Nei giorni scorsi la Sisme ha siglato con i sindacati un’intesa innovativa che mira a rilanciare lo stabilimento di Olgiate Comasco attraverso l’investimento di 5 milioni di euro, necessari a realizzare una nuova linea produttiva. Questo consentirà all’azienda di essere più competitiva e di restare in Italia, cancellando il già ipotizzato trasferimento in Slovacchia. Per arrivare all’accordo, i lavoratori hanno accettato di ridurre i costi fino a 700 mila euro, attraverso una più efficiente organizzazione del lavoro. E nel caso in cui non si riuscisse a raggiungere un tale risparmio, sono pronti a tassarsi direttamente con un contributo di solidarietà. Il diario ha chiesto ad Alberto Zappa (Fim Cisl), che ha seguito tutta la vertenza, di spiegare come e’ stato possibile raggiungere questa intesa, approvata da un referendum interno votato anche dall’azienda, e firmata unitariamente da tutti i sindacati, Fiom compresa.
Alberto Zappa, come siete riusciti a ottenere questo risultato?
E’ stata una trattativa molto complessa e difficile. Lo scorso 14 ottobre l’azienda aveva annunciato 300 esuberi su 573 lavoratori. Determinanti sono state le iniziative di lotta messe in campo dal sindacato. Siamo prima riusciti , con l’intesa raggiunta il 30 novembre 2011, a risolvere la questione mobilità e contratti di solidarietà e poi abbiamo rilanciato la questione del mantenimento industriale del sito di Olgiate. Dopo mesi di faticoso negoziato siamo riusciti a raggiungere un risultato molto importante per i lavoratori: investire direttamente, per rilanciare il sito di Olgiate e mantenere l’occupazione.
E’ stato difficile convincere l’azienda?
Sì, molto.
Perché?
L’azienda voleva trasferire altre due linee produttive in Slovacchia con la conseguente perdita di altri 100 posti di lavoro e chiedeva di subordinare la decisione dell’investimento di circa 5 milioni di euro per una nuova linea di produzione a un risparmio sul costo del lavoro di circa 1 milione.
Del resto, aveva i suoi buoni motivi: in Slovacchia il costo del lavoro è 1/5 di quello italiano e la tassazione sui profitti è circa la metà di quella del nostro Paese. Ma noi pensiamo che la delocalizzazione vada combattuta in concreto, proponendo alternative.
E cosa avete proposto all’azienda?
Un abbattimento dei costi di 700 mila euro a fronte dell’ investimento di 5 milioni di euro. Abbiamo richiesto, e l’azienda ha condiviso, l’intervento di tecnici ed esperti per cercare di realizzare una riduzione effettiva dei costi attraverso un’organizzazione del lavoro più efficiente. Ma la più importante novità di questo accordo sta proprio nel coinvolgimento e nella partecipazione di tutti i lavoratori, a partire dall’introduzione di un sistema di mappatura e misurazione delle professionalità, fino ad arrivare a un contributo economico vero e proprio nel caso in cui non si riesca a raggiungere il risparmio pattuito.
In che modo contribuiranno i lavoratori?
Abbiamo studiato due soluzioni: la prima consiste in una detrazione ‘una tantum’ dalla busta paga pari a 764 euro per i lavoratori inquadrati al terzo livello fino ad arrivare a un contributo di 4.054 euro per i dirigenti. In alternativa, i lavoratori possono co-finanziare il progetto d’investimento mediante un minore accantonamento mensile di quanto maturato annualmente a titolo di Tfr.
Quindi, in sostanza, è passata la linea della Cisl del modello partecipativo.
Sì, dove per partecipazione non intendiamo assenza di conflitto, ma un atto di responsabilità per affrontare i problemi e raggiungere delle soluzioni. Dietro a questo risultato c’è un lavoro di tre, quattro anni, proprio perché non stiamo tutti sullo stesso livello di approfondimento politico. È un salto culturale che dimostra una compartecipazione al rischio d’impresa da parte dei lavoratori che, a questo punto, si sentiranno un po’ proprietari di quella linea che hanno scelto di finanziare. Anche l’azienda ha dimostrato un forte senso di collaborazione, partecipando al referendum indetto sull’accordo ed esprimendo, in quella occasione, il proprio assenso all’intesa.
L’altra particolarità è che un accordo così inusuale e difficile ha ottenuto anche la firma della Fiom. Come è stato possibile?
Potrei dire che è stato un miracolo. In realtà, ha aiutato molto sia la storia del sistema di relazioni industriali all’interno della Sisme, dove è stata sempre praticata l’unità sindacale, sia il fatto che la Fim, in questa azienda, ha dalla sua la grande maggioranza degli iscritti. Portare la Fiom e il sindacato dei Cobas su questa strada non è stato facile, ma alla fine è così che è andata. Per questo credo che il senso politico di questo accordo sia molto forte.
Francesca Romana Nesci
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