Che gli è preso ai tedeschi? Va bene, “sono – dice Isabel Schnabel, la tedesca che siede nel board della Bce – tempi difficili e straordinari”. Ma Horst Seehofer, il leader bavarese, oggi ministro dell’Interno, non era quello che nel 2011 diceva che “non supereremo l’indebitamento cronico dividendo fra noi i debiti”? E chi era il ministro che, nello stesso anno, reclamava, in cambio dei finanziamenti ai paesi in difficoltà, la consegna nelle casse di Berlino, come i pegni al Monte di Pietà, dell’oro delle riserve bancarie o, almeno, di quote azionarie delle aziende più appetitose dei paesi che chiedevano soldi? Perbacco, quel ministro era Ursula von der Leyen, oggi presidente della Commissione di Bruxelles! E Schaeuble, l’orco cattivo, il leader spirituale e materiale dei falchi, il ministro delle Finanze che per anni, al culmine dell’austerità, ha trafficato per espellere la Grecia debitrice dalla Ue?
E adesso eccoli. Seehofer e Schaeuble che, incuranti di lasciare orfani gli alleati di ieri, dall’Austria all’Olanda, si spellano le mani per applaudire all’accordo Merkel-Macron sul Fondo per la Ripresa europeo. E la stessa von der Leyen che su quell’accordo rilancia alla grande, aggiungendo ai 500 miliardi di euro in regalo per Italia e Spagna, altri 250 miliardi di prestiti trentennali a tassi stracciati. Se facciamo un conto un po’ all’ingrosso, sommando i programmi già varati (Mes, Sure, Bei 540 miliardi), il Recovery Fund della von der Leyen (750 miliardi), il pronto intervento della Bce (1.200 miliardi solo per l’acquisto di titoli pubblici), i tedeschi, alla faccia del braccino corto, nel giro di un paio di mesi hanno accettato senza fiatare che sul piatto dell’Europa più debole si rovesciassero oltre 2.500 miliardi di euro, quasi il 15 per cento del Pil Ue. Per dirla in due parole, all’Italia, quella che sui giornali tedeschi, anche di sinistra, si riduce a spaghetti, siesta e mandolino, arriverebbero fra Bce e Ue, circa 500 miliardi di euro, l’equivalente del 30 per cento del nostro Pil. Un’operazione di salvataggio mai vista, a cui si arriva con una brusca svolta di 90 gradi nella politica europea. Vero, la strada è lunga, complessa e tortuosa, tutti questi fondi sono temporanei e a scadenza, l’integrazione fiscale non c’è e neanche gli eurobond. Però, i bond li emette la Ue, che è di tutti, ovvero è un po’ la stessa cosa. E i finanziamenti non sono a pioggia ma mirati a chi ha più bisogno, secondo il principio della solidarietà. E anche se tutto questo rientrasse, una volta superata l’epidemia, è stato posto un precedente pesantissimo sul futuro cammino europeo. Da un certo punto di vista, basta che la proposta von der Leyen sia stata ufficialmente avanzata: già non è più la stessa Europa di sei mesi fa.
E neanche la stessa Germania. Solo 15 giorni fa, la Corte costituzionale di Karlsruhe sparava a palle incatenate sulla Bce e i suoi rastrellamenti di titoli pubblici europei, che puzzerebbero di aiuti non dovuti a paesi immeritevoli. Quella era la vecchia Germania che abbiamo imparato a conoscere negli ultimi 15 anni. Poi, di colpo, la rivoluzione. Quindi, che gli è preso ai tedeschi? L’idea che Angela Merkel, spaventata dall’epidemia, abbia finito per cedere alle insistenze di Macron, non sta in piedi. La cancelliera non ha l’aria di una che si fa tirare per la giacca, in nessuna circostanza. L’ansia di assicurarsi un posto nella storia? Ad un passo dal ritiro, la cancelliera avrebbe voluto un posto a fianco di Adenauer, Brandt, Schmidt, Kohl i suoi predecessori che hanno fatto l’Europa. Possibile, ma difficile a credersi: l’impressione è che la Merkel – per natura, vocazione, temperamento – sia una che vola basso e abbia un ego piuttosto contenuto.
