“E la sinistra che fa?”. “La sinistra è ammanicata”. Battuta colta al volo, in un bar di periferia, durante un’accorata riflessione collettiva sull’incipiente miseria. Ammanicato, spiega il dizionario Treccani, significa essere influenti, avere protezione, appoggi, aderenze. Ed ecco che la fulminante espressione usata da una simpatica cassiera, quella che un tempo sarebbe stata definita una popolana, assume una forza icastica che vale più di mille analisi. Da una parte i privilegiati, protetti dal Pd, pasciuti e benpensanti, dall’altra la gente umile, quella che si affanna a mettere insieme il pranzo con la cena, che aspetta la cassaintegrazione, che stenta a far ripartire il negozio, il ristorante, la bottega. Uno specchio deformato e parodistico delle differenze di classe. Un’immagine paradossale ingigantita dal coronavirus.
Persone che pensano di non essere rappresentate, di non avere voce, di doversi affidare solo alle proprie forze. Irretite, illuse. ingannate da un’opposizione spregiudicata e dimenticate da una maggioranza ripiegata sul proprio ombelico. Vittime sia di una forsennata propaganda anti-élite sia degli esiziali errori di chi siede a Palazzo Chigi. Piccola borghesia spaventata, dipendenti sfruttati, operai licenziati, contadini negletti, disoccupati afflitti, lavoratori in nero, anziani angosciati, ambulanti stremati, commesse stressate. E poi artisti, attori, musicisti, saltimbanchi, poeti, studenti fuori corso, laureati in cerca di un impiego qualsiasi, giovani senza futuro le cui belle speranze sono diventate brutte. Da un Paese che fa ripartire il campionato di calcio con insolita celerità e litiga su come riaprire le scuole, verrebbe solo voglia di scappar via.
Ora arrivano i miliardi concessi dalla Comunità europea. Una bella torta ma tagliare le fette e distribuirle esige mano ferma e visione d’assieme. Non è in gioco la stabilità del governo, il cui futuro appassiona poco chi scrive queste note anche se concorda con Bersani su quanto sarebbe stata nefasta la presenza dei sovranisti nella stanza dei bottoni, ma la tenuta sociale. Giuseppe Conte, sempre più preda di un solipsismo gnoseologico-metafisico, ha convocato i pomposi stati generali dell’economia. Passerella o utile momento di confronto? Si vedrà, il dubbio è d’uopo. I piddini battono i pugni sul tavolo, non vogliono stare dietro le quinte, ma siamo ancora in presenza di logiche elargitive e in assenza di un credibile programma complessivo.
“C’è da riflettere sull’incapacità decennale della sinistra di intendere la dinamica dei conflitti nei luoghi di lavoro e sulla tendenza, con la complicità di una sociologia pigra ed ideologica, a ricondurli sempre ad un problema redistributivo, in teoria il più facile a dominare una volta insediati nella macchina statale”, annotava il 16 aprile 1994 Bruno Trentin nei suoi sconvolgenti diari. Ecco il vizio d’origine del Pd.
Il partito comunista, da Palmiro Togliatti ad Enrico Berlinguer, dalla svolta di Salerno al compromesso storico, aveva nel proprio Dna la cultura della responsabilità, della riduzione del danno, della salvaguardia della democrazia. I suoi eredi, per sopravvivere, senza avere il coraggio di fare almeno allora una coerente scelta socialdemocratica, hanno prima imboccato la blairiana terza via che conduceva inevitabilmente all’esaltazione del libero mercato, seppur temperato dallo stato sociale, e poi, nell’incontro con i cattolici progressisti orfani della Dc, hanno dato vita ad un organismo fatto apposta per governare. Ma se lasci sotto le macerie del muro di Berlino ogni analisi sui processi di accumulazione delle ricchezze e ti fai ammaliare dalle multinazionali, il capitalismo dal volto umano assume un ghigno sarcastico. E il farsi carico diventa poltronismo. Correnti, faide, spartizione di posti, personalismi.
L’intellettuale collettivo che nella visione di Antonio Gramsci avrebbe avuto il compito di promuovere una rivoluzione culturale e morale tale da trasformare il proletariato in classe dirigente, è scomparso tanto tempo fa, senza lasciare traccia. Ma qual è il soggetto politico della sinistra capace almeno di rompere l’identificazione con la casta?
Nicola Zingaretti, a gennaio, aveva annunciato un congresso per cambiare tutto: “sciolgo il Pd e lancio il nuovo partito”. La pandemia ha messo in quarantena anche questo progetto. E adesso? Da che si riparte? La stentata sopravvivenza dell’attuale esecutivo è l’unica prospettiva?
L’ammanicamento obnubila.
Marco Cianca