Alla fine, dopo un tira e molla durato diverse settimane, il Tap si farà. Gli ultimi chilometri del gasdotto trans-adriatico vedranno la luce in terra pugliese. Una decisione che i Cinque Stelle hanno giustificato adducendo la presenza di penali per un ammontare di 20 miliardi. Soldi che al momento i grillini non si sentono di far ricadere sulle spalle degli italiani, sottolineando come solo tardivamente sono potuti entrare in possesso di “carte segrete” del dossier Tap, e questo gli ha precluso la possibilità di battere una strada diversa.
Penali fantomatiche, visto che stiamo parlando di un contratto tra privati, che non coinvolge lo stato, e che quindi, semmai, avrebbe comportato un risarcimento danni in caso di mancata esecuzione dell’opera. Sulle carte fantasma, si può rimproverare ai grillini un’eccessiva disattenzione, visto che tutto era stato regolarmente pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale.
Fatto sta che la scelta pentastellata ha da subito scatenato le reazioni degli abitanti di comuni pugliesi sotto i quali passerà il gasdotto, con un malumore ancor più accentuato tra gli attivisti del Movimento, che hanno stracciato le tessere e bruciato le bandiere. Ma la vicenda del Tap è, per certi aspetti, esemplificativa di alcune incrostazioni nei meccanismi politici dei Cinque Stelle.
Prima di tutto dimostra come, per cause di forza maggiore, la democrazia diretta può essere benissimo sospesa. Poco importa se, sulla rete o nei meetup locali, i cittadini si erano espressi in altro modo. Il gasdotto è una delle tante situazioni che stanno facendo apprendere al movimento di Beppe Grillo le dure regole dell’essere maggioranza, regole che, tuttavia, ancora vengono digerite contro voglia.
Certamente l’appeal pentastellato risulterebbe meno forte se i grillini si presentassero agli occhi dei propri elettori come un partito che ormai fa parte, a pieno titolo dell’establishment. Per cui permane costante il sospetto che qualcuno stia tramando alle loro spalle per screditarli.
Altro punto, strettamente collegato all’impostazione dei Cinque Stelle nei confronti delle grandi opere, è l’analisi costi-benefici. Nel caso del Tap è stata saltata a piè pari. Eppure il metadotto è stato è uno dei pensieri più ricorrenti della propaganda grillina al Sud, e questo ci potrebbe far pensare che era da tempo pronta una soluzione, nella quale era presenta una valutazione dei costi e dei benefici.
Ma, potrebbe replicarci il ministro per il Sud Barbara Lezzi, che l’impossibilità di aver visionato prima tutti i documenti ha di fatto impedito qualsiasi altra decisione. E allora la promessa di Alessandro Di Battista su cosa era basata? Su quali dati affermava, a una folla esultante, che il Tap si sarebbe potuto stoppare in due settimane?
A delle obiezioni di questo tipo, il politico grillino medio potrebbe rispondere tirando fuori la sua proverbiale ingenuità. Nel momento in cui c’è qualcosa devia dal percorso politico pianificato, la classe politica pentastellata affermerà di non essere a conoscenza degli ultimi sviluppi o che qualcuno non l’ha messa nelle condizioni per poterlo essere. Un’ingenuità eccessiva, per certi versi falsa, per un movimento che fa parte della maggioranza che guida il paese.
La stessa spontaneità che avvolge il tanto osannato meccanismo preposto a soppesare vantaggi e svantaggi delle grandi opere. Ma siamo veramente sicuri dell’autonomia di questo procedimento? Chi sono le persone atte a compiere questa analisi? Quali sono i garanti che certificano la bontà del processo e l’attendibilità dei dati? Non è forse più facile fare come a Torino dove, con una mossa politica e per niente affatto tecnica, la giunta grillina ha detto di no alla Tav?
@tomnutarelli