Il 15 febbraio la Filt Cgil va a congresso. Il diario del Lavoro prosegue il suo “viaggio” nel cuore della stagione congressuale del principale sindacato italiano, intervistando Stefano Malorgio, segretario generale della categoria trasporti.
Malorgio, innanzi tutto, quali sono gli highlights di questo congresso, le questioni chiave.
Come prima cosa direi la sicurezza sul lavoro, piaga enorme e in peggioramento: la scorsa settimana, nel nostro settore, abbiamo avuto altri tre morti in tre giorni. E quindi si, il primo tema del congresso sarà questo. In termini concreti: lanceremo la nostra – piattaforma ed una campagna specifica sulla sicurezza in una tavola rotonda con soggetti istituzionali e controparti.Stiamo pensando inoltre di costituirci parte civile nei processi per le morti sul lavoro e Con le risorse che ne deriveranno intendiamo istituire un Fondo apposito per finanziare una campagna di educazione nelle scuole, che organizzeremo noi direttamente come sindacato: dietro la questione sicurezza c’è un problema culturale generale, che va affrontato. Altrimenti non se ne esce.
Il congresso si terrà quest’anno a Catania, c’è una ragione specifica in questa scelta?
E’ una scelta anche simbolica, alla luce dell’autonomia differenziata, un provvedimento nocivo a tutto il paese, ma che penalizzerà innanzi tutto il sud.
Torniamo ai temi centrali del congresso.
A parte la discussione generale, abbiamo organizzato una serie di tavole rotonde, di cui una, in particolare, con il viceministro Rixi, con le più importanti aziende nazionali di settore, le associazioni datoriali, con i sindacati europei . Vorremmo capire se esiste uno spazio di lavoro comune per un nuovo “patto per i trasporti” che guardi al futuro. Abbiamo molti elementi comuni su cui lavorare, partendo dalla centralità dei trasporti e della logistica: che dispongono di risorse assai inferiori alle necessità sia per la transizione “green” che per il mondo produttivo. Si dice che la guerra produrrà il reshoring di molte produzioni. Un’opportunità che il Paese può intercettare solo con un sistema di trasporti e logistica funzionale ed efficiente. In questo quadro ovviamente la qualità del lavoro, i diritti ed il salario. Bisogna insomma chiedere una politica di sistema, e capacita’ di programmazione oggi quasi totalmente assenti
Oggi si discute anche molto di salari, orari, qualità del lavoro. Come affrontate questi temi nella vostra categoria?
Sono argomenti con cui sempre piu’ dobbiamo fare i conti. Abbiamo un problema di salari nel Paese ed anche in questo settore. La contrattazione da sola non basta a difendere il potere di acquisto ma gli indici che oggi usiamo per il rinnovo dei contratti vanno superati. Inoltre sta diventano molto difficile trovare lavoratrici e lavoratori nei trasporti, non tanto e non solo per i salari, ma anche per due motivi meno discussi: la mancanza di figure con una formazione adeguata e la scarsa qualità della vita. Nessuno per esempio vuole più fare l’autotrasportatore, a causa degli orari pesanti e della vita disagiata. Soprattutto le nuove generazioni chiedono condizioni migliori, e non solo salariali, ripeto. Ma questo problema della mancanza di lavoratori riguarda anche il comparto marittimo, il trasporto aereo, ma anche, per dire, l’Atm di Milano, che non trova autisti per i bus. È una crisi ormai endemica. Non è un caso che il congresso ospiti il libro di Fausto Durante (attuale Segretario generale della Cgil Sardegna) “Lavorare Meno. Vivere meglio”.
Accennava prima alla mancanza di mano d’opera specializzata, di che tipo relativamente al settore trasporti?
Abbiamo sempre più bisogno di informatici, di ingegneri: il futuro, anche nel nostro settore, è nei dati e in chi sa elaborarli e gestirli. Al congresso faremo una discussione specifica sul tema della digitalizzazione dei trasporti anche qui con ricercatori, controparti e sindacati europei sulla base di una ricerca che abbiamo commissionato alla Fondazione di Vittorio . E parleremo anche di riqualificazione e formazione del personale e di come il sistema formativo pubblico può contribuire a colmare questo gap ma anche di come utilizzare le forme di bilateralità presenti. Insomma un congresso tutto sindacale e a vocazione internazionale. Non per questo meno politico ma ci interessa partire da noi e dalla nostra funzione.
