MERCOLEDÌ 20 APRILE 2011
221ª Seduta
Presidenza del Presidente
GIULIANO
La seduta inizia alle ore 14,30.
IN SEDE CONSULTIVA
(Doc. LVII, n. 4) Documento di economia e finanza 2011 e connessi allegati
(Parere alla 5a Commissione. Seguito e conclusione dell’esame. Parere favorevole)
Riprende l’esame, sospeso nella seduta di ieri.
La senatrice BLAZINA (PD), nel riportarsi alle considerazioni avanzate nella precedente seduta dai senatori Roilo e Treu, ribadisce che il Governo ha finora minimizzato le difficoltà nelle quali ancora si trova l’economia del Paese; il Documento risente di questo approccio, confermato peraltro dalle osservazioni formulate ieri nel proprio intervento dalla senatrice Spadoni Urbani. L’emergenza è invece ben lungi dall’essere superata, come testimoniamo l’emergere delle nuove povertà e la situazione certo non ottimistica in cui si dibatte il settore dell’occupazione. Lungi dall’essere ispirato da catastrofismo, questo giudizio deriva semmai da una percezione reale della situazione. In particolare, ella si sofferma sui dati del Documento riguardanti le fasce più deboli, vale a dire i giovani e le donne, evidenziando che ben 2 milioni di ragazzi non studiano e non lavorano, la percentuale di abbandono scolastico raggiunge il 22 per cento, la soglia di disoccupazione giovanile è elevatissima ed il 30 per cento dei ragazzi è costretto a restare in famiglia. A ciò va aggiunta la percentuale di appena il 46 per cento di donne occupate, che guadagnano comunque il 25 per cento in meno degli uomini e che per il 27 per cento fanno ricorso al part time; di fatto, il lavoro precario riguarda più diffusamente le donne che gli uomini. Gli effetti della crisi in questo contesto sono stati determinanti, e rispetto ad essi la risposta del Governo si è rivelata insufficiente o comunque non incisiva; carente, in ogni caso, di un piano di riforme strutturali. Inoltre, a fronte di una crescita minima del PIL, forte è invece quella del debito pubblico e, più in generale, quella delle disuguaglianze. Anche su questo la proposta del Governo per il futuro si rivela largamente insufficiente rispetto alle stesse richieste dell’Unione europea, quando non generica e superficiale. Anche le sbandierate riforme in molti casi risultano avviate solo sulla carta: tale è il caso della riforma dell’università, il cui conseguimento è demandato ai decreti attuativi, nonché la realizzazione del federalismo fiscale, che avverrà dopo il 2014. Alcune proposte sono poi del tutto inconsistenti, riducendosi unicamente a prese di posizione o all’enunciazione di linee di indirizzo, senza alcuna copertura degli interventi. Di fatto, alcune riforme sono state dettate solo dall’esigenza di far quadrare i conti pubblici. Ricorda infine che alcuni temi hanno invece per il suo Gruppo assoluta priorità; tra essi, la dualità del mercato del lavoro, l’incentivazione del lavoro femminile, il rafforzamento dei servizi pubblici e le misure di contrasto alla povertà.
Il senatore PASSONI (PD) sottolinea che il Documento è già stato stroncato in diverse sedi dalle grandi associazioni, e dalla stessa Confindustria. Si presenta sostanzialmente come un collage di altri documenti, enfatici della politica tremontiana e di quella – strutturalmente collegata – del ministro Sacconi sul versante delle politiche del lavoro. Non supera l’orizzonte dell’oggi, incapace di immaginare un Italia più forte e competitiva; manca di scelte strategiche di fondo e non sceglie la crescita come ancora di tutte le politiche (bilancio, investimenti, assetti produttivi, politiche sociali ed occupazionali). Se la crescita attesa per il 2014 è pari all’1,6 per cento, a fronte di un incremento del PIL dell’1 per cento, l’Italia versa davvero in una situazione assai difficile: sarà infatti necessaria, di fronte ad una economia che non cresce, una manovra colossale, che graverà tutta sulle spalle delle fasce più deboli. Di fatto, dal biennio 2008/2010 i redditi delle persone e delle famiglie sono in diminuzione e, senza crescita, non è credibile la stessa realizzazione degli impegni contenuti nel Patto di stabilità. Sarebbe difficile non ripercorrere al riguardo le responsabilità del Governo in carica, che peraltro nel Documento non solo sono dichiarate, ma addirittura sono assunte come valore. La crisi a lungo è stata negata, poi minimizzata, successivamente presentata come superata, senza mettere in campo misure anticicliche e senza aiuti alla domanda interna. In piccola ripresa sono invece soltanto i rami alti della produzione, ma non la domanda interna. Nessun sostegno è stato dato alla riconversione del mercato interno, come ad esempio è avvenuto in Germania, sotto la spinta del Governo. In Italia mancano inoltre politiche di welfare o interventi dell’Esecutivo finalizzati a favorire la crescita dimensionale delle imprese. Allarmanti sono i dati riguardanti l’occupazione. Quelli della Banca d’Italia si riferiscono a 650 mila occupati in meno rispetto al 2008, con una caduta occupazionale di rilievo enorme ed in assenza di segnali di ripresa. L’unica manovra messa in campo è rappresentata dal ricorso alla Cassa integrazione in deroga; è stata così sprecata la grande occasione offerta dalla crisi per effettuare le grandi riforme e nessuna misura è stata adottata per contrastare la precarietà. Con l’occasione, egli ricorda la situazione di 1200 precari dell’INPS, i cui contratti sono scaduti il 31 marzo scorso. Un ordine del giorno presentato alla Camera dei deputati e accolto dal Governo prevedeva la proroga di tali contratti, che effettivamente ha avuto luogo, ma per soli quindici giorni. Auspica che sulla vicenda il Governo voglia riferire, in Aula o in Commissione, al Senato.
L’unica scelta operata dall’Esecutivo sul tema della precarietà riguarda l’apprendistato, che in nessun caso potrà risolvere la situazione. Le proposte del PD sul tema, che vanno dal contratto unico al maggiore costo del lavoro precario rispetto a quello stabile, sono note, ed egli ne auspica un tempestivo approfondimento in Commissione. Conclude manifestando la propria delusione nei confronti del Documento, che avrebbe potuto offrire segnali di intervento concreto sull’economia italiana e risulta invece del tutto insufficiente.
Nessun altro chiedendo di intervenire in discussione generale, il relatore CASTRO (PdL), replicando agli intervenuti, illustra una proposta di parere favorevole (vedi allegato).
La senatrice CARLINO (IdV) sottolinea che il Patto Europlus del 25 marzo 2011 contiene diverse indicazioni rivolte agli Stati membri per promuovere la crescita dell’occupazione, la competitività e la riduzione della disoccupazione giovanile. Il Governo italiano afferma di aver già posto in essere molte delle misure economico-sociali previste dal Patto, indicando in particolare la riforma delle pensioni, con l’allineamento dell’età pensionabile alla effettiva speranza di vita e il collegamento tra retribuzione e produttività. Si tratta comunque di semplici piani, di fatto privi di indicazioni circa la loro applicazione concreta. Pertanto il Documento appare alquanto debole sul piano della diagnosi e vago su quello delle proposte concrete, specie sul fronte del mercato del lavoro, per il quale non è citato nessun vero investimento, diversamente da quanto fatto da altri Governi, come quelli inglese, tedesco e francese.
Nel ribadire le considerazioni critiche già svolte in discussione generale, sottolinea che nel DEF i dati relativi alla disoccupazione mostrano solo una flessione dello 0,3 per cento nel triennio, non tenendo conto del fatto che l’Italia ha il numero di inattivi e di scoraggiati più alto di tutta Europa.
Per quanto attiene agli ammortizzatori sociali, si rimanda ad una generica “manutenzione del sistema”, affidato alla sussidiarietà ed alla bilateralità.
Quanto alle pensioni, viene descritta come sostanzialmente stabilizzata la spesa pensionistica; risulta inoltre assente qualsiasi considerazione sull’adeguatezza dei redditi da pensione, soprattutto in considerazione della progressiva perdita di capacità contributiva dei giovani e del permanere di un gap di genere rilevantissimo.
A suo giudizio il Documento andrebbe integrato con l’indicazione di misure concrete volte a premiare la produttività, attraverso misure di defiscalizzazione e decontribuzione, accrescere il livello della partecipazione dei lavoratori nelle imprese, semplificare norme e procedure, salvaguardando tuttavia le garanzie dei lavoratori, favorire l’inclusione nel mercato del lavoro di giovani e donne, anche attraverso la previsione di appositi sgravi tributari e contributivi in favore sia dei datori di lavoro che dei giovani e delle donne lavoratrici, prevedere interventi di welfare a supporto della conciliazione e dei carichi di cura, introdurre innovazioni nel mercato del lavoro dipendente e autonomo, quali forme di tassazione agevolata per i giovani professionisti e le imprese giovanili, prevedere contratti per la ricerca di lavoro, la fiscalizzazione degli investimenti in formazione e l’unificazione delle tutele delle diverse forme di prestazione lavorativa, al fine di favorire la crescita di un’occupazione buona e stabile. Occorrerebbe inoltre riformare in senso universalistico e compartecipativo gli ammortizzatori sociali, valutare a medio e lungo termine la qualità del sistema previdenziale, sanare il grave squilibrio interno alla pressione fiscale, a danno del lavoro e dell’impresa, attraverso la riduzione del cuneo fiscale sul lavoro, nonché la diminuzione del prelievo sui redditi da lavoro più bassi e quello sulle imprese.
Per queste ragioni, esprime parere contrario sul Documento, presentando una proposta di parere di segno negativo (vedi allegato).