C’è la spiegazione ufficiale: questo è uno choc che ha colpito tutti e non è colpa di nessuno (debito e colpa, in tedesco sono la stessa parola). La solidarietà, allora, diventa un imperativo per tenere insieme l’Europa. E’ probabile che questa spiegazione abbia qualche fondamento: i tedeschi si sono passati una mano sulla coscienza e, di fronte alle zone rosse e all’ammucchiarsi di malati nelle terapie intensive lombarde, hanno deciso che non si poteva fare finta di niente. Hanno prevalso, insomma, i buoni sentimenti.
Purtroppo, però, i buoni sentimenti hanno la brutta abitudine di essere precari e volatili: meglio non farci troppo affidamento. Ma, per fortuna, insieme ai buoni sentimenti c’è qualcosa di solido, concreto, uno zoccolo sicuro su cui poggiare: un pervasivo, radicato interesse economico. Qualcosa di cui ci si può fidare, ora e più avanti. La crisi in atto, infatti, rischia di frammentare l’euro e l’Europa (“disgregazione” è la parola che ricorre più spesso in una intervista di questi giorni della stessa Schnabel) dividendola fra chi affonda e chi può permettersi di salvarsi. Anche se (è sempre la Schnabel a dirlo) ai tedeschi politici e giornali hanno raccontato un’altra storia, la Germania ha guadagnato alla grande dall’euro. Svariate centinaia di miliardi di interessi in meno sul debito pubblico (provate a guardare lo spread dalla parte del Bund invece che del Btp) e un tasso di cambio con il dollaro (meno di 1,10 l’euro, ci fosse ancora il marco sarebbe a 1,50) che ha funzionato come un turbo per le esportazioni tedesche. Sono però considerazioni un po’ remote, da economisti. La crisi da virus, tuttavia, ne fa emergere altre, più leggibili. I due terzi delle esportazioni tedesche sono verso gli altri paesi europei. E qui si impone il caso Italia.
Nella crisi di dieci anni fa, al centro c’erano Grecia, Portogallo, paesi marginali visti da Berlino. L’Italia, invece, è la sesta destinazione, a livello globale, delle esportazioni tedesche e la quinta fonte, per importanza, delle sue importazioni. Un partner, in altre parole, decisivo. Un crac italiano non sarebbe solo una tempesta finanziaria devastante, perché un default su 2.500 miliardi di euro di titoli travolgerebbe i mercati, ma un colpo durissimo per l’industria tedesca. In modo anche più sottile e ramificato di quanto lasci intendere il dato complessivo dell’interscambio. L’Italia è, infatti, un partner cruciale di quella che è l’industria cruciale (anche politicamente) della Germania di oggi: l’auto. Fra il corridoio che, dal Reno alla Baviera, attraversa Mercedes, Volkswagen, Audi, Porsche, Bmw e il corrispondente corridoio dalla Lombardia all’Emilia, in Italia, il traffico è fitto e continuo: la Germania importa ogni anno per 4 miliardi di euro dalla nostra industria di componenti per auto. Cambiare filiere di fornitura in un momento già di drammatica transizione per i giganti tedeschi sarebbe un disastro.
Ecco perché le pressioni sui politici tedeschi sono state fortissime e inedite. Soprattutto sui democristiani, il partito della Merkel, da sempre il più vicino e sensibile agli interessi del mondo degli affari. Da qui il balzo in avanti della von der Leyen, come la conversione di Seehofer e Schaeuble. Invece di cavalcare la sentenza di Karlsruhe, come ha fatto fino all’altro ieri, il gruppo parlamentare Cdu al Bundestag dichiara ora di “sostenere l’accordo Merkel-Macron”. Finanche Friedrich Merz, il candidato che, da destra, punta a succedere ad Angela Merkel alla guida dei democristiani, da sempre accusato di simpatie euroscettiche, dichiara che la proposta di Berlino e Parigi “è molto buona”. Tutti allineati, infatti, dietro le parole del presidente della Confindustria tedesca, Dieter Kempf, che ha quasi anticipato il piano della von der Leyen: “La risposta della Ue – aveva detto Kempf – deve essere senza precedenti”. “Per limitare i danni ad economia e società – aveva spiegato – occorre una risposta forte di una politica finanziaria che abbia una forte dimostrazione di solidarietà verso i paesi più colpiti”. Ha avuto la risposta che cercava.
