Il fascismo sarà anche morto, ma i fascisti no. Quelli non muoiono mai. Si riproducono, ogni generazione ne sforna di nuovi, che si uniscono ai vecchi, agli anziani, anche a quelli di mezza età che finora hanno finto di non essere più fascisti ma che in realtà lo sono ancora. Tanto che non riescono a definirsi antifascisti, a cominciare dalla premier Giorgia Meloni e a finire con l’ex parlamentare e governatore del Lazio Francesco Storace. In mezzo più o meno tutta la classe dirigente e militante di Fratelli d’Italia. Che al massimo riesce a dire che “non ha senso discutere ancora di fascismo, perché quella è una storia chiusa ottant’anni fa…” . Almeno Gianfranco Fini ebbe il coraggio di definire quella storia “il male assoluto”. Loro invece queste parole non le pronunciano mai, usano perifrasi, buttano la palla in corner, ma una presa di posizione chiara e netta contro il fascismo non l’abbiamo ancora sentita.
D’altra parte non è facile rinnegare la propria storia e le proprie radici, quindi è comprensibile – ma non giustificabile – la ritrosia di Meloni a schierarsi decisamente contro quel regime del secolo scorso che trascinò l’Italia in guerra, che perseguitò gli ebrei e si alleò con i nazisti tedeschi, provocando la strage che purtroppo conosciamo.
La questione del fascismo è tornata alla ribalta a causa di quelle centinaia di militanti che sono andati a commemorare i loro tre camerati uccisi nel 1978 davanti alla sezione del Fronte della gioventù di via Acca Larentia: erano tre ragazzi, due di loro uccisi da un commando di terroristi di sinistra e il terzo dai carabinieri nel corso degli scontri seguiti all’aggressione omicida. Una commemorazione che si svolge tutti gli anni, il 7 gennaio, ma che stavolta ha avuta un’eco più clamorosa, proprio perché al governo ci sono coloro che del fascismo sono gli eredi politici. I saluti romani, il grido “presente” scandito ad ogni nome delle vittime, lo schieramento paramilitare dei manifestanti, ha provocato una forte reazione nell’opinione pubblica e nei partiti di opposizione ma pure di qualcuno della maggioranza, come Forza Italia. E non basta replicare con una domanda: perché non vi siete indignati quando al governo c’eravate voi e quella commemorazione si è svolta ogni anno, sempre il 7 gennaio e sempre uguale, saluti romani e urla “presente” compresi?
Diciamo subito che le attuali opposizioni hanno sbagliato in passato a non reagire, evidentemente considerandolo un fenomeno folkloristico che tale non era e tanto meno lo è oggi che si sentono in qualche modo protetti e sdoganati da chi detiene il potere. Ed è questa la ragione per cui in questi giorni il centrosinistra protesta e chiede alla premier di prendere le distanze da quei saluti romani. Ma lei non lo fa perché non vuole e non può. Non vuole, perché in quei saluti c’è il suo passato (e forse anche il suo presente). E non può perché quella gente, quei fascisti e le loro famiglie e i loro amici più cari fanno parte della sua base elettorale. Se lei rinnegasse il fascismo e si dichiarasse antifascista, qualche voto potrebbe perderlo, e questo non è il momento per rischiare visto che le elezioni europee si avvicinano e che Salvini non aspetta altro che un passo falso di Giorgia per accreditarsi come il vero rappresentante di quel mondo. Senza dover fare alcuno sforzo, visto che tra i due è una bella lotta a chi è più fascistoide. Nella testa, nei comportamenti, nel modo di governare, nei concetti (chiamiamoli così) e negli slogan che i due amano propagandare. Da “Dio patria e famiglia” a “Prima gli italiani” siamo nel pieno della retorica di un secolo fa. C’è solo da sperare che la maggioranza degli italiani si sia vaccinata per evitare di contrarre questo vecchio virus politico e culturale. Che è molto peggio del Covid.
Riccardo Barenghi