Come segnalato dai risultati delle elezioni regionali, i rapporti di Matteo Renzi con l’opinione pubblica, e quindi con gli elettori, si sono fatti piuttosto complicati. In compenso, la sua azione di governo continua a ricevere significative manifestazioni di consenso da parte di chi ha le più importanti responsabilità di guida per ciò che riguarda la vita economica del nostro paese.
La settimana scorsa, Renzi ha infatti incassato, in sequenza, l’approvazione del Governatore della Banca d’Itala, Ignazio Visco, e poi quella del Presidente della Confindustria, Giorgio Squinzi. Oggi nuovi segni di assenso gli sono arrivati da parte del vertice di Federmeccanica, rappresentato dal vice-presidente, Alberto Dal Poz, e dal direttore generale, Stefano Franchi. Ma gli sono giunti anche dal past President, come oggi si usa dire, Alberto Bombassei. Ovvero da un uomo che è stato uno dei protagonisti della scena industriale e sindacale del nostro paese nel decennio scorso, ed è oggi un autorevole parlamentare, eletto nel 2013 nelle liste capeggiate da Mario Monti.
L’occasione per queste esternazioni di consenso a Renzi, relative principalmente al Jobs Act, è venuta dalla presentazione della 134 edizione dell’indagine trimestrale condotta da Federmeccanica su La congiuntura nell’industria metalmeccanica. Una ricerca periodica basata, in parte, su analisi di dati di fonte pubblica (principalmente Istat e Inps), e in parte sui risultati di un sondaggio svolto direttamente da Federmeccanica in un campione di imprese metalmeccaniche.
Diversamente dal solito, questa volta l’indagine trimestrale è stata presentata in un salone di palazzo Montecitorio, nell’ambito di un dibattito cui erano stati invitati anche due autorevoli parlamentari della maggioranza: Carlo Dell’Aringa (Pd) e, appunto, Alberto Bombassei (Scelta civica per l’Italia).
Sull’indagine trimestrale, è presto detto. Mentre, nella prima parte della mattinata i dati diffusi dall’Istat sulla crescita dell’occupazione nei primi 4 mesi dell’anno avevano creato una ventata di ottimismo, la ricerca di Federmeccanica ha teso, quanto meno, a smorzarla. La fase recessiva si attenua, ma la ripresa è ancora “debole” e, soprattutto, concentrata solo in alcuni settori, quali l’automotive.
A ciò si aggiunga che il panorama su cui spunta il pallido sole della ripresa è un panorama disastrato perché, come ha ricordato il vice presidente di Federmeccanica, Alberto Dal Poz, le cifre ripetute nelle edizioni più recenti dell’indagine sono cifre degne di una guerra. Dal 2008 in poi, infatti, la produzione dell’industria metalmeccanica è diminuita, nel nostro paese, del 30%, mentre la capacità produttiva installata è diminuita del 25%. Più che di ripresa, ha incalzato il direttore generale della stessa Federmeccanica, Stefano Franchi, bisognerà quindi parlare di una necessaria ricostruzione, proprio come si fa dopo le guerre.
Che fare, dunque, per avviare questa ricostruzione? Dopo aver affermato che “il Jobs Act ha segnato un punto di partenza per aiutare le imprese a rinnovarsi e a essere competitive sul mercato globale”, Dal Poz ha detto che, affinché tale obiettivo posa essere pienamente raggiunto, è essenziale “definire una vera politica industriale”. Tornando così a battere su un tasto tradizionalmente prediletto da Federmeccanica. E a segnalare al Governo che, per l’associazione delle imprese metal meccaniche, il Jobs Act non basta.
Rispetto a questa problematica, Dell’Aringa ha osservato che è molto importante che si ricrei un clima di fiducia tra gli imprenditori. Da questo punto di vista, Dell’Aringa ha sottolineato che dall’indagine emerge che le valutazioni delle imprese intervistate sul proprio portafoglio ordini presentano un quadro meno ottimistico di quello rilevabile dai dati forniti dalle stesse imprese, e questo proprio perché ancora manca quella fiducia che è invece determinante nell’assunzione di concrete scelte di investimento.