Anche la senatrice GHEDINI (PD) dichiara il proprio voto contrario alla proposta del relatore e illustra uno schema di parere alternativo, di cui è prima firmataria (vedi allegato). Ribadisce che il Documento si presenta assai carente nell’indicazione di misure concrete, sostenute normativamente ed economicamente, in direzione della crescita, della redistribuzione dei redditi e dell’incremento dei consumi, rendendo pertanto incongrua qualsiasi attesa in ordine al possibile conseguimento degli obiettivi. Al suo interno non si riscontra la messa in campo di alcuna politica per l’innovazione: l’impostazione generale rende dunque nulla la possibilità che ripresa e crescita poggino sulla capacità dell’Italia di competere con i Paesi dell’Europa e del mondo.
Le considerazioni avanzate dal suo Gruppo in ordine alla tempistica di esame del Documento rappresentano peraltro una questione dirimente. Auspica pertanto che anche in Assemblea si possa disporre di un tempo di esame adeguato alla ponderosità e importanza del Documento stesso.
Venendo alla competenza specifica della Commissione, sottolinea che i dati relativi all’occupazione sono contraddittori ed incomprensibili, quando non addirittura errati. Tale è ad esempio il caso del tasso di occupazione medio per il 2010, previsto al 61 per cento, mentre quello ISTAT si attesta su una percentuale del 56,7 per cento. Questa macroscopica differenza influenza l’intero Documento, rendendone dunque del tutto infondate le stime.
Il Documento muove dalla previsione di un tasso di crescita del Paese assolutamente modesto, pari all’1,5 per cento di media; considerato il divario tra quanto contenuto nel Documento e quanto dichiarato ieri dal ministro Tremonti nel corso dell’audizione dinanzi alle Commissioni bilancio congiunte di Camera e Senato a proposito della necessità di una manovra correttiva, la crescita attesa per l’occupazione risulta mediamente pari allo 0,2 per cento, proporzione che evidentemente non potrà consolidare l’annunciata crescita occupazionale per il 2010 di 1.700.000 unità.
Il bilanciamento di flessibilità e sicurezza è inoltre rinviato all’attuazione delle deleghe già contenute nella legge n. 246 del 2007, reiterate nella legge n. 183 del 2010, e all’attuazione della delega prevista nella bozza dello Statuto dei lavori; ancora una volta si dilazionano nel tempo misure di particolare urgenza e si destruttura ulteriormente il diritto del lavoro.
Quanto all’occupazione giovanile, le misure cui il Documento si riferisce appaiono inadeguate a superare l’attuale drammatica situazione. Mancano inoltre indicazioni circa i modi per affrontare il problema della discontinuità lavorativa. Quanto allo stimolo all’occupazione femminile, è evidente che i 40 milioni di euro previsti dal Piano per la conciliazione risultano del tutto inadeguati ad affrontare una situazione decisamente emergenziale. Il 7 marzo scorso è stato sottoscritto un avviso comune tra il Governo e le parti sociali, che tuttavia prevede di delegare alla contrattazione di secondo livello la ricerca e l’incentivazione delle buone pratiche in materia di orario di lavoro finalizzate alle esigenze di conciliazione, impegnando l’Esecutivo a dare attuazione all’articolo 9 della legge n. 53 del 2000 in materia di Fondo per le politiche per la famiglia, fondo che è stato però assolutamente svuotato ed ammonta attualmente ad appena 25 milioni di euro, per la metà già destinati al finanziamento di programmi definiti in accordo con le Regioni.
Del tutto incomprensibili appaiono i passi dedicati alla spesa pensionistica, che viene descritta come stabilizzata per effetto degli interventi contenuti nel decreto-legge n. 78 del 2010. Su tutti questi temi, sui quali si appuntano forti critiche, il suo Gruppo ha presentato numerose iniziative legislative, assegnate alla Commissione e di alcune delle quali l’esame risulta già iniziato; su di esse conclusivamente auspica un adeguato approfondimento ed un confronto aperto tra maggioranza ed opposizione.
Presente il prescritto numero dei senatori, il PRESIDENTE mette quindi ai voti la proposta di parere favorevole formulata dal relatore, che è approvata, risultando conseguentemente precluso il voto sulle due proposte alternative.
La seduta termina alle ore 15,30.
PARERE APPROVATO DALLA COMMISSIONE
SUL DOCUMENTO LVII, N. 4
La Commissione lavoro, previdenza sociale,
esaminati, per le parti di competenza, il Documento di economia e finanza 2011 e i connessi allegati;
premesso che il Documento rafforza le priorità del Governo, già individuate nel “Piano triennale per il lavoro” adottato nel luglio 2010, in materia di lotta al lavoro irregolare, di attuazione del principio di sussidiarietà e di sviluppo delle competenze per l’occupazione;
valutati gli incrementi del PIL e del tasso di occupazione nel periodo 2011-2014, nonché il decremento del tasso di disoccupazione;
considerato che le misure già introdotte con il decreto-legge n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 122 del 2010, in materia di regime delle decorrenze dei trattamenti di vecchiaia e anzianità, elevamento del requisito anagrafico per il pensionamento delle lavoratrici nel pubblico impiego e attuazione dell’adeguamento dei requisiti anagrafici per il pensionamento all’aumento della speranza di vita, consentiranno una robusta riduzione del rapporto tra spesa pensionistica e PIL fino al 2026;
osservato che il Documento conferma e consolida le misure già intraprese dal Governo riguardanti il mercato del lavoro;
esprime, per quanto di competenza, parere favorevole.
SCHEMA DI PARERE PROPOSTO DALLA SENATRICE CARLINO
SUL DOCUMENTO LVII, N. 4
La Commissione lavoro, previdenza sociale,
esaminato il Documento di economia e finanza 2011;
rilevato che:
il dibattito sul DEF italiano vada inquadrato nella cornice europea dopo la sostituzione del Patto di stabilità (e crescita) siglato a Maastricht nel 1991 con il Meccanismo europeo di stabilità (Mes) che dovrà essere approvato a Giugno da parte del Consiglio europeo e dovrebbe prevedere, tra l’altro, interventi automatici di un Fondo europeo dotato di risorse pari a 500 miliardi di euro in cambio dei quali i paesi si impegnano a porre in essere politiche di bilancio rigorose volte alla netta riduzione del deficit di bilancio sull’esempio di quanto già fatto dalla Germania. Il primo passo in questa direzione è già stato compiuto nel Consiglio europeo del 24 e 25 marzo con l’accordo sul Patto Europlus (PEP);
le economie più in difficoltà del Continente saranno messe sotto amministrazione controllata da parte della Banca centrale europea secondo i principi di un nuovo “Frankfurt consensus”;
l’interesse a stabilizzare i sistemi finanziari di alcuni paesi europei è così forte perché, stando agli ultimi dati della Banca dei regolamenti internazionali (giugno 2010), il sistema bancario tedesco è esposto sulla Grecia per 65,4 miliardi, sull’Irlanda per 186,4, sul Portogallo per 44,3 e sulla Spagna per 216,6, e solo prestiti internazionali potrebbero salvare le banche tedesche per le quali un crack finanziario dei propri debitori avrebbe effetti devastanti;
si sta in pratica edificando, come da tempo chiedevano i più illuminati fra gli economisti, un governo dell’economia europeo che si affiancherà alla moneta unica;
l’obiettivo non è più quello di un indebitamento annualmente non superiore al 3 per cento del PIL, ma è ora il pareggio annuale. Nel 2015 si inizierà a verificare come sono state applicate nel triennio precedente (e quindi a partire dal 2012) le nuove regole;
sarà introdotta la regola che qualunque entrata ulteriore a quelle poste in bilancio dovrà andare a riduzione del disavanzo, mai a copertura di nuove o maggiori spese;
c’è anche l’impegno ad introdurre in ciascuna Costituzione nazionale il vincolo della disciplina di bilancio;
la soluzione che viene proposta consiste semplicemente nel tagliare la spesa pubblica a partire dagli sprechi e dalle spese inutili. Andranno naturalmente valutati l’impatto sulla crescita, garantendo comunque la spesa sociale insopprimibile;
è necessaria dunque una riflessione più approfondita. La crisi attuale deriva dall’inadeguatezza sia delle politiche keynesiane sia di quelle liberiste ad affrontare i problemi posti dalla globalizzazione dell’economia;
considerato che:
nonostante il Governo sostenga che non ci sarà bisogno di manovre correttive né per quest’anno né per il prossimo e che in questo biennio si faranno soltanto provvedimenti contabili ordinari, la Banca d’Italia ha calcolato che, nel caso si decida di programmare tra il 2013 ed il 2014 l’approvazione della manovra volta a conseguire il pareggio di bilancio, questa non potrà essere inferiore ai 35 miliardi di euro nel biennio;
infatti, fra il 2010 e il 2014 la spesa pubblica al netto degli interessi dovrà scendere di 5,5 punti di PIL. Di questi, secondo il Governo 3,2 punti sarebbero già individuati nel quadro tendenziale della seconda sezione del DEF. Altri 2,3 punti deriveranno da ulteriori manovre sul 2013-2014 basate su ulteriori tagli alla spesa pubblica;
una riduzione così drastica della spesa, nonché del disavanzo al netto degli interessi, non sarà facilmente realizzabile anche in relazione al tasso di crescita previsto, di poco superiore all’1 per cento;
già nel 2011 e nel 2012 la spesa al netto degli interessi dovrebbe rimanere pressoché invariata a prezzi correnti, il che ne comporta una notevole riduzione in termini reali. In gran parte i tagli sono già stati inseriti nelle tabelle approvate dal Parlamento con la legge 13 dicembre 2010, n. 220 (legge di stabilità 2011). Sarà quindi necessario valutare chi sarà colpito da tali tagli, i quali peraltro non sembrano accompagnati da misure capaci di incidere sui meccanismi di spesa, e quale sarà l’impatto degli stessi sull’intera economia;
il Governo prevede un miglioramento costante del saldo di bilancio primario aggiustato per il ciclo economico, pari a circa tre punti percentuali da qui al 2014, in gran parte dovuto a riduzioni di spesa. Tuttavia questo dato va considerato con molta cautela, perché si basa su stime ottimistiche, ed è frutto in gran parte di misure saltuarie o non specificate e non di cambiamenti strutturali alla dinamica della spesa;
prendendo il 2012 come esempio, il Governo stima che i provvedimenti presi nel 2010 ridurranno il disavanzo di circa 25 miliardi, oltre 1,7 punti di PIL. Ma gran parte degli effetti sono imputati a due misure, la lotta all’evasione e il patto di stabilità con gli enti locali, entrambe basate su assunzioni da verificare;
