Il salario minimo non è un tema che riguarda l’industria, dove i salari sono già ben oltre i 9 euro lordi ipotizzati nella proposta di legge Pd-5stelle- Calenda ecc. Parola del presidente di Confindustria, Carlo Bonomi, che nel corso dell’assemblea di Assolombarda ha affrontato anche quello che è ormai il tema del giorno. La Confindustria non pone veti, ha spiegato Bonomi, appunto perché l’industria paga già correttamente: “i nostri contratti sono già tutti oltre i 9 euro, i metalmeccanici, per dire, sono sopra gli 11 euro. Se ne parli nel merito, si dica quali sono i settori che pagano poco: è molto facile scoprire chi eroga paghe eccessivamente basse, lo si può fare incrociando i dati, basterebbe un click”. E ancora: “noi i contratti li abbiamo rinnovati. Sono altre associazioni datoriali che non lo fanno. Basta considerare i numeri: sono meno di 240mila dipendenti, su 5,5 milioni, con i contratti scaduti da oltre 24 mesi. E c’è qualche grande associazione che dal 2019 non rinnova il contratto dei pubblici esercizi”.
Ma Bonomi tira una palla anche in campo sindacale: “Farei una domanda al sindacato: ma un metalmeccanico, se lavora nella piccola impresa, o nell’industria, deve avere stesso stipendio? Per me sì, perché ovunque lavori è sempre un metalmeccanico; ma perché allora abbiamo 44 contratti nazionali, molti siglati dalle stesse sigle sindacali, che fanno dumping sullo stipendio?”. Insomma: basterebbe prendere a riferimento i contratti dell’industria, rinnovati grazie alle regole fissate dal patto della Fabbrica del 2018, e il problema sarebbe risolto.
Nel suo intervento sul palco dell’Assemblea di Assolombarda Bonomi ha parlato anche di Bce, Mes, Pnrr, investimenti e migranti. Andando con ordine: “della Bce all’inizio abbiamo condiviso l’operato, ma adesso ci sta mettendo in crisi: per combattere l’inflazione si rischia la recessione, si bloccano gli investimenti proprio nel momento in cui sarebbero invece necessari”. Il sospetto, aggiunge, è che la Bce sia spinta dalla Germania” ad aumentare costantemente i tassi, ma è una scelta miope perché l’inflazione sta comunque scendendo: “avevamo ipotizzato che a fine anno sarebbe stata sul 5%, adesso pensiamo che il 2023 si chiuderà attorno al 3, massimo 4%. Ma attenzione – avverte – a non farci male da soli”, aggiunge, riferendosi alla questione Istat-Ipca.
Quanto al Mes, per Bonomi è necessario “un bagno di realt”, l’Italia dovrebbe ratificarlo, chiedendo però di poterlo usare per stimolare gli investimenti di politica industriale necessari alla transizione: “Se l’Europa vuole andare verso green e digitale, ma non ci mette i soldi, allora perché non darci la possibilità di utilizzare quelle risorse disponibili?”. Dopodiché, è “ovvio” che in Italia la ratifica del Mes “è un tema politico e che il governo sta trattando con l’Europa. Ma quando c’è la volontà politica si può fare tutto: quindi a dire ‘lo ratifichiamo, vi chiediamo la possibilità di utilizzarlo come strumento di politica industriale’ ci si mettono due minuti”.
Sul Pnrr: il presidente di Confindustria rivendica di essere stato il primo, e per lungo tempo anche il solo, a criticare la prima versione del Piano presentato dal governo Conte primo: “dicemmo subito che mancava di visione e che erano previste troppe stazioni appaltanti”. Ciò detto, “oggi i 200 miliardi del Pnrr sono un’occasione che il paese non può permettersi di perdere, sia per la crescita che per la credibilità internazionale”. Dunque, occorre mettere in campo strumenti che consentano di scaricare a terra tutto molto velocemente: “l’industria ha le qualità necessarie, lo abbiamo dimostrato con Industria 4.0, il patent box, eccetera. La presidente Meloni ci chiede di lavorare assieme? la nostra proposta allora è stimolare gli investimenti su Industria 5.0 con crediti di imposta: in un anno scarichiamo a terra tutti gli investimenti e facciamo il bene del paese”.
E a proposito di investimenti, Bonomi non rinuncia a lanciare una stoccatina al governo:
“Mi è piaciuto sentire dalla presidente Meloni un atteggiamento diverso rispetto alla narrazione dell’industria. Ma proprio per questo nell’ultima legge di bilancio avremmo gradito che le risorse restanti dopo l’intervento sui costi dell’energia fossero messe sugli interventi che noi ritenevamo fondamentali per stimolare gli investimenti. Secondo l’Ue, l’Italia dovrà investire per la transizione 580 miliardi oltre quelli del Pnrr: ecco, avremmo gradito che la legge di bilancio ne tenesse conto”.
Infine, la questione immigrazione. Anche in questo caso Bonomi non la pensa come il governo, e anzi ribadisce la necessità di includere i flussi di migranti tra le “armi” per combattere il declino demografico: “se parli di demografia, non puoi non parlare di immigrazione. Intendo immigrazione di qualità, come fece la Germania nel 2015, con la crisi siriana, come fa il Canada. Perché se anche la curva demografica si invertisse di colpo, ci vorrebbero comunque vent’anni per vederne i risultati sulla popolazione”. Poi, certamente, c’è un problema legato alle migrazioni economiche, che va gestito e risolto diversamente. Ma intanto, occorre scongiurare le previsioni foschissime dell’Istat, “che tra non molti decenni prevede che l’Italia si riduca a un terzo rispetto a oggi”.
Nunzia Penelope