8 per cento dei casi, l’incidenza della bolletta supera il 6 per cento del fatturato. A livello globale, l’industria manifatturiera spende, per l’energia, mediamente il 2,2 per cento dei ricavi.
E le rinnovabili? Davvero da anni le famiglie italiane si svenano per tenere in piedi una ipertrofica scommessa sul futuro? Il problema, qui, non è l’effettiva articolazione dei sussidi e la loro trasparenza. Il problema è: vale la pena o no? E tagliarli un po’ non darebbe respiro alle famiglie? Le risposte che vengono dalla ricerca sono abbastanza nette. Sole e vento sono i pochi investimenti sul futuro fatti dall’economia italiana negli ultimi venti anni e anche fra le poche occasioni di occupazione nel buio della crisi. Sono importazioni di energia in meno nei prossimi decenni. E non costano una cifra spropositata: 10 miliardi di euro l’anno, contro i 20 miliardi di euro dei tedeschi, il cui mercato elettrico è il doppio del nostro. La loro eliminazione non comporterebbe un risparmio avvertibile dalle famiglie. Se una famiglia italiana spende in media, ogni mese, per le sue varie necessità, 2.500 euro, azzerare nelle bollette qualsiasi onere riferito alle fonti rinnovabili comporterebbe un risparmio di 7 euro. Cioè il 3 per mille.