• Today is: martedì, Marzo 28, 2023

Le parole di Sanremo

Marco Cianca
Febbraio07/ 2023

“O lavori per due spicci o spacci pezzi”. Non si hanno altre alternative “in un quartiere velenoso”.  Gli Articolo 31 ci vanno giù duro. Il loro nome richiama in maniera beffarda e obliterante il dettato della Costituzione che tutela la famiglia, la maternità, l’infanzia e la gioventù. “Vaffanculo, basta”. Ammettono di aver raggiunto il successo smettendo di litigare: “Siamo stati due coglioni,  infatti funzioniamo in coppia”. Tutto bene quel che finisce bene? Un inno all’amicizia?  No, perché “all’inizio era una pacchia/come Frank Sinatra con la mafia/ ma poi diventa un lavoro e il lavoro diventa ansia”.

“Per me le cose sono due/lacrime mie o lacrime tue”, sentenzia Elodie. “Ma che sesso mi fai/Che sesso mi fai?”, domandano i Colla Zio, però “ogni tanto c’è qualcun altro che sfiora i tuoi sensi” e “io sto male male male”. “E comunque andrà/ l’addio non è una possibilità”, sentenziano i Coma _Cose.  Nomi strambi, versi strampalati. “Ciao papà o addio papà/Io ti perdono”, piange Gianluca Grignani.

Allegria! avrebbe esclamato, ironico, Mike Bongiorno, che di Sanremo se ne intendeva, di fronte a questa settantatreesima edizione. Nilla Pizzi, sommessa, vinse la prima volta gorgheggiando “Grazie dei fiori”. Amore e ottimismo. Al più, un pizzico di malinconia. “Vecchio scarpone, quanto tempo è passato, quante illusioni fai rivivere tu”, canticchiava Gino Latilla. E Giorgio Consolini non faceva eccezioni: “Son tutte belle le mamme del mondo”.

E ora? Qualcuno si è preso la briga di calcolare quali siano i concetti più usati nei 28 testi in gara quest’anno. Al primo posto, la volontà, che però viene espressa più come decisione di isolamento che intento combattivo. Infatti, la solitudine segue a ruota. Terza, la sofferenza.

 “Ma che ti sembro un mostro? /Guarda che sono a posto”, assicura Gianmaria. “Non lasciarmi solo/Non lasciarmi qui”, ripetono i Cugini di Campagna”. “Ormai nemmeno facciamo l’amore/ Direi piuttosto che facciamo l’odio”, lamenta Lazza, che invoca: “Spazzami via come cenere”. LDA dubita: “Io non so se domani/ verrai da me/ o sarai solo un’altra bugia”. Leo Gassman rivela di avere tre cuori: “Uno lo uso per ridere nei giorni di festa/il secondo mi fa tenere duro nel mare in tempesta/ e l’ultimo mio cuore devo costringerlo a dimenticarsi il tuo nome, non vuole/ Maledetto terzo cuore!”.

Levante, omen nomen, va a vento: “Vivo come viene/Vivo il male, vivo il bene/Vivo come piace a me/Vivo per chi resta e chi scompare/ Vivo il digitale/ Vivo l’uomo e l’animale/ Vivo l’attimo che c’è/ Vivo per la mia liberazione/Vivo un sogno erotico. Pure Mr. Rain gioca con il suo nom de plume: “Supereroi/ soli io e te/ due gocce di pioggia/che salvano il mondo dalle nuvole”.

 Madame trova del bene anche nel male e non ha dubbi: “Sarò una puttana/ma sei peggio di me”. Mara Sattei conta il tempo con precisione:   “Ho usato duemila minuti per capire di me in fondo cosa pensi”.  I Modà sconfinano nel teatro dell’assurdo: “Lasciami/ ma fallo in silenzio/ Lasciami/ ma fa in modo che non me ne accorga”. Olly però li supera, sta su uno scaffale, dentro uno scatolone con la scritta fragile, e si lagna: “Solo polvere su di me”. “C’è un fuoco, una strobo”, avvertono Paola&Chiara, e allora: “Furore, furore/amarsi e fare rumore”.

Rosa Chemical gioca con il made in Italy (tanto da indignare sorelle e fratelli della Meloni) ed esalta la trasgressione: “Ti piace/che sono perverso e non mi giudichi/se metterò il rossetto in ufficio lunedì/ Da due passiamo a tre/Più siamo e meglio è”. Sethu ha i tappi alle orecchie perché “siamo due cause perse” ma un po’ dubita: “Forse sono solo un sadico/ e ho una testa di merda/ ma qua fuori è una guerra”. Shari vorrebbe sentirsi meno egoista “mentre stappo sta birra che sa di the”. “Ma chissà perché Dio ci pesta come un tango”, chiede Tanatai. Ultimo ama l’alba “perché è una sana follia”. Will, a volte, si sente stupido: “Volevo fare il poeta, ora l’essere umano”. Il duo Colapesce Di Martino si tuffa nell’immensità del blu, “splash”.

“Arca dell’umanità andata a fondo/ Cuori puri mangiati dall’avidità”, recita Anna Oxa. “Quante parole, senza mai una risposta”, si rammarica Marco Mengoni. “Parole dette male”, sembra rispondere Giorgia. “Un mare di guai”, titola Ariete, ritmando: “Non so nuotare in una vasca/ piena di squali, piena di squali”.

Il rap è la colonna sonora di quest’epoca sincopata.

Marco Cianca

Marco Cianca