un’altra fonte di risparmi riguarda i salari pubblici, frutto del blocco del turnover, che non può essere ripetuto all’infinito. Il Governo continua a prevedere cospicui risparmi su questa voce fino al 2014, ma non è chiaro su quali basi concrete sia fondata tale previsione;
tutto questo rende il miglioramento del saldo primario estremamente aleatorio. Ma se anche si realizzasse, poco o nulla di queste misure ha la natura di una riforma strutturale che riduca finalmente il peso della spesa pubblica;
il punto critico continua ad essere rappresentato dalla bassa crescita, il cui livello previsto è pari a circa 1 per cento: la metà di quello che la Banca d’Italia ha indicato come il livello minimo per poter interrompere ed invertire la corsa all’aumento del debito pubblico, e nel contempo assorbire almeno in parte una disoccupazione sempre crescente;
la disoccupazione in Italia, calcolata correttamente computando anche una grossa fetta dei cassaintegrati, supera il 10 per cento e non vi sono prospettive realistiche di un recupero. In Italia, peraltro non ci sono state crisi bancarie e necessità di salvataggi, eppure il nostro debito pubblico ha raggiunto di nuovo i livelli massimi della prima metà degli anni ’90 (120 per cento del PIL rispetto ad una media europea dell’84%). Il PIL pro capite italiano a parità di potere d’acquisto è ritornato sostanzialmente ai livelli del 1999. Abbiamo perso 10 anni, e se il nostro tasso di crescita resterà inchiodato all’1 per cento, ci vorranno 6 anni per ritornare al punto di partenza;
la “scossa” all’economia che il Governo aveva promesso non c’è propria stata e il surplus di crescita necessario non può essere assicurato da un documento in cui non c’è un impegno preciso, una data, ed in cui si ritirano fuori le grandi opere infrastrutturali bloccate da questo stesso Governo e per le quali si riducono drasticamente le risorse;
le oltre 160 pagine del Piano nazionale delle riforme (PNR) indicano le misure programmatiche del Governo da qui alla fine della legislatura. Delle quattordici misure elencate come programmatiche, cioè ancora da realizzare da qui alla fine della legislatura, alcune sono semplici piani (il piano triennale del lavoro, il programma di inclusione delle donne, eccetera). Altre misure sono titoli vuoti come la promozione delle energie rinnovabili;
manca qualsiasi indicazione operativa (e come tale controvertibile) per realizzare quelle generiche enunciazioni, vaghe e sommarie anche sul tema della riforma tributaria;
la bassa crescita non ha impedito che nel 2010 l´indebitamento delle pubbliche amministrazioni fosse più basso del previsto, grazie al contenimento delle spese;
negli anni a venire si prevede un ulteriore contenimento della spesa rispetto al PIL: dopo un collasso di oltre il 16 per cento nel 2010, gli investimenti fissi pubblici continueranno a cadere, anche in termini assoluti (con buona pace delle imprese di costruzione); si ridurranno in quota i redditi dei dipendenti. La pressione tributaria e quella fiscale (che include i contributi) resterà invariata al notevole livello del 42 e mezzo per cento del prodotto;
secondo gli esponenti del Governo, il testo del PNR contiene interventi organici in funzione della crescita. Con due direttrici principali: la grande riforma fiscale e una pervasiva revisione dell’impianto regolatorio dall’altra. Tuttavia la riforma fiscale appare come una delega senza copertura finanziaria rinviata di fatto alla prossima legislatura, ripetendo un procedimento già adottato dal Ministero dell’economia e delle finanze nel 2003 (legge n. 80 del 2003 – Delega al Governo per la riforma del sistema fiscale statale). L’unica misura per la crescita sembrerebbe dunque la deregolamentazione di appalti, la costituzione di aree a “burocrazia zero” nel Sud e di distretti turistico-balneari attraverso una non ben definita intenzione di ridefinire il demanio marittimo;
le misure “per lo sviluppo” indicate dal Governo appaiono di fatto come una spinta al lassismo, come molte altre già adottate in precedenza tra cui in particolare l’abolizione del falso in bilancio, i condoni, la cosiddetta “finanza creativa”, la tassazione dei redditi da capitale più bassa di quelli da lavoro;
la vaghezza del PNR non affronta una seria analisi su riforme mirate e non costose, apparendo come un documento in cui la preoccupazione di mantenere ordine nella contabilità dello Stato sacrifica l’indicazione di misure concrete volte ad incentivare la crescita;
in assenza di crescita il debito pubblico totale non scende neppure con un indebitamento annuo pari a zero. Al contrario con un indebitamento annuo sotto controllo e un PIL che cresce di più, tutto il portato della crescita si traduce in riduzione percentuale del debito totale;
considerato, inoltre, che nell’ambito specifico delle materie di competenza della 11a Commissione:
il Patto Europlus del 25 marzo 2011 contiene diverse indicazioni. In particolare la crescita dell’occupazione viene considerata intimamente correlata alla crescita della competitività nella zona euro, mentre i tassi di disoccupazione giovanile, quelli di lungo periodo e i tassi di attività, sono presi a parametro del buon funzionamento del mercato del lavoro;
il Governo italiano afferma di aver già posto in essere molte delle misure economico-sociali previste dal citato Patto, indicando in particolare la riforma delle pensioni, con l’allineamento dell’età pensionabile alla effettiva speranza di vita e il collegamento tra retribuzione e produttività, e i provvedimenti contenuti nella legge 4 novembre 2010 n. 183 (cosiddetto “collegato lavoro”) le cui norme in tema di arbitrato, sono state tuttavia censurate dalla più autorevole dottrina che le ha indicate come almeno parzialmente incostituzionali e foriere di un grave aumento del contenzioso;
tali interventi sono illustrati nel paragrafo V.1 del PNR nel cui testo tuttavia non sono individuabili ulteriori concreti progetti di riforma ma semplici piani peraltro di fatto privi di indicazioni circa la loro applicazione concreta. Il documento in esame appare alquanto debole sul piano delle diagnosi e vago su quello delle proposte concrete in particolare per quanto riguarda il fronte del mercato del lavoro, per il quale non è citato nessun vero investimento come invece fatto da altri Governi, come quelli inglese, tedesco e francese;
viene citato il Piano triennale del Lavoro, presentato già nel luglio 2010, e le sue tre priorità da esso individuate: lotta al lavoro irregolare e aumento della sicurezza sul lavoro; decentramento della regolamentazione; sviluppo delle competenze per l’occupabilità;
quanto alla lotta al lavoro irregolare e aumento della sicurezza sul lavoro, si citano non meglio definite “azioni di vigilanza selettiva” e “modifiche ai sistemi sanzionatori che ne accrescano l’efficacia”. Nella pratica, l’azione del Governo in materia è stata tuttavia volta quasi esclusivamente alla modifica in senso peggiorativo delle norme contenute nel decreto legislativo n. 81 del 2008 (cosiddetto Testo unico sulla sicurezza sul lavoro) di cui ulteriori modifiche sono tuttora previste nel cosiddetto disegno di legge di “semplificazione” (atto Senato 2243). Appare inoltre incomprensibile il riferimento alla promozione dell’emersione del lavoro irregolare attraverso la promozione del cosiddetto lavoro intermittente e accessorio che, soprattutto dopo l’allargamento abnorme della possibilità di utilizzare lo strumento voucher sancito dalla legge n. 191 del 2009, è forse la forma di lavoro meno tutelata in assoluto;
per quanto riguarda il decentramento della regolamentazione esso si è tradotto finora nella ricerca e promozione degli accordi separati e nella approvazione di misure che peraltro non sembrano avere affatto risolto i problemi della contrattazione in Italia come dimostrato da ultimo dalla vertenza FIAT. Tra le misure da realizzare il Governo indica l’attuazione della delega per la redazione del cosiddetto “Statuto dei lavori” il cui testo risulta alquanto ridotto nella forma e vago nei contenuti configurandosi sostanzialmente come una delega in bianco che tra le altre cose sarebbe volto ad eliminare lo Statuto dei lavoratori. Se da un lato il corpus delle leggi che oggi disciplinano il diritto del lavoro è divenuto oggettivamente ipertrofico e pertanto vi è la necessità di procedere ad una sua riorganizzazione, dall’altro le garanzie per i lavoratori non possono essere ridotte ed anzi vanno accresciute a favore di quelle categorie che a tutt’oggi ne sono prive. Al contrario l’azione del Governo si è fin qui caratterizzate per un’opera di deregolamentazione la quale rischia di diminuire le garanzie e i diritti dei lavoratori;
quanto allo “sviluppo delle competenze per l’occupabilità” che prevedrebbero “la valorizzazione dell’azienda come luogo di formazione” l’unica misura in tal senso, anche questa già attuata, è quella contenuta all’articolo 48 del “collegato lavoro”, una norma ampiamente criticata e criticabile che rischia di tradursi in un abbassamento surrettizio dell’età scolare. Il Governo dichiara di voler procedere altresì all’ulteriore incentivazione del contratto di apprendistato, al fine di renderlo “il tipico e conveniente contratto di ingresso dei giovani nel mercato del lavoro grazie alla semplificazione regolatoria e alla efficacia della formazione in ambiente lavorativo”. Il contratto di apprendistato viene presentato come lo strumento migliore per la risoluzione del problema dell’occupazione giovanile e femminile, specie nelle regioni meridionali, e di centrare così gli obiettivi europei, nonostante tale strumento si sia dimostrato tutt’altro che efficace;
al Governo sembra non tener conto né del fatto che i giovani disoccupati in Italia sono più del 25 per cento, mentre l’occupazione femminile è ferma al 47 per cento, dati che posizionano l’Italia all’ultimo posto tra i paesi della zona euro, né della complessità del problema della disoccupazione e rinuncia a mettere in campo interventi e risorse consistenti, come richiesto dall’Europa: nel DEF i dati relativi alla disoccupazione mostrano solo una flessione dello 0,3 per cento nel triennio, mentre non si tiene conto del fatto che l’Italia ha il numero di inattivi e di scoraggiati più alto di tutta Europa;