Ma la fiducia non deriva solo dall’idea che ci si fa del prossimo futuro, ma anche dalle esperienze del presente. E qui Dal Poz ha aggiunto alla sottolineatura della necessità che il governo assuma precise linee di politica industriale, concreti suggerimenti in materia di politica fiscale, specie in materia di Imu e Tasi. A suo dire, infatti, il legame oggi esistente tra il valore degli immobili e il valore dei macchinari “ancorati” all’interno degli stabilimenti produttivi, ha inevitabilmente l’effetto di “scoraggiare gli investimenti”.
L’altro tema del dibattito è stato quello delle relazioni industriali. Un tema sempre verde, ma reso particolarmente attuale, in ambiente metalmeccanico, da due fatti: da un lato, l’accordo salariale definito in questi giorni in Fca; dall’altro, l’imminenza dell’apertura delle trattative per il rinnovo del contratto nazionale fra Federmeccanica e sindacati di categoria.
In questa duplice prospettiva, è sicuramente notevole il fatto che Bombassei abbia voluto cogliere l’occasione offertagli dal dibattito romano per lanciare un messaggio, non privo di contenuti polemici, alla Confindustria. Ovvero all’organizzazione di cui è stato vice presidente con l’importante delega delle relazioni sindacali, e all’interno della quale ha rappresentato il polo opposto a quello, poi prevalente, guidato dal “chimico” Squinzi. Citando l’episodio della recentissima visita compiuta da Renzi allo stabilimento Fca di Melfi, Bombassei ha detto che, certo, sarebbe stato bene che il Presidente del Consiglio fosse andato a Milano dove, giovedì 28 maggio, la Confindustria ha tenuto la sua Assemblea annuale. E tuttavia, Bombassei ha poi detto e ripetuto di comprendere la scelta compiuta da Renzi, perché è bene che gli uomini politici cerchino di farsi un’idea di quali sono i problemi delle imprese, e lo facciano guardando le cose da vicino. Non solo. Bombassei ha anche detto che Renzi ha fatto benissimo a esprimere apprezzamento per il lavoro svolto dal Ceo di Fca, Marchionne, sia come capo di un’impresa che come innovatore nel campo delle relazioni industriali.
Bombassei ha poi ricordato che siamo in un’epoca di continue innovazioni tecnologiche, osservando che tali innovazioni portano con sé conseguenze profonde perché non ci si trova davanti a delle semplici novità tecniche, ma a degli sconvolgimenti che modificano assetti ed equilibri precedenti. Da qui l’appello a Confindustria ad assumere l’iniziativa rispetto ai mutamenti che si impongono nel campo delle stesse relazioni industriali. Relazioni che devono essere innovate visto che, nel dopo crisi, molte cose saranno, e già sono, diverse dal passato
Anche il direttore generale di Federmeccanica, Franchi, ha poi toccato il tema delle relazioni industriali. Il 2015 – ha ricordato – è l’anno in cui dovrebbe essere rinnovato il contratto nazionale dei metalmeccanici, siglato dall’associazione delle imprese di settore con tutti i sindacati di categoria meno la Fiom. “Ma più che di rinnovo – ha detto Franchi – si dovrebbe parlare di rinnovamento.” Una formula che lascia intendere che la trattativa contrattuale sarà tutt’altro che semplice.
Sullo sfondo del rinnovo c’è infatti anche il problema che gli aumenti dei salari nominali, dopo l’accordo interconfederale del 2009, non firmato dalla Cgil, sono stati almeno teoricamente legati all’inflazione attraverso il contrastato indice Ipca. Per far salire i salari in presenza di un’inflazione vicina allo zero, Marchionne, che è uscito da Federmeccanica, ha ideato per i dipendenti di Fca dei premi legati ad altri indici, di rendimento o di efficienza. Mentre i rinnovi contrattuali di altre categorie sono già incagliati sul rapporto salari-inflazione. “L’Ipca è un problema di tutti”, ha concluso Franchi, lasciando capire che questo sarà uno dei nodi delle prossime trattative .
@Fernando_Liuzzi