“Deve pur esserci una via di mezzo tra la vecchia cinghia di trasmissione e la nuova disintermediazione totale”. La frase è di Alessandro Genovesi, leader della Fillea Cgil, e con efficacia riassume il problema che ormai da mesi si sta ponendo la confederazione guidata da Maurizio Landini: come ricostruire un rapporto, un terreno comune di dialogo costante, tra il sindacato e la politica, e in principal modo la politica a sinistra. Al tema Landini ha dedicato, la scorsa settimana, un evento in grande stile, chiamando a raccolta all’Acquario di Roma tutti i leader dei partiti dell’area progressista, da Rifondazione a Italia Viva, dal Pd a Calenda. Ne era derivato un dibattito per la verità un po’ superficiale (del resto il ricchissimo panel di discussant non consentiva più di pochi minuti a testa per parlare) ma è un segnale del peso che la Cgil attribuisce alla questione.
Il problema del rapporto tra la rappresentanza sociale e quella politica del lavoro, in effetti, è considerato dalla Cgil talmente importante da essere inserito con un apposito capitolo nel documento per il congresso che si terrà fine anno. “Da tempo è aperta nel paese una crisi di rappresentanza e di partecipazione democratica dovuta al fatto che le strade della politica e del sociale si sono divaricate e non si è ancora ricostruita una relazione”, si legge nella sezione dedicata a “Sindacato e sistema politico”. E ancora: “E’ nostra convinzione che proprio sulla grande questione del lavoro si sia realizzata la maggior rottura tra la rappresentanza sociale e la rappresentanza politica”. Ed è per questo, conclude, che “la crisi del lavoro è oggi la crisi della sinistra”.
Per uscire da questa duplice crisi, il documento della Cgil ritiene che sia necessario “aprire una nuova stagione democratica che abbia il concorso delle organizzazioni sociali e dei movimenti, dentro cui gli stessi partiti dovranno ridefinire se stessi”. Da parte sua il sindacato, in questo quadro, si assumerebbe la responsabilità di “tenere aperto il canale di una partecipazione di massa alla vita democratica”. Riferimento evidente alle urne deserte delle ultime elezioni e forse anche delle prossime, e, per contro, all’ancora, invece, fortissimo seguito che i sindacati hanno: 11 milioni 200 mila gli iscritti a Cgil, Cisl e Uil, come Landini stesso ha fatto osservare ai leader dei partiti convenuti all’Acquario di Roma. E se è pur vero che un terzo almeno degli iscritti al sindacato, da ormai una ventina d’anni, non vota a sinistra ma a destra o altro, ci dovrebbe chiedere se questo sia un problema del sindacato, o non piuttosto di una sinistra che non riesce (più) a essere attrattiva verso il mondo del lavoro.
E qui si torna alla frase di Genovesi: tra partiti e sindacato si è passati nell’arco di un paio di decenni dalla cinghia di trasmissione al “non ci salutiamo nemmeno”, ovvero alla disintermediazione, fenomeno comunemente attribuito al governo di Matteo Renzi. Ma Renzi, in realtà, si è limitato a sancire l’esistente, dando un nome a qualcosa che era già avvenuto da molto tempo. Andrebbe ricordato, a questo proposito, che nel sindacato di Corso Italia già negli anni Novanta ci si poneva il problema di un disagio, di una distanza crescente, nel rapporto col mondo politico a sinistra. Riflessioni dalle quali erano nate iniziative come “Lavoro e Libertà”, di Claudio Sabattini, nei primi anni Duemila, e più avanti la “coalizione sociale” di Maurizio Landini; entrambe tuttavia fallite prima ancora di iniziare, soprattutto per l’indifferenza, se non il fastidio, dimostrati dai partiti della sinistra per quelle iniziative.
Ma oggi la situazione è diversa. Oggi, e probabilmente qui ha ragione Landini, “la crisi del lavoro è la crisi della sinistra”. Con le elezioni del 2023 ormai alle viste, e una crisi del sistema politico sempre più evidente (l’esplosione dei Cinque stelle, le divisioni della destra, le indecisioni della sinistra, le velleità del centro), la mano tesa dal sindacato potrebbe forse contare su una migliore disponibilità dei partiti. Per costruire cosa? Certamente non per mettere in discussione l’autonomia del sindacato, ne quella dei partiti. Ma magari anche solo per tornare a parlarsi, a capirsi. La cinghia di trasmissione era forse una brutta cosa, ma ai tempi non accadeva mai che la Dc decidesse qualcosa sul lavoro senza interpellare Franco Marini, così come Craxi chiedeva a Benvenuto e Del Turco, e il Pci sentiva Luciano Lama. E se anche quei rapporti stretti tra confederazioni e partiti risultavano spesso soffocanti (come nel caso sventurato della scala mobile, che costrinse Lama ad aderire a un referendum che come sindacalista sapeva essere sbagliatissimo, ma che la politica di Botteghe Oscure riteneva indispensabile) resta che la parte migliore di essi, e cioè la consultazione costante tra mondo del lavoro e mondo della politica, ha favorito importanti riforme e conquiste di nuovi diritti, dallo Statuto dei lavoratori in poi.
Oggi, invece, l’onda dell’antipolitica ha in qualche modo interrotto anche il rapporto sano e corretto tra parti sociali e partiti. E questo vale dal centro politico in giù, verso il territorio, dove spesso gli amministratori locali non hanno mai incontrato un sindacalista, e questo non è utile a nessuno dei due soggetti; quando invece si incontrano, possono nascere esperienza interessanti come l’accordo sul lavoro realizzato in Emilia Romagna, frutto appunto del costante dialogo tra amministrazione, e quindi politica, e parti sociali.
Come ricreare questo dialogo a livello nazionale è difficile dirlo. Maurizio Landini, all’Acquario di Roma, ha lanciato un amo verso la politica. Alessandro Genovesi, una settimana dopo, nel corso di un dibattito organizzato nell’ambito delle celebrazioni per i 136 anni della Fillea (il sindacato più antico d’Italia, e qualcosa vorrà dire), ci ha messo anche l’esca, proponendo ai leader del centro sinistra di costruire uno spazio di “consultazione permanente” tra partiti e sindacati: uno spazio non affidato alle sporadiche iniziative dei singoli, ma codificato, ufficializzato in qualche modo. Resta da capire come risponderanno a questa proposta i partiti, ma anche cosa ne pensino Uil e Cisl, che al momento non sembrano particolarmente coinvolte o interessate al tema del rapporto con la politica. Resta che qualcosa si dovrà pur fare: altrimenti, avverte Genovesi, a rappresentare il lavoro, in parlamento e nelle altre sedi istituzionali, resterebbero solo le lobby. Non sarebbe una bella fine.
Nunzia Penelope