per quanto attiene agli ammortizzatori sociali si rimanda ad una generica “manutenzione del sistema” affidato alla sussidiarietà ed alla bilateralità, che proprio nella fase della crisi hanno dimostrato tutta la loro fragilità ed inadeguatezza, a fronte della necessità di garantire una nuova impostazione universalistica ed equilibrata, che si qualificherebbe non solo socialmente necessaria, ma come sostegno alla domanda, ed efficientamento del costosissimo sistema degli ammortizzatori in deroga. La registrata diminuzione dell’utilizzo della cassa integrazione ordinaria, che dà la certezza di ritornare sul proprio posto di lavoro, è causata dall’esaurimento da parte delle imprese dei periodi massimi di erogazione, mentre l’aumento della cassa integrazione straordinaria e quella in deroga, sono sintomatiche di una crisi irreversibile e della rottura del rapporto di lavoro;
viene descritta come sostanzialmente stabilizzata la spesa pensionistica, attribuendo un effetto risolutivo in tal senso agli interventi posti in atto con il decreto legge 31 maggio 2010 n. 78 mentre le proiezioni mostrano in maniera chiara come il profilo di sostenibilità della spesa pensionistica sia sostanzialmente determinato dagli interventi di riforma messi in atto fin dal 1995 ed inoltre, le correzioni apportate con citato decreto n. 78 del 2010 vengono proiettate, nel medio periodo, su una base di dati che ipotizza tendenze di crescita e di occupazione decontestualizzate rispetto alla congiuntura e assolutamente prive di qualsiasi riflessione critica producendo pertanto una proiezione gravemente falsata della stabilità del sistema;
risulta inoltre assente qualsiasi considerazione sull’adeguatezza dei redditi da pensione, già debole oggi e grave per la prospettiva, soprattutto in considerazione della progressiva perdita di capacità contributiva dei giovani e del permanere di un gap di genere rilevantissimo, non certo colmato dall’allungamento del periodo di attività delle dipendenti pubbliche nel corso del tempo. Entrambe i fattori sono gravemente condizionati da tassi di attività pesantemente inadeguati e dalla discontinuità delle carriere, verso il cui superamento non appaiono rivolti interventi determinanti;
propone che per le materie di sua competenza il documento in esame sia integrato e corretto attraverso l’indicazione di misure concrete volte a :
premiare la produttività, disponendo risorse certe e continuative per il finanziamento delle politiche incentivanti (defiscalizzazione e decontribuzione);
accrescere il livello della partecipazione dei lavoratori nelle imprese,
semplificare norme e procedure salvaguardando tuttavia le garanzie dei lavoratori;
favorire l’inclusione nel mercato del lavoro di giovani e donne, anche attraverso la previsione di appositi sgravi tributari e contributivi in favore sia dei datori di lavoro sia dei giovani e delle donne lavoratrici,
prevedere interventi di welfare a supporto della conciliazione e dei carichi di cura, attraverso la definizione ed il finanziamento dei LEP in ambito sociale;
introdurre innovazioni mercato del lavoro dipendente e autonomo quali forme di tassazione agevolata per i giovani professionisti e le imprese giovanili; contratti per la ricerca di lavoro, fiscalizzazione degli investimenti in formazione, unificazione delle tutele delle diverse forme di prestazione lavorativa, al fine di favorire la crescita di un’occupazione buona e stabile;
riformare in senso universalistico e compartecipativo gli ammortizzatori sociali con particolare riguardo alle figure precarie ed atipiche;
valutare a medio e lungo termine la qualità del sistema previdenziale, con particolare cura a tutte le dimensioni indicate dalla UE: universalità, sostenibilità, adeguatezza, trasparenza;
unificare gli enti di previdenza, al fine di realizzare risparmi;
sanare il grave squilibrio interno alla pressione fiscale, a danno del lavoro e dell’impresa, attraverso la riduzione del cuneo fiscale sul lavoro, attualmente superiore di circa 5 punti alla media degli altri Paesi dell’area dell’euro, nonché la riduzione del prelievo sui redditi da lavoro più bassi e quello sulle imprese, includendo l’IRAP, è più elevato di ben 6 punti. Un divario che dovrà essere superato attraverso riduzione della spesa corrente primaria ed una decisa lotta all’evasione fiscale al fine di portare gradualmente al 20 per cento l’aliquota di riferimento per la tassazione dei redditi da lavoro;
modificare drasticamente la normativa in materia di contratti atipici al fine di ridurre la precarietà e perseguire l’istituzione del contratto unico a tutele progressive, come strumento concreto per conciliare la flessibilità in ingresso richiesta dalle imprese con le esigenze di stabilità.
tutto ciò premesso e considerato,
esprime parere contrario.
SCHEMA DI PARERE PROPOSTO DAI SENATORI GHEDINI, ROILO, TREU, ADRAGNA, BLAZINA, ICHINO, NEROZZI E PASSONI
SUL DOCUMENTO LVII, N. 4
La Commissione lavoro, previdenza sociale,
esaminato lo schema di documento di economia e finanza 2011;
rilevato che,
la legge 31 dicembre 2009, n. 196, recante disposizioni in materia di contabilità e finanza pubblica, recentemente riformata dalla legge 7 aprile 2011, n. 39, in ragione della nuova governance europea, impone all’esecutivo l’obbligo di presentazione lo schema di documento di economia e finanza 2011 entro il 10 aprile di ogni anno, al fine di consentire alle Camere di esaminarne in tempi congrui i contenuti e procedere all’approvazione delle risoluzioni;
tale adempimento non rappresenta un atto formale a carattere meramente programmatico, ma costituisce l’atto vincolante per le decisioni che verranno assunte nella successiva fase di bilancio;
impropriamente, in occasione dell’esame del DEF 2011, la tempistica prevista dall’articolo 7 della legge n. 196 del 2009, viene disattesa e i ridotti tempi di discussione concessi, in particolare alle Commissioni di merito, impediscono di procedere ad un approfondito esame e ad un’attenta valutazione del quadro programmatico e dell’efficacia degli obiettivi, invero non chiaramente rinvenibili nel documento, che il Governo per legge è tenuto a fissare e ad illustrare alle Camere;
il DEF è stato trasmesso al Parlamento senza alcuni fondamentali documenti allegati appositamente previsti dall’articolo 10 della legge n. 196 del 2009. In particolare, si segnala l’assenza dell’allegato infrastrutture, della relazione sull’utilizzo dei fondi FAS e del documento sull’attuazione delle misure di riduzione dei gas serra;
pertanto, rispetto alla norma e alla prassi consegnatici dalla strumentazione di esame del bilancio pubblico, siamo di fronte, ancora una volta, a gravissime violazioni delle prerogative del Parlamento, cui la Costituzione attribuisce una funzione di indirizzo e controllo in ordine alla destinazione e allocazione delle risorse pubbliche in relazione ai fini da perseguire nell’interesse della collettività;
considerato che,
il DEF, è articolato in tre sezioni. La prima sezione contiene il Programma di stabilità, la seconda l’Analisi e le tendenze della finanza pubblica e la terza il PNR;
in relazione alla prima e alla seconda sezione, la descrizione dei dati sull’andamento economico e finanziario del Paese, presentano nel complesso un quadro della situazione da cui emerge, chiaramente, una perdita strutturale di capacità competitiva del Paese, non interpretabile soltanto in base all’andamento del ciclo economico ma al contrario come un deterioramento progressivo del capitale fisico delle imprese, del capitale sociale e del fattore lavoro. Difficoltà che impediscono al Paese di crescere a ritmi analoghi a quelli che si registrano nel resto dei paesi maggiormente sviluppati;
la situazione economica del nostro Paese è particolarmente preoccupante, come indicano i principali indicatori macroeconomici. Le stime del DEF sulla crescita economica, evidenziano per l’anno 2011 una crescita del PIL del 1,1 per cento, ovvero 0,2 punti percentuali in meno rispetto alla stima diffusa nel DFP del settembre 2010, e di quasi 1 punto percentuale rispetto alle previsioni del DPEF 2009. Nel triennio 2012-2014, la crescita si attesterebbe in media all’1,5 per cento, periodo nel quale i Paesi UE raggiungeranno il 2,1 per cento;
nel prossimo biennio sull’attività economica dovrebbe continuare a gravare una dinamica debole dei consumi, frenati dalla stazionarietà del reddito disponibile, circostanza che fa sembrare altrettanto ottimistica la previsione di un tasso di crescita del 1,5 per cento nel triennio 2012-2014;
sul raggiungimento degli obiettivi di crescita del Pil grava, inoltre, la manovra correttiva secondo quanto da più parti affermato, dovrebbe raggiungere la soglia dei 40 miliardi di euro a regime;
occorrerebbe rafforzare il potenziale di crescita dell’economia anche perché una ripresa dell’economia meno intensa di quella prospettata nel DEF 2011 renderebbe impossibile conseguire gli obiettivi di finanza pubblica;
i dati per il 2011 confermano il difficile andamento dei fondamentali di finanza pubblica, seppure in lieve miglioramento rispetto al recente passato. In tale ambito, preoccupano i dati programmatici relativi all’andamento del debito pubblico, che nel 2011 dovrebbe raggiungere il picco del 120 per cento del PIL, per poi ridiscendere in modo graduale negli anni successivi;
l’andamento dell’indebitamento netto è previsto al 3,9 per cento nel 2011, con ciò confermando la ridotta efficacia delle misure di stabilizzazione automatica delle spese e delle riforme per il governo della spesa. Anche in conseguenza dell’accennata manovra correttiva e del percorso di forte contenimento della spesa pubblica, ed in particolare di quella in conto capitale, l’indebitamento netto è previsto in diminuzione fino a raggiungere lo 0,2 per cento nel 2014;
per la spesa corrente gli obiettivi sono particolarmente ambiziosi. La prevista manovra correttiva si baserà quasi esclusivamente su nuovi tagli alla spesa corrente che andranno ad aggiungersi a quelli previsti nelle precedenti manovre correttive. La dinamica della spesa nell’ultimo decennio è stata ampiamente superiore a quella del prodotto e la prevista riduzione della spesa corrente al netto degli interessi deriva da tagli lineari e blocchi temporanei, la cui efficacia è spesso deludente, come ha più volte ricordato la Corte dei conti, risolvendosi per lo più o in meri slittamenti nel tempo di pagamenti (ciò che ha creato difficoltà alle aziende fornitrici dell’Amministrazione) o nell’adozione di atti di riconoscimento di debito, che possono essere espressione di debiti sommersi e, comunque, elementi di turbativa del bilancio. Debiti destinati ad essere regolarizzati in anni successivi, con aggravi rilevanti per la gestione contabile dell’esercizio nel quale avviene l'”emersione”;