Il vero colpo di scena di queste settimane, insomma, non è la Merkel che varca il Rubicone del debito solidale, ma la piroetta con cui l’establishment tedesco l’ha accolta con un applauso pressoché unanime. Salvando l’Italia, la Germania salva sé stessa. Ecco perché si può sperare che la Merkel non ci ripensi.
Maurizio Ricci
Per i nostri lettori pubblichiamo qui di seguito una scelta delle notizie e degli interventi più significativi apparsi nel corso della settimana su ildiariodellavoro.it (Vai al sito per leggere il giornale completo, aggiornato quotidianamente dalla nostra redazione).
Contrattazione
Questa settimana è stato firmato il rinnovo del contratto nazionale del terzo settore che interessa il personale dipendente della Croce Rossa Italiana, delle organizzazioni di volontariato e delle fondazioni. Oltre agli aspetti normativi, il documento prevede un rafforzamento della contrattazione decentrata e la valorizzazione della professionalità. Nello spettacolo, le organizzazioni dei lavoratori, degli artisti, delle imprese di produzione cineaudiovisiva e degli autori hanno siglato un protocollo in tema di salute e sicurezza. Il documento prevede, in dettaglio, i comportamenti, le responsabilità, le procedure da adottare, gli strumenti da utilizzare per evitare la possibilità di contagio da Covid-19 nella delicata fase di ripresa della produzione, in particolare sui set. Nel mondo metalmeccanico, Fim, Fiom e Uilm assieme a Unionmeccanica hanno redatto un documento per rendere operativi nelle piccole e medie imprese i contenuti del Protocollo per la gestione dell’emergenza sanitaria. Nello specifico viene coinvolta nella attività di prevenzione negli ambienti di lavoro la figura del Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza Territoriale (RLST). Nel comparto auto, Fca e i sindacati hanno firmato un’intesa di aggiornamento all’accordo del 9 aprile per l’adozione di un’app per il contrasto al covid. L’app sarà volontaria e non costituirà uno strumento per monitorare l’attività lavorativa. Ai lavoratori in appalto alla Sogin verranno applicati i contratti sottoscritti da Cgil, Cisl e Uil. Con questa intesa, spiegano i sindacati, si punta a garantire tutti gli standard in materia di sicurezza, garanzie occupazionali, diritti e libertà sindacali, contrastando così anche il dumping contrattuale. È stato firmato un accordo tra i sindacati e gli agenti di commercio, che potranno richiedere all’Enasarco una anticipazione del Firr fino al massimo del 30%. Infine la Regione Friuli Venezia Giulia, Anci e sindacati di categoria hanno condiviso un protocollo d’intesa per la gestione della sicurezza dei luoghi di lavoro nelle amministrazioni pubbliche del Comparto unico, finalizzato ad arginare la diffusione del Covid-19.
Interviste
Il direttore de Il diario del lavoro, Massimo Mascini, ha intervistato Marco Falcinelli, segretario generale della Filctem-Cgil. Per Facinelli è giunta l’ora di fare quello che non si è fatto dopo la crisi del 2008: un percorso di ammodernamento del paese. Questo snellendo la burocrazia, e mettendo al centro i contratti nazionali, in una trattativa triangolare per far ripartire l’economia. Sempre Mascini ha intervistato Pietro De Biasi, responsabile delle relazioni industriali di Fca. De Biasi guarda con positività a una grande trattativa interconfederale che avvii la fase della ripresa economica. Tuttavia il suo timore è che questa sia l’occasione per dare forza al contratto nazionale, attraverso un’attribuzione erga omnes, che ne snaturerebbe la natura privatistica. Per De Basi andrebbe data, invece, una nuova centralità al contratto d’azienda.
Nunzia Penelope ha intervistato Patrizio Bianchi, per capire di quale politica industriale ha bisogno l’Italia, anche alla luce dei 170 miliardi che dovrebbero arrivarci dall’Ue. Secondo l’economista, sono indispensabili investimenti in digitalizzazione, tecnologia, e capitale umano. Ma occorrono anche mercati aperti per le nostre esportazioni, e un più ampio progetto europeo nel quale collocarci.
