Troppo basse le pene concordate tra la Procura di Milano e i difensori di Adriano, Fabio e Nicola Riva, indagati per il crac del gruppo Riva Fire che controllava lo stabilimento Ilva di Taranto. Il gip di Milano, Maria Vicidomini, ha respinto le tre richieste di patteggiamento che avevano già incassato il via libera dei pm. Le proposte di pena avanzate dagli indagati sono infatti ritenute dal giudice milanese “incongrue” rispetto alle condotte contestate.
Il via libera dei pm alle richieste di patteggiamento dei tre imputati era arrivato dopo la decisione della famiglia Riva di far sbloccare 1 miliardo e 300 milioni di euro “congelato” in una banca Svizzera e di fare rientrare la somma Italia per destinarla alla riqualificazione dello stabilimento Ilva di Taranto. Ma nessuno dei tre patteggiamenti proposti è stato accolto dal gip Vicidomini. Ma il Gip avrebbe ritenuto troppo bassa, e dunque “incongrua”, la stessa somma da 1 miliardo e 300 milioni di euro che la famiglia Riva ha deciso di restituire ai commissari dell’Ilva per la bonifica ambientale dello stabilimento di Taranto.
E’ proprio questo denaro che, secondo l’accusa ipotizzata dai pm milanesi, Adriano Riva, fratello del patron dell’Ilva Emilio (morto nel 2014 all’età di 88 anni), avrebbe distratto dalle casse dell’acciaieria di Taranto e per poi trasferirli nell’isola di Jersey, paradiso fiscale nel Canale della Manica. Nel 2013 l’intera somma fu sequestrata nell’ambito dell’inchiesta milanese. Due anni più tardi, dopo la conversione in legge del cosiddetto decreto “Salva Ilva”, scattò il dissequestro del denaro che, nelle intenzioni del governo, sarebbe dovuto servire per la riqualificazione ambientale dell’Ilva. E’ la stessa norma “Salva Ilva”, convertita in legge il 3 maggio 2015, a prevedere la possibilità di convertirne l’intero importo in obbligazioni destinate a essere lanciate sul mercato e di utilizzare il ricavato dell’emissione obbligazionaria per la realizzazione dell’Autorizzazione Integrata Ambientale nello stabilimento siderurgico di Taranto.
I soldi, pero’, depositati su un conto in una banca di Zurigo, non sono mai arrivati ai commissari dell’Ilva, per via del ricorso presentato dalle sorelle Alessandra e Stefania Riva, figlie del patron Emilio. A novembre scorso un nuovo dietrofront, con la decisione della famiglia Riva (annunciata dall’allora premier Matteo Renzi) di restituire il “tesoretto” svizzero e di metterlo a disposizione dei commissari di Ilva per la bonifica ambientale dello stabilimento di Taranto. Con questa mossa, i Riva erano convinti di poter ottenere un miglioramento della propria posizione giudiziaria. Ma, nonostante il via libera della Procura, le loro proposte di patteggiamento non sono state ratificate. il “tesoretto” dei Riva resta ancora “congelato” in Svizzera.