il profilo decrescente delle spese in conto capitale non chiarisce se la proiezione ricomprenda o meno le spese che richiedono un apposito rifinanziamento, come tali non registrate dalla previsione a legislazione vigente (come per i contributi alle Ferrovie e all’ANAS). Come ricordato dalla Corte dei Conti, nella prima ipotesi ci troveremmo di fronte ad una decisione programmatica molto severa, per il collasso di una componente di spesa da sostenere e qualificare, nella seconda ipotesi, invece, dovrebbe essere segnalata una significativa sottostima della spesa futura che richiederebbe un apposito finanziamento;
in tale ambito si segnala il massiccio taglio degli investimenti pubblici che scenderanno a 27 miliardi nel 2012 rispetto ai 38 miliardi di euro del 2009;
ad aggravare il quadro di finanza pubblica, il DEF stima per il 2011 un calo del gettito delle entrate tributarie, in gran parte dovuto alla riduzione delle entrate da imposte dirette. Le entrate totali, come riferisce il DPF registrano un contenimento della loro incidenza rispetto al PIL che passa dal 46,6 per cento nel 2010 al 46,4 per cento nel 2011″;
sul quadro di finanza pubblica e sulla crescita incide in misura rilevante il fenomeno dell’evasione fiscale (secondo l’ISTAT, nel 2008 il valore del sommerso economico è compreso tra il 16,3 per cento e il 17,5 per cento del PIL, tra 255 e 275 miliardi di euro) e ostacola gli interventi di riforma fiscale, mentre la sua riduzione potrebbe rappresentare una rilevante leva di sviluppo se il recupero di gettito verrà utilizzato per redistribuire in maniera più equa il carico delle imposte tra le diverse categorie di contribuenti;
a fronte del calo delle entrate tributarie finali nel 2011, il DEF registra comunque un andamento della pressione fiscale, che raggiunge nel 2011 il 42,5 per cento in rapporto al PIL, rimanendo per tutto il periodo del quadro programmatico di previsione in media al di sopra del 42,6 per cento;
ma il dato che più colpisce riguarda la significativa riduzione della spesa in conto capitale ed in particolare degli investimenti fissi lordi prevista per l’anno 2011 (- 0,7 punti percentuali rispetto al 2010). La spesa in conto capitale è da sempre un fattore di crescita strutturale per l’economia e rinunciarvi significa indebolire le politiche per lo sviluppo;
constatato che,
la terza sezione del DEF, relativa al PNR, appare del tutto incompleta e non rispondente agli impegni assunti in sede comunitaria nell’ambito della nuova governance europea. Gran parte delle riforme indicate dal PNR nelle otto aree di policy sono un riepilogo di decisioni già assunte in passato, alcune delle quali già ampiamente attuate ed altre in corso di attuazione;
relativamente alle residuali misureelencate come programmatiche (14), da realizzare o da avviare entro la fine della legislatura, alcune risultano essere semplici piani, altre esclusivamente titoli privi di qualsiasi contenuto, a fronte dei quali non sono indicati neanche i relativi stanziamenti o risparmi di spesa;
le riforme relative al settore del lavoro sono in gran parte già state attuate. Fra queste si segnala l’introduzione nel PNR della riforma della contrattazione che, tuttavia, non sembra avere risolto i problemi della contrattazione nel nostro Paese. Analogo discorso vale per i provvedimenti del Collegato sul lavoro;
in materia di ricerca e sviluppo, il documento si limita a richiamare una serie di strumenti già adottati dal Governo, tra i quali l’attuazione del Programma Nazionale della Ricerca 2011-2013, e a sottolineare l’esigenza della massimizzazione delle risorse nazionali e comunitarie del PON Ricerca e Competitività. Il richiamo al Piano Italia Digitale, i cui pilastri fondamentali sono il Piano Nazionale Banda-Larga e il Piano per le reti di nuova generazione, evidenziano la confusione con cui il Governo ha finora agito, in ragione del fatto che le risorse per lo sviluppo del settore erano disponibili già a partire dal 2008;
in materia di federalismo, il PNR annuncia l’intenzione di portare a termine l’attuazione delle deleghe previste dalla legge n. 42 del 2009. Nel frattempo, gran parte dei decreti sin qui approvati si sono limitati a rimandare al futuro la definizione degli elementi fondamentali della riforma quali i sistemi perequativi e i fabbisogni degli enti locali;
sul tema della valorizzazione del capitale umano, il PNR si limita a richiamare la riforma scolastica, già attuata, e quella universitaria, in corso di attuazione. Le riforme tengono conto esclusivamente dell’esigenza di contenimento della spesa pubblica e della razionalizzazione e riorganizzazione del sistema. Sul rinnovamento e potenziamento dei programmi e dei contenuti, sull’interazione con il mondo produttivo, nonché sullo sviluppo della scuola digitale vi sono scarse indicazioni;
sul tema della strategia energetica, si percepisce nettamente l’inversione delle politiche del Governo e si certifica, di fatto il fallimento della scelta del nucleare. Nel PNR, infatti, si sottolinea che, ora, gli obiettivi della politica energetica, in linea con il Protocollo di Kyoto, sono incentrati sull’incremento dell’uso delle fonti di energia rinnovabile, sull’efficienza energetica e sull’utilizzo dei Fondi comunitari in tema di energia e ambiente. Tuttavia non sono esplicitate le risorse che si intendono mettere a disposizione per il raggiungimento di tali obiettivi;
la riforma fiscale è solo annunciata. Alla conclusione dei tavoli che devono svolgere il lavoro preparatorio seguirà la stesura di una legge delega. Approvata quest’ultima, si dovrà procedere con i decreti attuativi. Un iter lungo e complesso che difficilmente potrà essere terminato prima della fine della legislatura. Analoghe considerazioni possono essere formulate in relazione all’annunciata riforma della giustizia;
per la competitività delle imprese, sono state previste misure per favorire l’accesso al credito. Tra le più importanti, il Fondo centrale di garanzia a favore delle PMI, il Fondo Italiano di investimento; il Fondo per le infrastrutture greenfield; ‘Jeremy Mezzogiorno’, nell’ambito del Piano per il Sud; La Banca del Mezzogiorno. Anche in questo caso si sottolinea il ritardo nell’attivazione di strumenti che già sono operativi da ormai diversi anni in gran parte dei Paesi maggiormente sviluppati, nonché la scarsità delle risorse messe a disposizione per tali politiche;
il documento non da seguito all’attuazione della comunicazione della Commissione Europea del 25 giugno 2008, relativa allo “Small business act”, che prevede interventi per la semplificazione, il sostegno e la promozione delle PMI. E’, altresì, completamente assente ogni tipo di impegno per l’adozione ed applicazione della normativa europea in materia di ritardati pagamenti nelle transazioni commerciali tra imprese e tra imprese e pubblica amministrazione;
per quanto di competenza,
si osserva, innanzitutto, che i dati relativi all’occupazione ed alle sue dinamiche, contenuti in diverse sezioni del documento, risultano fra loro contradditori e in contrasto con quelli ufficiali rilevati dagli Istituti Nazionali deputati (PNR pagina 332, tasso di occupazione 2010: 61,1 per cento versus ISTAT 56,7 per cento); contraddizioni si osservano anche relativamente all’entità agli esiti attesi dalle misure proposte nel PNR; in particolare, non si comprende come un incremento medio annuo dell’occupazione indicato nello 0,2-0,3 per cento, possa produrre in capo a 10 anni (Italia 2020) un incremento dello stock degli occupati di 1,7 milioni di unità. Se si assume, inoltre, che, nell’arco temporale considerato dal DEF, dovrà essere attuata una manovra di finanza pubblica, a correzione del debito, stimata in circa 35 miliardi di Euro, e che le misure proposte nel PNR prefigurano esiti attesi di crescita contenuti nello 0,2 per cento del PIL, l’obiettivo indicato sembra del tutto inverosimile; gli stessi risultati attesi dall’impatto delle riforme (Tavola III.10) sembrano indicare attese appena coerenti con un obiettivo di mero ripristino del tasso di occupazione pre crisi alla fine del decennio;
le specifiche misure previste a sostegno dell’incremento dell’occupazione, laddove rinvenienti da provvedimenti già assunti nel corso dell’ultimo biennio (nei vari Decreti “anticrisi”) sono risultate in sé non adeguate a garantire la protezione universale necessaria in presenza di una grave crisi occupazionale, né tantomeno hanno potuto essere stimolo all’occupazione; quelli indicati nei documenti programmatici cui il PNR si riferisce (Piano triennale per il lavoro, Italia 2020; Piano Giovani) sono proposti ad un livello di elaborazione che non ne consente alcuna seria valutazione di efficacia; molte delle misure ivi contenute risultano, inoltre, prive di adeguati finanziamenti a supporto. In particolare:
– con riferimento all’occupazione giovanile il mix di misure indicate, diverse delle quali già in essere, non sembrano minimamente adeguato a superare un gap drammatico, che esclude dalla partecipazione attiva quasi un terzo della popolazione giovanile in età di lavoro; in particolare, occorre sottolineare che il disinvestimento nel sistema scolastico e della formazione (abbassamento dell’obbligo di istruzione a 15 anni, tagli alla scuola e all’università), appare assolutamente contradditorio con i bisogni di competenze di un’economia matura, che sulla specializzazione e sull’alta qualificazione del lavoro deve puntare per promuovere lo sviluppo e, conseguentemente, l’occupazione; appaiono deboli e aspecifiche le misure volte a favorire l’autoimprenditorialità dei giovani e sostanzialmente assenti le politiche fiscali a sostegno del loro impiego; il potenziamento dell’utilizzo del contratto di apprendistato, misura certamente utile, deve essere adeguatamente sostenuto e, soprattutto, concretamente posto in atto con misure di accompagnamento e supporto che ne garantiscano l’effettiva efficacia formativa, presupposto di una piena occupabilità. Da ultimo, non compaiono indicazioni stringenti circa i modi per affrontare e superare il gravissimo problema della discontinuità lavorativa che affligge, ormai, non solo le fasce giovanili, ma larga parte della popolazione occupata al di sotto dei 40 anni di età; i rimandi alle riforme ipotizzate attraverso lo “Statuto dei lavori”, di cui – assunta la delicatezza delle materie che vi sarebbero affrontate – si censura la struttura di delega, appaiono caratterizzati da una possibile eterogenesi dei fini, in quanto potenzialmente prodromiche di una ulteriore destrutturazione e frammentazione del lavoro.
