Prepensionateli tutti. Regolarmente, ogni volta che c’è una crisi, torna di moda l’idea che, se fabbriche e uffici venissero sgravati del personale più anziano con un programma di prepensionamenti, automaticamente si aprirebbero le porte all’assunzione di giovani, che oggi vengono tenuti fuori dal mercato del lavoro. Con i tassi di disoccupazione e inattività giovanile che oggi colpiscono un po’ tutti i paesi, si è tornati a parlarne. Qualcuno ci ha anche provato, con il programma “i figli sostituiscono i padri”. Ma non funziona così, le cose sono assai più complicate.
Ci sono, anzitutto, due ostacoli finanziari belli grossi. Il primo è che un programma di sostituzione di manodopera richiederebbe incisive riforme fiscali, in materia di tassazione del lavoro, per incentivare le aziende ad affrontare le inevitabili difficoltà organizzative. Ma vale soprattutto il secondo ostacolo: chi paga gli extracosti di un pensionamento anticipato, quando già l’allungamento delle aspettative di vita sta rendendo sempre più problematici gli equilibri dei sistemi pensionistici? Tuttavia, anche se questi ostacoli finanziari venissero superati, l’idea non funzionerebbe ugualmente, per motivi specificamente economici. Dietro la proposta, c’è, infatti, quello che gli economisti considerano un equivoco. Cioè che la quantità di lavoro disponibile sia fissa e possa essere soltanto ripartita. Ma non è così: la quantità di lavoro cambia e aumenta con lo sviluppo dell’economia. E’ vero, tuttavia, che in periodi di recessione, come l’attuale, il lavoro disponibile si può considerare, per così dire, razionato e la sostituzione di anziani con giovani ha più senso.
Esiste allora un rapporto fra l’occupazione degli anziani e quella dei giovani? Nel suo ultimo rapporto sull’occupazione, l’Ocse, l’organizzazione che raccoglie i paesi più ricchi, risponde di no. Lo fa sulla base di un apposito studio econometrico, ma anche guardando alle ricerche sul campo condotte in questi anni. Sono poche, ma tutte dicono che questo rapporto non sembra esistere. Non ci sono segni, né nazionali, né internazionali i quali indichino che aumentare l’occupazione degli anziani comprometta le prospettive di impiego dei giovani. Semmai, quando aumenta l’occupazione degli anziani, aumenta anche quella dei giovani (presumibilmente perché c’è la ripresa). Le analisi compiute in buona parte dei paesi Ocse dicono che una correlazione fra l’impiego dei sessantenni e e dei ventenni non sembra esistere. L’unico indizio viene dalla Norvegia, dove i dati sembrano indicare che a cinque prepensionati corrisponde l’assunzione di un giovane, un risultato che, se fosse vero, sarebbe assolutamente deludente.
Gli economisti dell’Ocse hanno provato a testare la situazione con una simulazione matematica, sulla base dei dati di 25 paesi. Il risultato è il contrario di quanto si aspetterebbero i profeti dei prepensionamenti. Ne viene fuori, infatti, che un aumento del tasso di impiego dei lavoratori anziani dell’1 per cento corrisponde, a lungo termine, ad un aumento dello 0,3 per cento dell’occupazione dei giovani, non ad una diminuzione. E’ l’ipotesi massima, peraltro. Tutte le altre danno le due variabili come indipendenti: ovvero, il tasso di occupazione degli anziani non ha nessun impatto su quello dei giovani. Nessuna ipotesi contempla una riduzione dell’occupazione dei giovani all’aumento di quella degli anziani.
Come si spiega l’assenza di qualsiasi correlazione? Semplicemente perché, dicono i tecnici dell’Ocse, non è vero che i lavoratori giovani possono sostituire i lavoratori anziani. Questi ultimi hanno più esperienza e sono, probabilmente, più presenti in settori maturi, forse in declino. Mentre i giovani sono meno esperti e, probabilmente, trovano impiego in settori in espansione. In due parole, il profilo lavorativo delle due categorie non è sovrapponibile e non può essere scambiato. Attenzione, però, non sono sostituibili, ma possono, al contrario, proprio per le loro diverse caratteristiche, essere complementari. Assumete un anziano, assumerete anche un giovane.
Maurizio Ricci