Non c’è voluto molto tempo affinché la destra al governo mostrasse la sua vera faccia, pochi giorni, neanche settimane, ed eccoci alla repressione delle feste dei ragazzi (i famosi, o per qualcuno i famigerati rave party), alla linea dura, durissima contro i migranti che tentano di sbarcare sulle nostre coste, respinti con perdite, che in questo caso non è una eufemismo perché le perdite sono le vite di persone che muoiono in mare, alla lotta al Covid che in un batter d’occhio diventa la lotta a chi ha lottato contro il Covid e si è vaccinato: infatti medici e infermieri non vax possono tornare tranquillamente a lavorare negli ospedali alla faccia dei loro collegi che invece si sono vaccinati. E alla faccia anche dei ricoverati, che se si ammalano di Covid “me ne frego” (come diceva quello un secolo fa…).
E meno male che nei giorni scorsi Giorgia Meloni era riuscita a convincere qualche commentatore, opinionista, conduttore televisivo, qualche politico anche non di destra che era cambiata, che era diventata moderata, una con la quale si sarebbe anche potuto raggiungere mediazioni virtuose. Non era così e così non sarà, la destra che sta al governo –in particolare il partito di Meloni e quello di Salvini – non ha nessuna intenzione di cambiare natura, tutt’altro. Deve dimostrare agli italiani – e in particolare ai suoi elettori – che non hanno sbagliato a votarla, ma che, al contrario, le promesse fatte in campagna elettorale diventeranno presto fatti politici e legislativi. D’altra parte, dal loro punto di vista hanno anche ragione: perché dovrebbero cambiare idea quando le loro idee sono sempre state quelle e si sono radicate nel tempo e sono state pure premiate nel voto del 25 settembre. Coerenti, sono coerenti. Peccato si tratti di una coerenza nefasta per molti italiani, diciamo pure la maggioranza visto che in fondo i voti che ha preso la coalizione di destra arrivano al 43 per cento, dunque si potrebbe sostenere – e in molti lo hanno fatto – che la maggioranza degli italiani non ha votato la destra. Un discorso vero ma inutile, il sistema elettorale è questo qui e dunque chi vince con un certo margine ottiene il diritto e i numeri parlamentari per governare.
Ma siamo solo all’inizio, altri guai sono in arrivo, a cominciare dai diritti civili e da quelli sociali. Non ci vorrà molto tempo per scoprire quanto sarà più difficile abortire, malgrado quello che dicono la premier e la sua ministra per la famiglia e la natalità Eugenia Roccella. Quanto aumenteranno i medici obiettori di coscienza? Quanto sarà complicato per le coppie gay vivere una vita normale? Per non parlare delle persone transgender. Quanto sarà arduo difendere i diritti acquisiti sul lavoro, quanto aumenteranno i licenziamenti senza giusta causa (che peraltro è stata abolita dai governi precedenti)? Potremmo continuare a lungo, parlando di economia, delle tasse che diminuiranno solo per i ricchi, del rapporto con l’Europa che sarà conflittuale (un primo assaggio lo abbiamo visto l’altro giorno quando la Meloni è andata a Bruxelles), ma ci siamo capiti.
L’unica speranza che abbiamo sono due. La prima è che la sinistra si svegli, si unisca il più possibile e scenda in campo seriamente come fece quando al governo c’era Berlusconi (sia nel ’94 sia nel 2002), ma è una speranza pressoché vana visto lo stato comatoso della nostra opposizione, peraltro più divisa che mai.
La seconda speranza – e questo è il paradosso dei paradossi – si chiama Forza Italia. Forse, ma proprio forse, potrebbe essere il partito di Berlusconi quello che rompe il gioco, è infatti evidente che nella coalizione non si trova a proprio agio, i sondaggi che lo riguardano scendono ogni giorno di più. Soffre il Cavaliere (poverino…), soffre perché è costretto ad appoggiare politiche che non lo convincono, politiche non garantiste, vedi i rave party) e politiche non in sintonia con l’Europa ma troppo vicine all’Ungheria di Orban e alla Polonia di Morawiecki. E soffre soprattutto perché non comanda lui, ma anzi deve ubbidire agli ordini di una giovane premier che – come lui stesso ha scritto su quel foglio scovato dalle telecamere in Senato – giudica “supponente, prepotente, arrogante e offensiva”.
Insomma, alla povera sinistra italiana non resta che intonare in coro uno slogan non suo: “Meno male che Silvio c’è”…
Riccardo Barenghi