Avete notato anche voi che la gente guida in maniera meno accorta di un tempo? I furgoni per la consegna delle merci che si fermano a ogni ora del giorno al centro della strada. Le auto in doppia fila davanti ai bar, senza nessuno a bordo, con le 4 frecce di emergenza accese. I ciclisti con le cuffie che passano senza fanale sui marciapiedi in ogni direzione. Le bici elettriche dei rider che sfrecciano silenziosamente ignorando i cartelli. I monopattini con due ragazzi a bordo che si muovono in senso vietato (chiacchierando fra loro). Fino ai pedoni che guardano il proprio cellulare attraversando gli incroci fuori dalle strisce pedonali. È una percezione dovuta all’età? Oppure un fenomeno solo della mia città? Non credo.
Io non ho mai avuto passione per la sociologia, ho scelto di studiare economia perché mi pareva un sapere più legato alla realtà. Tantomeno so qualcosa di psicologia sociale. Ma mi sono fatto un’idea che vorrei esporre in questo blog.
Secondo me gli anni del Covid ci hanno obbligati a comportamenti collettivi vincolanti cui non eravamo abituati da molti decenni, forse fin dalla seconda guerra mondiale. La fine del Covid e del lockdown ci hanno fatto di nuovo assaporare la bellezza delle libertà personali e, forse, anche il gusto per l’infrazione individuale (o di piccolo gruppo) delle norme esistenti: “Ho superato la pandemia, posso fare quello che voglio, mal che vada mi becco una multa”. Molti altri esempi si potrebbero fare a sostegno di questa tesi: dai genitori che picchiano i professori ai parenti che assaltano il personale sanitario, ma preferisco riferirmi a quello (teoricamente) meno violento del traffico. (Nella speranza che il nuovo Codice della Strada aumenti e non diminuisca le regole a partire dalle auto.)
Cercando di oggettivare questo concetto si potrebbe dire che l’atteggiamento individualista (“fuori dal coro”), una reazione comprensibile ai vincoli imposti dal Covid, si è tramutato in un atteggiamento ancora presente, e forse dominante, per una parte della società italiana.
Che ci sia anche questo fattore alla base dell’assenteismo elettorale? Almeno a sinistra? Una volta si votava soprattutto per appartenenza (addirittura di famiglia) a un partito o a un’area politica. Ora quel concetto non esiste più: a volte si vota per distinguersi da una componente politica. Un tempo si votava per un sindaco o un presidente di Regione quando si condivideva il suo programma. Ora lo si fa “a prescindere”, sulla base della simpatia che il candidato suscita o della sua antipatia. Oppure non si vota per manifestare la volontà di star fuori dal mondo politico di cui non si ha fiducia (e, a volte, nemmeno conoscenza).
Non voglio ignorare i torti della politica, specie a sinistra, che non ritiene più necessario il confronto fisico (in carne e ossa) con il cittadino elettore, illudendosi che parlare di se stessi sui social sia la stessa cosa che ascoltare la gente. Ma forse l’atteggiamento individualista da quale siamo partiti ha moltiplicato il peso del distacco. Anche perché la sinistra era abituata a rivolgersi alle collettività, alle comunità, alle classi sociali. Al contrario della destra che è più abituata, da molto tempo, a rivolgersi ai singoli e ai piccoli gruppi.
Forse questo fenomeno ha moltiplicato la già diffusa tendenza dei lavoratori dipendenti a non votare a sinistra perché non si identificano più negli ideali (o nelle ideologie) che sottintendono un’appartenenza di classe.
Forse è questa tendenza che obbliga le organizzazioni sindacali (sia padronali che del lavoro) ad attivare sempre più i servizi di assistenza ai singoli piuttosto che non le azioni collettive.
Se queste dinamiche sono vere, la “rivolta sociale” non è solo un incidente lessicale e nemmeno una forzatura propagandistica quanto un errore tattico che ripropone una visione sociologica collettiva ed unitaria di fronte a una crescita del peso di interessi e comportamenti individuali (necessariamente differenti).
Per questi motivi ricomporre un “campo largo sociale” di riferimento è condizione indispensabile e preliminare per la creazione a sinistra di un “campo largo politico”, largo e solido.
Gaetano Sateriale