– Il bilanciamento di flessibilità e sicurezza, raccomandato dall’Annual Growth Survey, è integralmente rimandato all’attuazione delle deleghe già contenute nella legge n. 246 del 2007, reiterate dalla legge n. 183 del 2010 e differite di ulteriori 24 mesi e dalla attuazione della delega prevista nella bozza dello “Statuto dei Lavori”: appare ovvio come non ne sia valutabile la portata e come, ancora una volta, si dilazionino nel tempo misure la cui urgenza è dimostrata in tutta evidenza dai dati sulla disoccupazione, l’inoccupazione, la precarietà il progressivo accrescersi del tasso di diseguaglianza nel nostro Paese; del tutto inefficaci appaiono le supposte “azioni riformatrici” contenute nel disegno di legge “collegato lavoro”, al contrario forieri di ulteriore destrutturazione della certezza del diritto del lavoro e di, conseguente, ulteriore precarizzazione; non si comprende, inoltre, come si possa ascrivere alle misure contenute nel citato provvedimento efficacia sostanziale nell’azione, prioritaria, di contrasto al lavoro sommerso ed illegale, assunta la rarefazione dei controlli da esso determinata e la riduzione – nei fatti – delle sanzioni previste per le violazioni in materia di adempimenti;
– L’affidamento alla bilateralità della tanto attesa riforma degli ammortizzatori sociali e delle politiche per il reimpiego, indispensabili per scongiurare il rischio concreto di una ripresa della crescita senza occupazione, e con espulsione dal mercato del lavoro delle persone più fragili in termini anagrafici e di competenze sembra velleitario in assenza di una progettazione generale e di un sostegno universalistico al sistema;
– Lo stimolo all’occupazione femminile, fattore di sviluppo strategico per il nostro Paese che registra ormai la peggiore performance europea rispetto a tale item, è affidato alle misure contenute in “Italia 2020”, rispetto alle quali si osserva che, allo stato non si è proceduto ad alcuno step attuativo, con l’eccezione dell’accordo con la Conferenza delle Regioni per la destinazione delle risorse per i servizi per la prima infanzia, che ha visto le Regioni unanimemente indicare destinazioni coerenti con le tipologie di servizio previste nel Piano proposto nella precedente XV Legislatura (Governo Prodi); rispetto a quest’ultimo appare macroscopicamente evidente come i 40 milioni di euro previsti dal “Piano per la Conciliazione”, pari ad un terzo dello stanziamento per il solo primo anno del Piano Nazionale Nidi promosso dal Governo Prodi e non rifinanziato, siano del tutto inadeguati ad affrontare quella che si configura come una vera e propria emergenza nazionale; da ultimo, in merito all’Avviso Comune sottoscritto in data 7 marzo ultimo scorso tra il Governo e le Parti Sociali, denominato “Azioni a sostegno delle politiche di conciliazione tra famiglia e lavoro” nel quale, con riferimento alla Delega reiterata con la legge n. 183 del 2010 per la promozione dell’occupazione femminile, in cui si prevede di delegare alla contrattazione di secondo livello, la ricerca e l’incentivazione delle buone pratiche in materia di orario di lavoro finalizzate alle esigenze di conciliazione citate e che prevede, quale unico impegno concretamente riferibile al Governo, quello a dare piena attuazione all’articolo 9 della legge n. 53 del 2000, di cui prevista copertura nell’ambito del Fondo per le politiche per la famiglia di cui all’articolo 19 del decreto-legge n. 223 del 2006 convertito, con modifiche, dalla legge n. 248 del 2006, si osserva che detto Fondo è passato da una dotazione di 213 milioni di euro per l’anno 2007 a 174 milioni di euro per il 2010 e per il 2011 risulta sostanzialmente svuotato (attuale dotazione 25 milioni di euro, di cui almeno il cinquanta per cento già destinate al finanziamento di programmi definiti in accordo con le Regioni), con una decurtazione di oltre il 90 per cento, alla quale si aggiungono i tagli operati dal Governo ai trasferimenti a Regioni ed Enti Locali, di cui la maggior parte è destinata al finanziamento delle misure di welfare territoriale, a sostegno degli impegni di cura delle famiglie; pertanto,
il recupero di potere d’acquisto dei salari da lavoro dipendente rimane esclusivamente affidata all’ ampliamento della contrattazione decentrata, attraverso la decontribuzione e la detassazione dei salari di produttività; appare però evidente come la possibile estensione della contrattazione decentrata risulta sostanzialmente compressa dalla congiuntura economica e realisticamente riferibile a quote limitate di occupati e, pertanto, totalmente insufficiente a determinare un recupero significativo del potere d’acquisto e della domanda interna, alla quale, peraltro, appaiono sostanzialmente affidate le pur modesta stime di crescita previste dal DEF; non si può celare, inoltre, come l’attuale situazione di conflitto sindacale, in una situazione di incertezza nella regolazione dei diritti di rappresentanza, renda ancor più difficile attribuire concreta efficacia a tale pratica;
per contro sono totalmente esclusi altri strumenti, certamente efficaci, quali la partecipazione dei lavoratori alle dinamiche reddituali dell’impresa e gli interventi di riduzione del cuneo fiscale;
ancora una volta viene descritta come sostanzialmente stabilizzata la spesa pensionistica, attribuendo un effetto risolutivo in tal senso agli interventi posti in atto con il decreto-legge n. 78 del 2010; in realtà la proiezione realizzata mostra in maniera chiara come il profilo di sostenibilità della spesa pensionistica sia sostanzialmente determinato dagli interventi di riforma messi in atto fin dal 1995; inoltre, le correzioni apportate con l’intervento dello scorso luglio vengono proiettate, nel medio periodo, su una base di dati che ipotizza tendenze di crescita e di sviluppo dell’occupazione incongruenti con i dati di previsione contenuti nello stesso DEF ed esitanti dalle azioni del PNR;
inoltre, è assente qualsiasi considerazione sull’adeguatezza dei redditi da pensione, già debole oggi e grave per la prospettiva, soprattutto in considerazione della progressiva perdita di capacità contributiva dei giovani e del permanere di un gap di genere rilevantissimo, non certo colmato dall’allungamento del periodo di attività delle dipendenti pubbliche nel corso del tempo. Entrambe i fattori sono gravemente condizionati da tassi di attività pesantemente inadeguati e dalla discontinuità delle carriere dei giovani e delle donne;
considerato, inoltre, che
occorrerebbe alternativamente prevedere, con specifico riferimento alle politiche per la crescita e lo sviluppo dell’occupazione, l’adozione di misure volte a premiare la produttività, disponendo risorse certe e continuative per il finanziamento delle politiche incentivanti (defiscalizzazione e decontribuzione), favorire la mobilità, accrescere il livello della partecipazione dei lavoratori nelle imprese, semplificare norme e procedure, anche al fine di attrarre investimenti diretti esteri in Italia. Dal lato delle misure per il raggiungimento nel 2020 del tasso di occupazione del 67-69 per cento, occorre prevedere apposite iniziative per l’inclusione nel mercato del lavoro di giovani e donne, anche attraverso la previsione di appositi sgravi tributari e contributivi in favore sia dei datori di lavoro sia dei giovani e delle donne lavoratrici, la previsione di interventi di welfare a supporto della conciliazione e dei carichi di cura, attraverso la definizione ed il finanziamento dei LEP in ambito sociale; occorre introdurre innovazioni mercato del lavoro dipendente e autonomo quali forme di tassazione agevolata per i giovani professionisti e le imprese giovanili; contratti per la ricerca di lavoro, fiscalizzazione degli investimenti in formazione, unificazione delle tutele delle diverse forme di prestazione lavorativa, al fine di favorire la crescita di un’occupazione buona e stabile; riformare in senso universalistico e compartecipativo gli ammortizzatori sociali; valutare a medio e lungo termine la qualità del sistema previdenziale, con particolare cura a tutte le dimensioni indicate dalla UE: universalità, sostenibilità, adeguatezza, trasparenza.
