I nuovi indifferenti. Ferruccio de Bortoli attualizza Alberto Moravia e fustiga quell’indole di colpevole acquiescenza e di opportunistica ignavia che rende torbido il nostro carattere nazionale. Ai tempi del fascismo come adesso. Sempre pronti ad autoassolverci e dare la colpa a qualcun altro, nella perenne ricerca di un capro espiatorio, dagli ebrei all’Europa. “Nel vissuto italiano, nella coscienza collettiva del Paese permane un equivoco di fondo. Una pietosa bugia che non riusciamo a scrollarci di dosso. Perché la memoria, opportunamente edulcorata, agisce come un potente analgesico. Lava via i ricordi peggiori. Anche oggi, di fronte all’intolleranza crescente, ai conati di nuovo razzismo, abbiamo pronta una spiegazione consolatoria”. E cioè che “gli italiani sono brava gente”.
E’ il destino ad essere cinico e baro, pensiamo. E a sbagliare, semmai, sono i politici e le classi dirigenti. L’ex direttore del Corriere della Sera e del Sole24ore fa l’esempio del caso Roma. La città è lurida ma la responsabilità non può essere attribuita tutta ed esclusivamente alle amministrazioni che si sono succedute, compresa l’attuale, inchiodata alle proprie responsabilità dalle illusorie promesse elettorali. No, anche gli abitanti della Caput mundi sono correi. “Come possono una città civile, una nazione che si vanta di essere non solo tra le prime otto economie al mondo ma la culla della civiltà, con il più alto numero di siti protetti dall’Unesco, sopportare un’onta simile? Perché non si registra un’autentica sollevazione popolare? Un moto di indignazione, con la ramazza in mano, che rivendichi una grande e antica tradizione civica? Solo poche, e isolate, iniziative”. Non tocca a noi, è il sentimento generale. E invece di indignarci fattivamente e di aiutare a tenere pulite le strade, le sporchiamo ancor di più.
De Bortoli, giornalista di gran vaglia, ha uno stile asciutto, essenziale, tagliente. Cita con acribia fonti e numeri, prende posizione senza mai essere partigiano, espone argomenti e traccia conclusioni sulla base di elementi ben precisi, sine ira et studio. Più con la fredda concretezza della Riforma che con gli ipocriti arzigogoli del Barocco. Impietoso nell’analisi ma fecondo nella speranza. “Ci salveremo”, è infatti il titolo del suo nuovo libro (Garzanti, 172 pagine, 16 euro). “Rifiuto l’idea che l’Italia del buon senso sia stata inghiottita dalla crisi economica. Annientata “. La sollecitazione è a “rianimare uno spirito civico perduto”, “un senso di responsabilità collettivo annebbiato da un individualismo miope e scomposto”. De Bortoli vuole parlare a questo popolo silenzioso, disperso, frastornato: “Non siamo diventati tutti così egoisti, maleducati, sguaiati e menefreghisti”. Ecco gli “Appunti per una riscossa civica”. Un ottimismo non di facciata, perché a sua volta si fonda su fatti concreti.
Possiamo vantare meriti e primati dei quali raramente abbiamo consapevolezza. “Siamo la seconda manifattura d’Europa dopo quella tedesca. Primi per numero di piccole e medie imprese manifatturiere. Il valore aggiunto del settore agro- alimentare è tre volte quello dell’automotive di Francia e Spagna e il doppio della somma di aerospazio di Francia, Germania e Regno Unito. E siamo ai vertici, i migliori, nell’efficacia e nella capillarità dei controlli sulla qualità dei cibi. L’Italia è ai primi posti nel mondo per il livello di salute della propria popolazione. L’aspettativa di vita alla nascita è tra le più alte in assoluto. Siamo tra i primi dieci Paesi esportatori nel mondo. Primi per gli incentivi agli investimenti digitali. Secondi per l’export di macchine e sistemi di automazione. Primi ad avere un convertiplano a uso civile; terzi a lanciare un satellite nello spazio nel 1964. Secondi nella farmaceutica dietro la Germania”. Senza dimenticare che ”Le famiglie italiane hanno un patrimonio di circa 11.000 miliardi, sei volte il Prodotto interno lordo (negli Stati Uniti è solo quattro volte di più) e risparmiano più di quelle tedesche”.
E, soprattutto, tante storie di passione, partecipazione, generosità, rigore, testimonianza. Un nutrito album di limpidi esempi da seguire, nella certezza che “basta poco per essere cittadini migliori”. L’autore è anche presidente di Vidas, l’associazione milanese che assiste i malati terminali, e definisce “l’esercito del bene” quello composto dal “diffuso e capillare sistema dl volontariato italiano”. Un grande ammortizzatore sociale: “il welfare della buona volontà”. E che rappresenta anche “la base popolare sulla quale può innestarsi un movimento di riscatto civico”. A raccolta sotto le virtuose bandiere del Terzo settore.
L’esortazione è quella di “emanciparsi dalla paura” e costruire una “società migliore”. “ Non chiusa e cinica”, non poggiata “sull’italica furbizia obliqua, sull’evasione endemica, sulla flessibilità opportunistica delle regole”. Non assisa “sull’arte, che arte poi non è, di arrangiarsi” bensì “solidale, aperta, basata sul lavoro, lo studio, il merito”. Una lotta contro noi stessi. Perché non si può dimenticare che “le leggi razziali ebbero un grande favore popolare, nel silenzio di molti, nell’indifferenza di troppi”. Cinici, sprezzanti, interessati, e spesso plaudenti, di fronte alla tracotanza e alle illusorie promesse. Ieri come oggi. Con la Francia o con la Spagna, purché se magna: è la condanna di un vergognoso proverbio che non riusciamo a scrollarci di dosso. Così ci vedono dall’estero. Furbi, lamentosi, spregiudicati, inaffidabili, voltaggabana.
Il 26 maggio andremo alle urne per il nuovo Parlamento europeo. Ma pare che non riusciamo a guardare oltre il nostro orticello. “Il duello rusticano tra Cinque Stelle e Lega – ha scritto lo stesso De Bortoli sul Corriere – ha uno scopo interno: misurare, dopo il voto, i reciproci rapporti di forza. Peccato che questa resa dei conti avvenga su una ideale “zattera della Medusa” alla deriva continentale”. Rissosi, ciechi, confusi.
“Questa è l’atonia politica, impotente a fare, attivissima a demolire. In mezzo fermenta la corruttela. E il paese spettatore, ingigantendo, fantasticando, generalizzando, assiste allo spettacolo e ne fa il suo passa ozio. E’ una malattia che colpisce tutte le classi, le infime in una forma grossolana, e quasi civica le altre, sotto un’apparenza ipocrita che mal dissimula il vuoto”: Scriveva così, nel 1877, Francesco De Sanctis. Ferruccio de Bortoli, nel 2019, rialza la torcia illuminista ed hegeliana, con bagliori calvinisti, del progresso come convivenza, partecipazione, impegno, responsabilità e altruismo. Un patriottismo etico, si potrebbe dire. Faticoso ma ineluttabile.
Marco Cianca