La ripresa è fragile. Non solo perchè i segnali che vengono dall’economia italiana sono ancora deboli e incerti, ma anche perchè si inseriscono in un contesto internazionale che non è favorevole. In altre parole, le stelle non sono allineate, per ora, nel modo giusto per la ripresa ed è dubbio che il risultato delle elezioni tedesche, che sembra benedire la politica seguita da Angela Merkel anche all’interno della Germania, fornisca la spinta necessaria. La prima conferma arriva dal trend estivo dell’inflazione.
Apparentemente, i prezzi – in Italia, come in Spagna – hanno subito un rallentamento tanto vistoso da aver migliorato la competitività, che è il problema cruciale per la ripresa in ambedue i paesi. Rispetto all’agosto 2012, l’inflazione è passata in Italia da un ritmo annuale del 3,3 per cento all’1,2. In Spagna, dal 2,7 per cento all’1,6. Una brusca frenata, che dovrebbe aver reso i prodotti italiani e spagnoli più appetibili sui mercati internazionali. E, invece, no. Perchè anche la Germania, la pietra di paragone della competitività italiana e spagnola, ha ridotto l’inflazione e, di conseguenza, il nostro recupero di competitività. Dal 2,2 per cento dell’agosto 2012, i tedeschi sono passati all’1,6. Di fatto, per gran parte del 2013, l’inflazione spagnola si è mossa parallelamente a quella tedesca e il recupero italiano si limita a qualche decimo di punto. E lo stallo è, probabilmente, anche più netto. Se, infatti, si scorporano dall’inflazione prezzi volatili come quelli dell’energia e del cibo, il dato complessivo dell’area euro è quasi immobile: da maggio ad agosto ha oscillato fra l’1,2 e l’1,1 per cento. A questi ritmi, per recuperare competitività, Italia e Spagna dovrebbero scendere abbondamente sotto lo zero, accettando una brutale deflazione.
Infatti, i dati del commercio internazionale non sono lusinghieri. Nei primi sei mesi del 2013, la Germania non ha, per fortuna, aumentato le esportazioni (quindi non ha accresciuto la pressione sui paesi più deboli), ma, anziché aumentare i suoi acquisti dall’estero, li ha diminuiti e il risultato è che il suo surplus commerciale è ulteriormente aumentato. La Spagna ha aumentato l’export, ma resta in deficit. E l’Italia è rimasta ferma: nella prima metà del 2013, l’aumento dell’export, rispetto ad un anno fa, è stato uguale a zero. Il nostro saldo commerciale è migliorato solo perchè, in parallelo con la recessione, le importazioni sono crollate del 7 per cento. Questo strangolamento della domanda interna non è la ricetta per la ripresa. Nè ha gli effetti che, secondo i teorici dell’austerità, dovrebbe avere sui costi e la concorrenzialità delle imprese. Fra aprile e giugno di quest’anno, i salari nominali sono cresciuti in Italia, rispetto ad un anno prima, dell’1,9 per cento e in Germania del 2,2 per cento. La differenza continua ad essere troppo ridotta.
Molti economisti continuano a ritenere che questo, tuttavia, sia inevitabile e, su questa base, criticano la politica tedesca di questi anni. Sergio De Nardis, di Nomisma, osserva, infatti, sulla voce.info. che in tutte le moderne economie industriali i salari sono assai poco flessibili verso il basso. Se, dunque, la Germania non favorisce l’aggiustamento, spingendo con decisione verso l’alto i propri salari, il riequilibrio avviene da una parte sola – i paesi deboli – e, al loro interno, sulla parte più debole. Non sono i salariati a sopportare il peso dell’aggiustamento, ma chi un lavoro non ce l’ha: il riequilibrio viene avviato con un collasso del mercato del lavoro che fa esplodere il tasso di disoccupazione. Il costo sociale è enorme, ma non è l’unico. De Nardis, analizzando il rapporto fra produzione industriale e utilizzo degli impianti, registra che la capacità produttiva dei paesi mediterranei, rispetto alla Germania, si sta riducendo. L’andamento più positivo delle esportazioni non deve ingannare, perchè la compressione della domanda interna colpisce anche le industrie esportatrici (che nel caso italiano, hanno i due terzi del fatturato, in media, dentro i confini). L’erosione dei fattori produttivi, insomma, avviene su tutt’e due i versanti: i lavoratori, da un lato, ma anche gli impianti dall’altro. La strada della ripresa è anche più ripida di quanto appare a prima vista.
Di Maurizio Ricci