Tutto ciò premesso e considerato,
esprime parere contrario.
220ª Seduta
Presidenza del Presidente
GIULIANO
La seduta inizia alle ore 15,35.
IN SEDE CONSULTIVA
(Doc. LVII, n. 4) Documento di economia e finanza 2011 e connessi allegati
(Parere alla 5a Commissione. Seguito dell’esame e rinvio)
Riprende l’esame, sospeso nella seduta di ieri.
Il senatore ROILO (PD) si dice colpito in particolare da tre dati contenuti nel Documento. Il primo concerne il debole andamento del PIL nel triennio 2011-2014, ben lungi dal conseguimento dei livelli precedenti alla crisi. Il secondo riguarda l’innalzamento – fino al 119 per cento nel 2012 – del debito pubblico, con una clamorosa inversione di rotta rispetto alla scorsa Legislatura e l’attingimento di livelli allarmanti. Il terzo attiene al tasso di disoccupazione, calcolato all’8 per cento: una percentuale che, pur se al di sotto della media europea, non comprende tuttavia i cassintegrati, il cui numero è peraltro in aumento, come dimostrano il ricorso alla cassa integrazione in deroga e straordinaria. Questi elementi, ben lungi dal dimostrare l’uscita del Paese dalla crisi, documentano semmai la sua permanenza in una situazione economica e sociale drammatica. Occorre invece imboccare la via della crescita, e di una crescita sostenuta, risultando altrimenti impossibile affrontare il nodo del debito pubblico e quello dell’occupazione. Nel Documento non c’è inoltre alcuna traccia di misure di intervento adeguate; si ricava piuttosto l’impressione che il Governo abbia sostanzialmente deciso di “galleggiare” fino alla scadenza della Legislatura, rinviando l’adozione di provvedimenti sgraditi, in modo da scaricarne l’onerosità sulle spalle del prossimo Esecutivo. I dati resi noti dalla Banca d’Italia si riferiscono invece alla necessità di una manovra aggiuntiva pari a 35 miliardi di euro: una stangata pesantissima, destinata ad avere un forte contraccolpo sull’economia in generale, e in particolare sulle fasce più deboli.
Ciò renderebbe davvero necessaria l’immediata adozione di un piano di riforme, di cui non si riscontra invece traccia alcuna nel Documento. Manca una riforma fiscale, che pur dovrebbe essere la prima tra tutte, come invocano le parti sociali, per ridurre la pressione sul lavoro e sulle imprese: sul punto ci si limita ad annunciare che il Governo chiederà al Parlamento una delega legislativa. In tema di lavoro il Documento si limita ad elencare misure già in vigore, peraltro assai discusse, come quelle riconducibili al cosiddetto “collegato lavoro”, ovvero all’accordo separato sulla struttura della contrattazione, la cui inadeguatezza è già stata dimostrata dalle vicende FIAT. Per l’ennesima volta si annuncia infine l’adozione di uno “Statuto dei lavori”. Al di là di queste dichiarazioni, nella sostanza enunciati senza contenuto, il Documento è riconducibile ad un Governo privo della forza di attuare qualsiasi riforma. Non c’è da rallegrarsene: in assenza di riforme, il Paese pagherà un prezzo altissimo, destinato a gravare in particolare sui lavoratori, sulle imprese e sulle fasce più deboli.
Il senatore TREU (PD) rileva preliminarmente che il Documento appare connotato da scarso realismo. Assai debole egli giudica la parte dedicata all’economia reale, con riferimento alle prospettive di crescita del Paese. Venendo più da vicino alle politiche del lavoro, osserva che la stessa scarsità delle pagine dedicate ai temi dell’occupazione, degli ammortizzatori sociali e della formazione rispetto all’insieme del Documento costituisce un segnale assai preoccupante di assoluta sottovalutazione. Questa striminzita dimensione quantitativa contrasta con l’ambizione roboante degli obiettivi dichiarati, ed in particolare con il numero dei posti di lavoro di cui si prevede la creazione e con il tasso di crescita dell’occupazione, che si attesterebbe su 10 punti percentuali. Addirittura doppio sarebbe questo tasso per le donne e i giovani, che sono certamente in fortissima sofferenza, mentre nulla si dice con riferimento agli ultracinquantenni, che rappresentano certamente la fascia in maggiore difficoltà. Una certa accentuazione è data al settore della formazione, senz’altro di grande importanza; il dato è però destinato a risultare frustrante in assenza di crescita, finendo essa per servire soltanto ai formatori, e ridursi a un mero parcheggio di risorse. Sugli ammortizzatori sociali, il Documento risulta ricognitivo di vicende già note, giungendo addirittura ad affermare che le misure sarebbero estese a tutte le aziende ed a tutti i lavoratori, mentre è ben noto che moltissimi ne restano privi. Si insiste sulla lotta al lavoro irregolare, che senz’altro rappresenta una piaga, offrendo sul tema ampio spazio al ruolo delle Regioni e degli Enti locali, che al contrario non può essere risolutivo. Insufficienti sono le misure riguardanti il Sud ed il credito d’imposta; poco credibile risulta poi il capitolo dedicato all’adozione dello “Statuto dei lavori”. La stessa idea del matching domanda/offerta di lavoro è destinata a restare sulla carta, in assenza di un incremento della crescita.
Ulteriori critiche riguardano i temi di cui il Documento non parla: non c’è nulla sulle tematiche della precarietà, come se quanto fatto finora dal Governo fosse sufficiente; nulla sull’invecchiamento; nulla a proposito delle politiche specifiche per l’outplacement ed il riposizionamento delle imprese. A proposito dell’occupazione femminile, si rinvia ad un Piano per la conciliazione, che rappresenta un mero contenitore. Per i giovani si fa riferimento unicamente alla formazione ed all’apprendistato, ignorando totalmente un dibattito che in tutti i Paesi d’Europa ha invece ben presente la drammaticità di una generazione che si sta sostanzialmente disperdendo. Si tratta dunque di un Documento privo di reali contenuti, che lo lascia del tutto insoddisfatto.
La senatrice CARLINO (IdV) nota che il Documento non presenta sostanziali novità rispetto a quello sottoposto all’esame delle Camere a novembre scorso e resta in attesa di conoscere le valutazioni che le parti sociali esprimeranno nel corso delle loro audizioni in Commissione di merito. Nel ribadire il giudizio negativo già espresso a novembre, osserva che, riguardo al mercato del lavoro ed all’occupazione, nel paragrafo V.1 non sono citati progetti di riforma concreti, ma vengono semplicemente illustrati in maniera più ampia gli interventi già citati in premessa o dei semplici piani, in assenza di indicazioni circa l’applicazione concreta. Le misure sul lavoro si ritengono in realtà già attuate, con la riforma della contrattazione, dato che si fa esplicitamente riferimento all’accordo del 22 gennaio 2009, che peraltro escludeva la CGIL, e che non sembra avere risolto i problemi della contrattazione in Italia, come provato dal caso della FIAT. Analoghe considerazioni valgono per le misure contenute nel cosiddetto “collegato lavoro”. In particolare, per quanto riguarda la normativa sugli arbitrati, la più autorevole dottrina ha spiegato come non farà altro che far aumentare il contenzioso, sempre che non venga prima dichiarata incostituzionale. Per queste ragioni, il suo Gruppo ha presentato sull’argomento uno specifico disegno di legge (AS 2473).
Quanto alla lotta al lavoro irregolare, il Documento cita non meglio definite azioni di vigilanza selettiva e modifiche ai sistemi sanzionatori che ne accrescano l’efficacia. Ci si è applicati con costanza solo al sostanziale smantellamento delle tutele previste dal decreto legislativo n. 81 del 2008, le cui ennesime modifiche sono previste nel cosiddetto disegno di legge sulla semplificazione (AS 2243), ancora all’esame della 1a Commissione permanente del Senato. Quantomeno singolare è poi il riferimento alla promozione dell’emersione attraverso il lavoro intermittente e accessorio che, soprattutto dopo l’allargamento abnorme della possibilità di utilizzare i voucher, è forse la forma di lavoro meno tutelata in assoluto.
Il decentramento della regolamentazione si è tradotto finora nella ricerca e promozione degli accordi separati; si tratta di misure già attuate, che peraltro non sembrano aver risolto i problemi della contrattazione in Italia. Viene citata la bozza di legge delega per lo Statuto dei lavori, ma anche qui si è in presenza di un testo striminzito e vago nei contenuti, che si configura sostanzialmente come una delega in bianco. Dell’istituzione del contratto unico a tutele progressive – un modo concreto per conciliare la flessibilità in ingresso richiesta dalle imprese con le esigenze di stabilità dei lavoratori – non c’è cenno nel Documento.
Quanto allo sviluppo delle competenze per l’occupabilità, che prevedrebbero la valorizzazione dell’azienda come luogo di formazione, l’unica misura in tal senso, anche questa già attuata, è quella contenuta all’articolo 48 del collegato lavoro; una norma ampiamente criticata, che rischia di tradursi in un abbassamento surrettizio dell’età scolare.
Stigmatizza infine che, pur assegnando un ruolo chiave all’incremento del tasso di occupazione delle donne, il Documento non ne chiarisce tuttavia l’esatta portata.