Tommaso Nutarelli ha intervistato Giovanni Mininni, segretario generale della Flai-Cgil. Mininni definisce la regolarizzazione dei migranti un traguardo storico, un prima tassello verso la legalità, che testimonia anche un cambio di sensibilità nella politica.
La nota
Nunzia Penelope ha seguito l’assemblea di Bankitalia e le Considerazioni finali del Governatore. Ignazio Visco non ha nascosto l’incertezza rispetto al futuro post pandemia, ma nello stesso tempo ha invitato a non perdere la speranza, chiedendo di dare un senso concreto allo slogan ‘’insieme ce la faremo” attraverso un nuovo contratto sociale.
Fernando Liuzzi riporta a sua volta i contenuti delle Considerazioni finali, focalizzandosi sul ruolo dell’Europa, un tema centrale nel discorso del governatore Ignazio Visco. Ancora ha fatto il punto sulla ripresa della trattativa per il destino dell’ex Ilva: ArcelorMittal ha manifestato la volontà di andare avanti, ma i sindacati restano dubbiosi, in attesa di un piano industriale che dovrebbe arrivare a breve.
Tommaso Nutarelli ha seguito l’iniziativa della Cgil “Quale smart working per il lavoro pubblico”, al quale hanno partecipato esponenti del mondo del sindacato e studiosi.
Il guardiano del faro
Marco Cianca sottolinea come Carlo Verdelli, ex direttore di Repubblica, abbia dedicato molta attenzione al movimento delle sardine. Ma la pandemia ha messo a tacere tutto, con tutti i timori, le ansie e l’incertezza che si è portata dietro.
I blog del diario
Gaetano Sateriale afferma come, dopo il considerevole stanziamento di fondi da parte dell’Europa, l’Italia è chiamata a presentare un pacchetto di riforme, su cui accordare i finanziamenti, che, secondo Sateriale, dovranno guardare a uno sviluppo sostenibile, digitale e rivolto all’inclusione sociale.
Alessandra Servidori ritiene che l’ultimo accordo della maggioranza sulla scuola sia una violenza alla Costituzione. Un capitolo, quello dell’istruzione, lasciato nella più totale vaghezza.
Tommaso Nutarelli sottolinea l’incertezza nella quale si sta muovendo il paese, tra movida sfrenata, assistenti civici, app fantasma e mascherine a peso d’oro. Intanto, i veri problemi sembrano perdersi sullo sfondo.
Diario della crisi
I sindacati del pubblico impiego di Cgil, Cisl e Uil hanno dichiarato lo stato di agitazione per i lavoratori della sanità privata e delle Rsa. A tenere ancora banco il mancato rinnovo del contratto nazionale. Nella scuola, i sindacati di categoria si dicono insoddisfatti della mediazione raggiunta tra i partiti della maggioranza, annunciando lo sciopero. Nei trasporti, i sindacati del settore denunciano come, per i 10mila lavoratoti in appalto del Gruppo Ferrovie, non sia stata ancora erogata la Cassa integrazione. Salta il tavolo della trattativa tra governo, sindacati e la multinazionale Jabil. A rischio 190 lavoratori. Preoccupazione per i lavoratori di Nexive, il secondo operatore postale in Italia. A preoccupare i sindacati il pesante passivo dell’azienda e il fatto che il fondo Mutares, che entro il 31 giugno acquisirà il gruppo, non abbia dato risposte in merito ai livelli occupazionali e al piano industriale. Sciopero alla Asl Roma 2 dopo che l’azienda, come spiegano i sindacati, ha imposto il taglio automatico di 10 minuti sull’orario di lavoro senza alcun confronto.
Documentazione
Questa settimana è possibile consultare le stime dell’Istat sui conti economici trimestrali, i prezzi al consumo, i prezzi alla produzione nell’industria e le costruzioni, la fiducia di imprese e consumatori, il commercio estero extra Ue e il fatturato nei servizi. Inoltre è presente il testo del discorso del neo presidente di Confindustria, Carlo Bonomi, e le Considerazioni finali del governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco. Infine è possibile accedere al testo dell’audizione al Dl Rilancio del ministro Gualtieri e all’indagine Censis-Confcommercio sulla fiducia di imprese e famiglie.