Le lavoratrici domestiche migranti in Italia si prendono cura di un milione di anziani ma 2 su 3 sono senza tutele. E’ quanto emerge da un rapporto della onlus Soleterre in collaborazione con l’Irs dal titolo “Lavoro domestico e di cura: Buone pratiche e benchmarking per l`integrazione e la conciliazione della vita familiare e lavorativa” che sarà presentato il prossimo 15 giugno alla Camera in occasione della Giornata Internazionale dei Lavoratori domestici.
Sempre più famiglie in Europa affidano la cura dei propri cari – minori, anziani, disabili – e della propria casa a lavoratori domestici e di cura. Si tratta per la maggior parte di migranti, soprattutto donne, spesso vittime di discriminazioni multiple sul fronte dei diritti e della protezione sociale.
Dall`indagine emerge una sostanziale differenza a livello europeo: nei Paesi con migrazione fortemente regolata e servizi di cura pubblici ben strutturati, i lavoratori domestici e di cura – anche stranieri – sono occupati prevalentemente in forma regolare (ad es. in Danimarca, Regno Unito e Francia); in quelli con un`offerta più debole di servizi assistenziali e regimi migratori meno gestiti, l`assunzione è invece a titolo individuale e spesso irregolare (ad es. Spagna, Grecia e Italia).
Anche se, a fronte di una crescente domanda sociale, si stanno moltiplicando le iniziative di Enti Locali e del privato sociale.
Nel nostro Paese si stimano oltre 830 mila badanti, un numero considerevole se paragonato a quello dei dipendenti del Servizio Sanitario Nazionale che si attesta intorno alle 646 mila unità.
La maggior parte delle badanti è di origine straniera (ben il 90%) e lavora senza contratto.
Sul totale, infatti il 26% è costituito da lavoratrici che non hanno un regolare permesso di soggiorno, il 30,5% da lavoratrici con permesso regolare senza contratto mentre solo il 43,5% lavora in regola.
La condizione di irregolarità (nei permessi di soggiorno e nel contratto di lavoro), il riconoscimento solo parziale dei diritti e la difficoltà a conseguire l`autonomia abitativa sono i tre fattori che incidono maggiormente sulla qualità di vita e sulla possibilità di conciliazione vita/lavoro di queste lavoratrici.
In particolare incidono sulla possibilità di attuare un ricongiungimento con i propri figli: troppo spesso ci si dimentica, infatti, che la maggior parte delle assistenti familiari ha dovuto lasciare il Paese d`origine per mantenere se stesse e le proprie famiglie ed è costretta a vivere lontana dai propri figli (i c.d. orfani bianchi). Una situazione che crea profondo disagio psicologico nelle donne (dal 2006 nei paesi dell`Est si è cominciato a parlare di “sindrome Italia” per definire lo stato depressivo di molte badanti rientrate dopo anni di lavoro nel nostro Paese) e anche nei loro bambini/ragazzi favorendo l`insorgenza di comportamenti a rischio sociale ed educativo.