L’inizio dell’anno è il momento classico per fare dei bilanci di quanto accaduto e soprattutto per tentare previsioni su cosa potrà accadere nel prossimo e meno prossimo futuro. Compito assai ingrato in questi giorni, caratterizzati soprattutto dall’incertezza. Politica, economia, società, dove ci si gira la visione è sempre appannata, nebulosa. Non si sa cosa accadrà la prossima settimana, e gettare lo sguardo più lontano può sembrare inutile. L’unica cosa certa è che il nostro paese è sempre in ritardo, dietro gli altri. Lo svantaggio verso la concorrenza è sempre alto e tende a crescere, mai a diminuire.
Eppure, l’Italia avrebbe degli atout indiscutibili su cui poter contare. Siamo, bene o male, la seconda nazione nella manifattura in Europa, le aziende italiane si fanno onore nel mondo, disponiamo della manodopera migliore, a tutti i livelli, la più preparata, la più efficiente. Siamo primi nel gusto, nel fashion, in tutti i reparti del lusso. Quando si dice Italia si fa cenno sempre all’eccellenza. E infatti le nostre esportazioni corrono, ma mai in maniera sufficiente. Ci manca la struttura, una macchina statale che funzioni, una vera capacità a gestire la cosa pubblica, a programmare l’avvenire, a gestire il presente nella maniera migliore.
È sempre così, eravamo in difficoltà prima della grande crisi, ne siamo usciti dopo gli altri e il gap che avevamo è cresciuto. Non riusciamo a correre, è come se fossimo intorpiditi, incapaci di svegliarci per poter fare come gli altri. Non che i nostri partner europei stiamo molto meglio, ma noi, forse, stiamo un po’ peggio e questo fa la differenza. Ci servirebbe un Big Bang, una sveglia potente, che ci aiuti a capire i nostri malanni e come metterci riparo. Il problema è indovinare chi può dare luogo a questo Big Bang, in cosa questo può consistere.
Sui soggetti in grado di farci correre c’è poco da dire. La nostra classe dirigente è abbastanza scarsa. Lo sono certamente i nostri uomini politici, che litigano sul nulla senza guardare ai problemi veri, senza mai alzare gli occhi all’orizzonte, ma anche gli imprenditori e i sindacalisti non sembrano brillare. Le eccezioni ci sono, ovviamente, ma sono tali, i numeri veri non ci sono mai. E manca anche l’Europa, alla quale giustamente a lungo si è guardato come alla possibile fonte della nostra ripresa. La nuova classe di eurocrati non sembra brillare: non era facile reagire, ma l’assenza dell’Europa in questi giorni in cui i venti di guerra sono tornati a tuonare parla da sola.
Nel campo delle relazioni industriali, che è il nostro, si è alzata la voce di Maurizio Landini a chiedere un nuovo grande accordo che ci salvi dal torpore e dia un po’ di gas al nostro motore. A parte il fatto che di accordi ne abbiamo avuti parecchi in questi anni, c’è da dire che la proposta del leader della Cgil non ha avuto grandi risposte. Tutte di maniera, grandi, o piccole, parole, nulla di serio. Nessuno si è fermato a cercare di capire cosa davvero ci servirebbe. E si è persa un’altra occasione, un momento di verità che poteva agitare un po’ le acque e magari portare a casa un risultato.
Un peccato, perché un grande accordo avrebbe certamente scosso gli animi, avrebbe potuto essere l’occasione per prendere coraggio e ripartire davvero. In fin dei conti fu quello che accadde con i grandi accordi del 1992 e 1993, quando l’Italia era davvero in ginocchio, ma le parti sociali, d’accordo con governi coraggiosi, riuscirono a darci lo sprone. Non è che quegli accordi da soli furono sufficienti, ma certamente servirono, perché sapere che c’è chi si muove, non sta fermo ad aspettare gli eventi, già solo questo è un dato positivo che può dare il via a una sorta di riscossa.