Per la senatrice SPADONI URBANI (PdL) il Documento mostra una situazione in evoluzione. La necessità di far quadrare i conti pubblici, secondo le richieste prioritarie dell’Unione europea, ha limitato negli anni scorsi la possibilità di poter disporre di risorse per la ripresa. Oggi le disponibilità per mettere le imprese in condizione di incrementare produzione ed occupazione debbono tenere conto di un ritorno dell’inflazione, che in Italia è superiore alla media UE e va tenuto sotto controllo.
Se permane dunque l’attesa per un pieno utilizzo del fattore lavoro, dati i modesti tassi di crescita dell’occupazione attesi nel triennio prossimo, per altri versi ci si prepara ad un profondo rinnovamento delle dinamiche del settore lavorativo, previsto dal Piano triennale che il Governo ha adottato nel luglio scorso. Saranno proprio queste ultime novità, definite nelle tre priorità che il Governo ha indicato, a dare la possibilità di aumentare il numero del personale impiegato, sfruttando tutte le opportunità che oggi restano inutilizzate per le rigidità del mercato. La “Carta dei lavori”, in particolare, definendo una regolamentazione di parti importanti del rapporto di lavoro in base al principio di sussidiarietà, sarà sicuramente un fattore determinante per la crescita delle opportunità di impiego.
Occorre dunque apprezzare queste linee e chiederne una più rapida attuazione. Già è stata portata a buon punto la normativa sulla flessibilità dei tempi di lavoro, per la conciliazione degli stessi con i ritmi di vita. Altamente positiva e liberistica è poi la determinazione con cui si colpisce oggi il “lavoro nero”. Andrebbero anzi implementati i meccanismi premiali per farlo emergere, specie nelle attività piccole o piccolissime, dove si annida maggiormente, divulgando una mentalità nuova sia tra gli imprenditori che tra i lavoratori.
Sul piano della tenuta del sistema pensionistico, ella ritiene positivo che si preveda una riduzione del peso delle pensioni sul PIL almeno per i prossimi dieci/quindici anni.
In conclusione, valuta positivamente i contenuti del Documento e raccomanda una accelerazione delle politiche per lo sviluppo, al fine di diminuire i tassi di disoccupazione giovanile e femminile.
In considerazione dell’imminente inizio dei lavori dell’Assemblea, il PRESIDENTE rinvia il seguito dell’esame ad altra seduta.
Il seguito dell’esame è quindi rinviato.
POSTICIPAZIONE DELLA SEDUTA DELLA COMMISSIONE DI DOMANI
Il PRESIDENTE avverte che, in relazione al calendario dei lavori dell’Assemblea, la seduta di domani, già prevista per le ore 14, è posticipata alle ore 14,30.
La seduta termina alle ore 16,25.
219ª Seduta
Presidenza del Vice Presidente
TREU
La seduta inizia alle ore 16,30.
IN SEDE CONSULTIVA
(Doc. LVII, n. 4) Documento di economia e finanza 2011 e connessi allegati
(Parere alla 5a Commissione. Esame e rinvio)
Il relatore CASTRO (PdL) ricorda che il Documento è stato predisposto in attuazione della novella di cui all’articolo 2 della legge n. 39 del 2011, che ne ha previsto la presentazione alle Camere entro il 10 aprile di ogni anno, in sostituzione dei precedenti strumenti (Documento di programmazione economico-finanziaria e, nel 2010, Decisione di finanza pubblica). Ne inquadra quindi il contenuto all’interno del contesto di riferimento dell’azione di Governo, che stabilisce al 2014 il conseguimento di un livello prossimo al pareggio di bilancio: il Documento prevede infatti un incremento del PIL pari all’1,1 per cento nel 2011, all’1,3 per cento nel 2012, all’1,5 per cento nel 2013 e al 1,6 per cento nel 2014; un valore del tasso di disoccupazione pari all’8,4 per cento per il 2011, all’8,3 per cento per il 2012, all’8,2 per cento per il 2013 e all’8,1 per cento per il 2014; un tasso di occupazione pari al 57,1 per cento nel 2011, al 57,5 per cento nel 2012, al 57,9 per cento nel 2013 e al 58,4 per cento nel 2014; un tasso di inflazione programmata pari all’1,5 per cento per ciascuno degli anni 2011-2014; il conseguimento dell’obiettivo di ricondurre l’indebitamento netto delle pubbliche amministrazioni al di sotto del 3 per cento del PIL entro il 2012.
Il Documento ha natura sostanzialmente confirmatoria di azioni già intraprese dal Governo, alcune delle quali già portate a compimento. In particolare, le principali misure riguardanti il mercato del lavoro e dell’occupazione già messe in atto sono riepilogate nel paragrafo II.1 della terza sezione, recante il Programma nazionale di riforma, mentre nel paragrafo V.1 esse sono indicate più ampiamente, insieme alle linee di intervento in materia. In particolare, il Documento ricorda che il Piano triennale per il lavoro ha individuato tre priorità: la lotta al lavoro irregolare e l’elevamento dei livelli di sicurezza sul lavoro, il decentramento della regolazione e l’attuazione del principio della sussidiarietà. Nel novembre 2010, il Ministro del lavoro ha inviato alle parti sociali una bozza di disegno di legge delega sullo Statuto dei lavori, ai fini della definizione di un avviso comune tra le parti, propedeutico all’esame governativo e parlamentare. La bozza di delega ha l’obiettivo di identificare un nucleo di diritti universali e indisponibili per tutti i lavoratori dipendenti, nonché per i lavoratori a progetto e quelli con rapporto di monocommittenza, e di consentire che le tutele non comprese tra i diritti universali siano rimodulate da parte della contrattazione collettiva, anche aziendale o territoriale, eventualmente con intese in deroga a norme di legge. La bozza di delega prevede altresì l’estensione degli ammortizzatori sociali, contemplando interventi di politica attiva, con particolare attenzione alla valorizzazione di percorsi formativi. Allo scopo di favorire lo sviluppo delle competenze per l’occupazione ed il reimpiego, il Documento identifica tra le azioni chiave il ripensamento dei modi e dei contenuti della formazione, ponendo l’attenzione sui risultati piuttosto che sulle procedure, la concezione dell’azienda come luogo di formazione, l’istituzione dei valutatori indipendenti, la ricerca di un maggiore raccordo tra sistema formativo ed esigenze del sistema produttivo, nonché il rilancio dell’apprendistato e dei tirocini.
La riforma dell’apprendistato è richiamata più volte e l’apprendistato è definito come la forma fondamentale dell’accesso al mercato del lavoro.
Nel Documento è data altresì evidenza al conseguimento di un abbattimento drastico delle cause civili in materia previdenziale ed assistenziale. Si sottolinea altresì la coerenza e l’efficacia di un approccio labour hoarding e si evidenzia che, rispetto ad altri Paesi dell’Euro, l’Italia ha conseguito un livello di performance complessivamente migliore di un punto e mezzo percentuale circa.
Il Documento osserva altresì che, all’interno della strategia generale per l’occupazione, l’incremento del tasso di occupazione delle donne riveste un ruolo chiave, e che occorre prevedere incentivi mirati all’assunzione nel Mezzogiorno (contratti d’inserimento), senza trascurare gli interventi per la conciliazione fra lavoro e vita privata.
In materia di sicurezza sociale, il Documento si sofferma sull’impiego dei fondi comunitari per l’occupazione e l’inclusione sociale e sul contrasto della povertà.
La spesa pensionistica è più specificamente esaminata nel paragrafo V.5, nonché nel capitolo III della sezione seconda del Documento. Il testo osserva che le misure adottate nel corso degli anni, nonché quelle introdotte, da ultimo, con il decreto-legge n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 122 del 2010, compensano in larga parte la cosiddetta gobba pensionistica che si prospettava per i prossimi decenni, dovuta all’incremento della speranza di vita ed al passaggio alla fase di quiescenza delle generazioni del baby boom.
Il Documento illustra altresì le misure pensionistiche introdotte dal citato decreto-legge n. 78, che concernono la revisione del regime delle decorrenze dei trattamenti di vecchiaia e di anzianità, l’accelerazione dell’elevamento del requisito anagrafico per il pensionamento di vecchiaia per le lavoratrici del pubblico impiego, e l’attuazione, a decorrere dal 2015, dell’adeguamento dei requisiti anagrafici per il pensionamento all’aumento della speranza di vita.
Nel riservarsi la presentazione di una bozza di parere, il relatore conclusivamente sottolinea come i contenuti del Documento siano tali da consentirne un significativo apprezzamento.
Il presidente TREU (PD) ringrazia il relatore per l’ampia esposizione e dichiara aperta la discussione generale.
Il senatore ROILO (PD), intervenendo sull’ordine dei lavori, sottolinea l’esigenza che la Commissione disponga di tempi di esame congrui e proporzionati alla particolare ponderosità del Documento.
Concorda la senatrice CARLINO (IdV).
Il relatore CASTRO (PdL) fa presente che, pur se di grande momento, tutti i temi trattati nel Documento hanno caratteristica di consolidata notorietà. Tuttavia, non sottovalutando l’impatto della materia, dichiara fin d’ora disponibilità del suo Gruppo a garantire ampi tempi di esame del Documento, facendo eventualmente ricorso a sedute notturne della Commissione.
Il presidente TREU (PD) ricorda che i tempi per l’esame del Documento e per l’espressione del parere alla Commissione bilancio verranno stabiliti sulle risultanze della riunione della Conferenza dei presidenti dei Gruppi parlamentari, le cui decisioni verranno comunicate all’apertura della seduta odierna dell’Assemblea.
Rinvia quindi il seguito dell’esame alla prossima seduta.
Il seguito dell’esame è quindi rinviato.
La seduta termina alle ore 16,50.