La Stock Spirits Group ha deciso di chiudere la storica fabbrica di Trieste e di trasferire da giugno la produzione nello stabilimento in Repubblica Ceca. La scelta di delocalizzare l’attività produttiva segue, secondo quanto ritiene la Coldiretti, come spesso accade, la cessione della proprietà all’estero avvenuta nel 1995. Secondo Coldiretti rischiano di fare la stessa fine gli altri marchi dell’agroalimentare italiano che sono passati in mani straniere nell’ultimo anno, per un fatturato di oltre 5 miliardi di euro. La Stock Spirits Group é stata creata nel 2008 con il sostegno finanziario del fondo americano “Oaktree Capital Management” che aveva acquisito la proprietà della Stock dalla Eckes A.G., alla quale era stata ceduta dagli italiani nel 1995.
“La delocalizzazione industriale – sottolinea Coldiretti – é solo l’ultima fase di un processo che inizia con l’importazione delle materie prime dall’estero da utilizzare al posto di quelle nazionali nella preparazione di cibi e bevande, continua con l’acquisizione diretta di marchi storici da parte degli stranieri e finisce con la chiusura degli stabilimenti italiani per trasferirli all’estero. Una tendenza – aggiunge la nota – favorita dalla crisi che rende più facile lo shopping straniero in Italia e meno costosa la produzione all’estero. Dinanzi a tale rischio occorre accelerare nella costruzione di una filiera agricola tutta italiana che veda direttamente protagonisti gli agricoltori per garantire quel legame con il territorio che ha consentito ai grandi marchi di raggiungere traguardi prestigiosi”.
Ad essere presi di mira sono sopratutto i prodotti simbolo dell’Italia e della dieta mediterranea, dall’olio al vino fino alle conserve di pomodoro. “Nell’ultimo anno – sottolinea la Coldiretti – sono stati ceduti all’estero tre pezzi importanti del Made in Italy alimentare che sta diventando un appetibile terra di conquista per gli stranieri con la tutela dei marchi nazionali che é diventata una priorità per il Paese. L’ultimo “pezzo da novanta” del Made in Italy a tavola a passare in mano straniera é stata la Ar Pelati, acquisita dalla società Princes controllata dalla Giapponese Mitsubishi. Poche settimane prima era toccato alla Gancia, casa storica per la produzione di spumante, essere acquistata dall’oligarca Rustam Tariko, proprietario della banca e della vokda Russki Standard. La francese Lactalis é stata, invece protagonista – precisa il comunicato – dell’operazione che ha portato la Parmalat finire sotto controllo transalpino. Ma andando indietro negli anni non mancano altri casi importanti, dalla Bertolli, acquisita nel 2008 dal gruppo spagnolo SOS, alla Galbani, anche questa entrata in orbita Lactalis, nel 2006. Lo stesso anno gli spagnoli hanno messo le mani pure sulla Carapelli, dopo aver incamerato anche la Sasso appena dodici mesi prima. Nel 2005 – continua la nota – la francese Andros aveva acquisito le Fattorie Scaldasole, che in realtà parlavano straniero già dal 1985, con la vendita alla Heinz. Nel 2003 hanno cambiato bandiera anche la birra Peroni, passata all’azienda sudafricana SabMiller, e Invernizzi, di proprietà da vent’ani della Kraft e ora finita alla Lactalis. Negli anni Novanta erano state Locatelli e San Pellegrino ad entrare nel gruppo Nestlé, anche se poi la prima era stata “girata” alla solita Lactalis (1998). La stessa Nestlé – conclude la Coldiretti – possedeva già dal 1995 il marchio Antica gelateria del corso e addirittura dal 1988 la Buitoni e la Perugina”.