Dato che però di grandi accordi non se ne parla, almeno fino a quando non sarà risolta la partita del vertice di Confindustria, e qualcosa si sta muovendo, sarà bene che quanto meno ciascuno continui a fare la sua parte. Senza salti, ma portando avanti i propri compiti. Imprese e sindacati, sempre per restare nel campo delle relazioni industriali, devono fare il loro mestiere, contrattare, rinnovare gli accordi nazionali e aziendali, cercare di risolvere i piccoli problemi, almeno perché non crescano a bloccarci. La politica dovrebbe prendere atto di questo lavoro e battere un colpo. Non servirebbe molto, ma questo poco deve arrivare.
Massimo Mascini
Per i nostri lettori pubblichiamo qui di seguito una scelta delle notizie e degli interventi più significativi apparsi nel corso della settimana su ildiariodellavoro.it (Vai al sito per leggere il giornale completo, aggiornato quotidianamente dalla nostra redazione).
Contrattazione
Questa settimana è stato sottoscritto il contratto nazionale dei lavoratori delle fabbricerie. L’accordo raggiunto, spiegano i sindacati di categoria, garantisce un aumento contrattuale tabellare medio del 3,6% a cui si aggiunge un aumento del premio di risultato dello 0,3% calcolato sulla massa salariale del 2017. Dal punto di vista normativo, aggiungono Fp-Cgil, Cisl-Fp e Uil-Fpl sono state aumentate le materie riconducibili alla contrattazione aziendale. Nel commercio è stata prorogata, fino al 23 maggio, la cassa integrazione straordinaria per i 1.689 lavoratori di Mercatone Uno. Dopo l’intesa, spiegano le parti, proseguirà il confronto con l’obiettivo finale di garantire la salvaguardia dei livelli occupazionali.
La nota
Fernando Liuzzi analizza gli ultimi sviluppi della vicenda dell’ex-Ilva, dopo che il Tribunale del riesame di Taranto ha accolto il ricorso presentato dai Commissari straordinari, cancellando l’obbligo di spegnimento dell’Afo2. Il Tribunale ha concesso altri quattordici mesi di tempo per mettere in regola l’impianto. Intanto, proseguirà la trattativa tra il governo e Arcelor Mittal.
Analisi
Luigi Agostini spiega come il recente accordo FCA /PSA suggerisca alcune considerazioni che riguardano la tendenza del mercato alla concentrazione oligopolistica, la funzione sociale dell’impresa e il ruolo del sindacato. Sempre Agostini fa il punto sulla crisi dell’ex-Ilva, dopo la decisione del Tribunale del riesame di Taranto di non spegnere l’Afo2.
Alessandra Servidori analizza i dati di Eurostat che dimostrano il peso della discriminazione salariale di genere nelle retribuzioni.
Il guardiano del faro
Marco Cianca si chiede se oggi sia immaginabile che Donald Trump chieda a qualcuno di spiegargli Kant in un tweet. Con 280 battute, osserva Cianca, si può scatenare un nuovo conflitto ma non ragionare su sé stessi, sulla conoscenza e sull’intelletto.
I blog del Diario
Giuliano Cazzola sottolinea come nelle motivazioni con cui il tribunale del riesame di Taranto ha concesso la proroga all’Afo2 sono contenute affermazioni importanti per quanto riguarda il rapporto tra lavoro, sicurezza e ambiente.
Il diario della crisi
Nel trasporto aereo Filt-Cgil, Fit-Cisl, Uiltrasporti e Ugl TA, dopo l’incontro con la ministra De Micheli, hanno confermato gli scioperi per la giornata del 14 gennaio a causa delle profonde criticità che interessano il comparto e che richiedono interventi urgenti da parte del governo. I sindacati di categoria, Fillea-Cgil, Filca-Cisl e Feneal-Uil, hanno proclamato per il 21 febbraio lo sciopero generale del settore legno-arredo dopo lo stop alle trattative per il rinnovo del contratto con Federlegno. La Fiom-Cgil ha proclamato lo sciopero dei lavoratori della Dedalus Italia, azienda che si occupa di software sanitaria, a seguito della decisione dell’azienda di spostare unilateralmente la data di pagamento delle retribuzioni per le lavoratrici e i lavoratori.
Documentazione
Questa settimana è possibile visionare la Nota mensile sull’andamento dell’economia italiana dell’Istat, le cifre sulla produzione industriale e il rapporto su occupazione e disoccupazione sempre dell’Istat.