Da un rapido sguardo alle elaborazioni delle diverse categorie in occasione dei congressi, mi sembra che emergano argomenti e spunti di discussione interessanti, molto aderenti alla realtà del mondo del lavoro e dei suoi cambiamenti. Una vitalità, diciamo così, che si riscontra un po’ meno nelle confederazioni. È cosi? E se è cosi, per quale motivo?
Non è così. Nel documento confederale questa elaborazione si ritrova tutta. Ci sono ovviamente tempi diversi. Le categorie hanno la necessità di affrontare quotidianamente problemi nuovi che richiedono una elaborazione immediata, che appare quindi molto aderente alla vita delle persone. In tale quadro la maggiore difficolta, e lei ha ragione in questo, è appunto nella dimensione confederale del nostro agire: e per un motivo preciso che ha a che fare con la cancellazione del lavoro nella discussione politica del Paese.
Mi spieghi meglio.
Una volta il lavoro era al centro della discussione politica, non solo a sinistra, ma di ogni schieramento e questo rafforzava il ruolo del sindacato che quel lavoro rappresentava. Ora il lavoro è uscito dai radar, e dunque il sindacato confederale vive un difficoltà sul piano della rappresentanza generale del lavoro che anche il governo – quello attuale, ma anche i precedenti- non riconosce. Proprio in questo quadro noi dobbiamo fare ancora meglio il nostro lavoro a partire dalla rappresentanza dei bisogni dei lavoratori. La confederazione ha un ruolo fondamentale di orientamento delle politiche generali, contrattuali, organizzative. Di questo ruolo stiamo discutendo in questo congresso.
Il sindacato potrebbe giocare un ruolo anche nel contesto politico? E come?
I segnali che arrivano dal mondo, dall’Europa e in Italia dicono che c’è un gran bisogno di sindacato. E tuttavia fare le tessere non è sufficiente: occorre far crescere il legame con gli iscritti, trasmettendo loro una nostra visione del mondo. Solo così si creano legami forti e non solo di natura utilitaria. In una società cosi secolarizzata è fondamentale che il sindacato svolga questo ruolo.
Lei sa che questo discorso ci porta all’inevitabile polemica sulla Cgil che “si fa partito”.
E’ un argomento che torna di attualità a ogni crisi della politica a sinistra. Io non sto parlando di una Cgil che si fa partito, assolutamente: sarebbe la nostra fine. Ma questo non vuol dire rinunciare a dare ai nostri quadri una chiave di lettura dei fenomeni della società, dell’economia. Una idea sull’Europa, sulla globalizzazione, sul rapporto tra lavoro e ambiente, occorre averla: puoi anche essere un ottimo delegato, ma se non hai anche questa visione di dove va il mondo non sarai in grado di portare i lavoratori verso la condivisione di un progetto più ampio.
Però i vostri iscritti, come sappiamo ormai da qualche decennio, votano in molti modi diversi, e sempre più spesso non a sinistra, area dove si colloca invece la cultura politica della Cgil. Come si conciliano questi fatti?
Non è una novità. Un sindacato deve stare dentro la società, e nella società c’è chi vota in modi diversi, e anche chi non vota affatto. Il punto è un altro: il punto è che il lavoratore deve pensare che il sindacalista, oltre a saper fare il suo mestiere, è anche in grado di trasmettergli una visione del mondo che lo convince.
Lei parla di trasmettere una visione del mondo, però in giro si parla di crisi del sindacato…
La difficoltà riguarda il mondo lavoro e con esso il sindacato, ma attenzione. In Europa i sindacati italiani sono guardati come esempio da seguire, per le cose che facciamo, per i successi che otteniamo. Restando al nostro ambito: siamo stati i primi al mondo a contrattualizzare i rider, siamo stati i primi al mondo a contrattare le condizioni di lavoro e i salari con Amazon. E ancora, complessivamente, abbiamo creato un sistema di relazioni industriali che ha retto perfino il colpo terribile della pandemia. Altro che “crisi del sindacato”. Dobbiamo rilanciare una idea di sindacato come strumento di emancipazione del lavoro, che ha vinto alcune sfide ed altre le deve ancora vincere. Dobbiamo per questo giocare in un campo sempre più internazionale e ambire a riportare il lavoro al centro della discussione pubblica del Paese usando tutta l’autorevolezza della Cgil.
Nunzia Penelope