Forse la destra non ride, ma certamente la sinistra piange. Lo spettacolo che sta mettendo in scena il cosiddetto campo largo o giusto che sia, non è solo ridicolo ma è grottesco. Quello litiga con quell’altro che a sua volta litiga con il terzo, il quale terzo sbatte la porta… e così via in una sorta di coazione a ripetere che fa venire voglia di non votare per nessuno. Un’astensione punitiva contro tutti i protagonisti di quello che poteva essere, ma non sarà, il nuovo centrosinistra. Ma così – si obietta – vincerà sicuramente la destra: certo – contro obiezione – ma vincerà lo stesso se pure gli elettori del centrosinistra non si astenessero e votassero ognuno per il proprio partito di riferimento: se non nascesse una qualche alleanza, un’unità di intenti che possa quanto meno far sperare in una vittoria prima alle europee (sommando i voti delle varie liste visto che si vota col proporzionale) e poi alle elezioni politiche quando saranno, presentandosi tutti insieme, ci sarà poco da fare. Giorgia Meloni vincerà anche quelle e governerà fino a nuovo ordine.
Conte non vuole stare insieme a Calenda, Calenda viceversa, entrambi non vogliono unirsi a Renzi il quale comunque non sembra avere alcuna intenzione di unirsi al centrosinistra (lui ormai guarda a destra, o almeno al centro nel senso di Forza Italia), il Pd è diviso in due o tre pezzetti, con Elly Schlein che ce la mette tutta per cercare di aggregare l’impossibile, magari escludendo Renzi, i cosiddetti riformisti che odiano i Cinquestelle e dunque non accettano di allearsi con loro, ma con Renzi sì. E così via in un circolo vizioso da cui non si vede come e se se ne possa uscire.
Dopo la vittoria in Sardegna è arrivata la sconfitta in Abruzzo, e probabilmente arriverà anche quella in Basilicata visto che il personaggio tirato fuori del cilindro di Schlein e Conte non piace né a Calenda né a Renzi. Dopo di che arriverà giugno con le elezioni europee in cui è già chiaro oggi ognuno conterà i suoi voti per poi farli pesare all’eventuale tavolo di trattative che forse si aprirà dopo l’estate. Forse.
È chiaro infatti che al di là dei singoli protagonisti e protagonismi, che pure pesano parecchio, esiste proprio un problema di compatibilità politica e culturale. Non basta schierarsi contro la destra che governa per far vita a un progetto politico: ci vorrebbe ben altro, ci vorrebbe un’idea comune di cosa dovrebbe e potrebbe essere il nostro Pese nel futuro. Ma questa idea non c’è, c’è solo un nugolo di partiti o partitini che pensano solo a se stessi, a quanto potrebbero prendere, se riusciranno a raggiungere il 4 per cento che consentirebbe loro di far entrare nel Parlamento europeo due o tre deputati (per fare che cosa non lo sanno neanche loro), come possono occupare il più possibile gli spazi televisivi per poter enunciare le loro proposte (chiamiamole così) e soprattutto far vedere che ancora esistono. Che sono vivi.
Ma questa non è una vita in politica, bensì solo una semplice testimonianza che non serve a a nessuno, neanche a loro. E tanto meno a quella mezza Italia che non sopporta il governo di questa destra e che vorrebbe un cambiamento tanto radicale quanto di buon senso. Un cambiamento che semplicemente metta al centro dell’azione politica – e magari di un futuro governo alternativo a quello attuale – poche cose ma decisive, dalla sanità e la scuola da nutrire con nuovi finanziamenti, all’immigrazione da controllare magari ma non maltrattare fino alle tasse da far pagare a chi non le paga. Basterebbe mettersi d’accordo su queste poche ma importanti questioni per convincere gli italiani a votare il centrosinistra. E anche sulla guerra e le armi all’Ucraina, pur essendo le posizioni molto diverse, non è affatto detto che non si possa trovare un punto di mediazione.
Purtroppo la storia non sta andando in questa direzione, tutt’altro: sta andando verso l’ennesima lite tra comari (il famoso scontro del 1982 tra il ministro democristiano Beniamino Andreatta e quello socialista Rino Formica), che si trascinerà per molti mesi. In fondo sono tutte comari, Conte, Calenda, Renzi, i riformisti del Pd, le altre comparse: tutti a insultarsi da un balcone all’altro, con la malsana idea che vince chi strilla più forte.
L’unica che si salva da questa imbarazzante scena è la leader del Pd, che appare come l’unica dotata di un qualche raziocinio politico. Ma da sola Schlein non riuscirà in una missione che al momento appare impossibile, per quanto tenace lei non è Tom Cruise e soprattutto quello a cui stiamo assistendo non è un film ma una pessima farsa. Farsa peraltro a cui la nostra sinistra ci ha abituato diverse volte in passato, basti pensare a come è stato fatto cadere Romano Prodi nel 1998 e poi nel 2008: anche in queste due occasioni non sono mancate le comari, da Bertinotti a D’Alema a tutti gli altri.
E allora, viene voglia di parafrasare una storica battuta di Totò: “Poi dice che uno si butta a destra”.
Riccardo Barenghi