La colpa, in breve, è della signora Maria. E di tutte quelle come lei che, in età ormai matura, vanno ad affollare il mercato del lavoro, facendo schizzare verso l’alto il tasso di disoccupazione. Se restassero, buone buone, a casa, l’Europa non farebbe la figura di un deserto di posti di lavoro, di fronte ad una pimpante America. Almeno, a credere alle statistiche che vanno, invece , maneggiate con cautela e che non sempre dicono quello che sembra. In particolare, quando, nel giro di pochi giorni, si annuncia che il tasso di disoccupazione, nell’eurozona, è del 12 per cento e, negli Usa, quasi la metà, il 6,6 per cento, uno si sente autorizzato a pensare che in America c’è la ripresa e in Europa no. Che è vero, ma ha poco a che fare con il tasso di disoccupazione e con le prospettive dei lavoratori. La verità è che, in Europa, il ristagno continua a gonfiare la lista dei senza lavoro, mentre in America la ripresa c’è, ma è “jobless”, non crea nuovi posti. Forse, è anche peggio.
Cosa succede? Nel 2010, il tasso di disoccupazione, di qua e di là dell’Atlantico, era allo stesso livello: 10 per cento. Quattro anni dopo, è salito in Europa al 12 per cento ed è sceso in America al 6,6 per cento. Ma c’entra più la statistica che la ripresa. Il tasso di disoccupazione misura, infatti, il numero di persone che cercano attivamente lavoro, rispetto al totale di chi il lavoro ce l’ha, più chi lo sta attivamente cercando. Se questo secondo numero diminuisce, perché una quota crescente di disoccupati rinuncia a cercare lavoro, anche il tasso di disoccupazione diminuisce. Poniamo che gli occupati siano 90 e i disoccupati in cerca di lavoro 10. Il tasso di disoccupazione è del 10 per cento. Adesso supponiamo che la metà dei disoccupati rinunci a cercare un posto ed esca così – statisticamente – dalla forza lavoro. I disoccupati in cerca di lavoro scendono a 5 e il totale di occupati più chi cerca lavoro a 95. Il tasso di disoccupazione è il 5,26 per cento. Questo sta avvenendo negli Stati Uniti, dove la partecipazione alla forza lavoro è scesa di tre punti, dal 66 per cento della popolazione nel 2010, all’attuale 63 per cento.
La ripresa “senza lavoro” è un fenomeno grave e inquietante, soprattutto per chi cerca di guardare alla futura ripresa europea. Ma, per restare alla statistica, cosa sarebbe successo se l’Europa avesse sperimentato una fuga dal mercato del lavoro paragonabile a quella americana? Il tasso di disoccupazione – sempre per motivi di banale aritmetica – non sarebbe del 12 per cento, ma del 9,5 per cento, ha calcolato la Federal Reserve di New York. Cioè inferiore al livello del 2010. Ma non ci sarebbe da applaudire. Questo, tuttavia, ancora non spiega perché gli americani si rassegnino a non lavorare (o, almeno, ad apparire nelle liste dei disoccupati, una volta che il tempo utile per il sussidio di disoccupazione si è esaurito), pur vedendo che c’è la ripresa, mentre gli europei restano ottimisti, anche se la ripresa non si vede.
E, in effetti, non è così. Gli uomini europei abbandonano la ricerca del lavoro, nella stessa misura in cui lo fanno tutti gli americani, uomini e donne. La differenza la fanno le donne europee, che invece continuano a presentarsi alle agenzie di collocamento. Ma neanche tutte. Solo la signora Maria. Negli ultimi anni, la partecipazione delle giovani donne (sotto i 45 anni) al mercato del lavoro è rimasta pressochè uguale: intorno al 70 per cento in Germania e in Francia, il 60 per cento in Italia. Quello che è cambiato è l’atteggiamento delle donne sopra i 45 anni che, superato il periodo più impegnativo della maternità, si presentano in misura crescente alla ricerca di uno stipendio. Perché si sentono più libere ed autonome con una propria fonte di reddito, come le loro sorelle minori. Ma anche perché il morso della crisi spinge a cercare una seconda busta paga (che spesso diventa anche l’unica) da portare a casa. Per le donne over-45, negli ultimi vent’anni, la partecipazione alla forza lavoro è salita dal 30 al 40 per cento in Germania e in Francia, dal 18 al 30 per cento in Italia.
Maurizio Ricci