Oltre un milione e duecentomila lavoratori immigrati vivono nell’area della sofferenza e del disagio occupazionale per effetto della crisi che si è abbattuta con violenza sul loro lavoro e, più in generale, sulla loro vita. Una condizione estremamente difficile che tenta quasi un immigrato su due ad affrontare una nuova migrazione. Sono i dati che emergono da una ricerca promossa dall’Associazione Trentin-Isf-Ires e dalla Cgil Nazionale, dal titolo “Qualità del lavoro e impatto della crisi tra i lavoratori immigrati”, presentata oggi.
Uno studio che da un lato calcola la platea di lavoratori immigrati ‘parcheggiati’ in quell’area definita della sofferenza (ovvero quella fetta di popolazione in età da lavoro formata da disoccupati, scoraggiati disponibili e cassintegrati) e nell’area del ‘disagio occupazionale (coloro che invece hanno un’occupazione a termine perché non hanno trovato un lavoro a tempo indeterminato e dai part timer involontari); e dall’altro riporta i risultati di un’indagine, condotta su oltre mille migranti intervistati, per conoscere gli effetti della crisi, sia sul piano lavorativo che su quello legato alla vita sociale e ai processi d’integrazione.
Condotta su oltre 1.000 persone migranti individuate in dieci regioni italiane tra Nord, Centro e Sud, l’indagine ricostruisce gli effetti della crisi sul lavoro e sulla loro vita. Nel dettaglio emerge che per l’85% degli intervistati la crisi ha apportato dei peggioramenti nella condizione lavorativa. La risposta più frequente alla domanda ‘quali sono stati gli effetti della crisi sul tuo lavoro?’ è stata infatti che le retribuzioni si sono abbassate (31,5%), immediatamente dopo che sono diminuite le giornate di lavoro (25,5%). Ma se da una parte il lavoro sta diventando meno retribuito e più discontinuo, dall’altra le condizioni di lavoro si fanno più rischiose (19,1%) e gli orari più lunghi (22,2%). Inoltre una parte degli intervistati sente che la crisi sta provocando una più generale perdita dei diritti (12,8%) mentre aumenta il ricorso al lavoro irregolare (12,1%).
Cambia di conseguenza il ‘progetto migratorio’. Alla domanda, infatti, ‘vista la condizione attuale, pensi di dover emigrare ancora?’, hanno risposto in maniera affermativa il 45,6% degli intervistati. Quasi un immigrato su due, dunque, pensa di dover affrontare una nuova migrazione. Circa il 10% delle risposte riguarda il timore di diventare più ricattabili e quindi far valer meno i propri diritti, così come poco meno del 10% delle risposte indicano il timore di una recrudescenza del razzismo o della xenofobia.
Fulvio Fammoni, presidente dell’Associazione Trentin, nel suo intervento, rileva che i dati non solo solo gravi per quanto riguarda la situazione dei migranti, ma anche “perché in controluce mostrano un sistema produttivo arretrato. Senza contare come questa ‘emorragia’ incida negativamente sul livello generale dei consumi”. Dati che secondo Vera Lamonica, segretario confederale della Cgi,l dimostrano come “la presenza dei lavoratori migranti in Italia sia diventata negli anni un fenomeno assolutamente strutturale che ha coperto alcune delle domande del nostro sistema produttivo e di welfare”. La via di uscita, secondo Lamonica, può esistere attraverso “politiche generali che affrontino davvero il tema del lavoro e dell’occupazione”.