Il rapporto “Startup Survey 2016”, frutto di una collaborazione tra il ministero dello Sviluppo economico e l’Istat, traccia l’identikit dell’imprenditore delle start up innovative: ha quarant’anni circa, è un uomo con un livello educativo molto elevato e un forte radicamento con il territorio d’origine che, nella maggior parte dei casi, è una regione del Centro o del Nord.
La platea target è costituita dalle startup innovative registrate al 31 dicembre 2015, beneficiarie del cospicuo pacchetto di agevolazioni introdotto con il decreto-legge 179/2012 (“Startup Act italiano”). La rilevazione ha visto la partecipazione di ben 2.250 startup innovative, facendo registrare un tasso di risposta del 43,7%.
“Il quadro che emerge delle start up – ha spiegato il presidente dell’Istat, Giorgio Alleva – è davvero interessante: si tratta di imprese condotte da giovani che impiegano giovani con elevati livelli d’istruzione”. Inoltre, ha aggiunto Alleva, “lo sviluppo e la crescita delle start up possono rappresentare uno strumento di valorizzazione del capitale umano, un elemento chiave in un Paese dove l’ampiezza del disallineamento qualitativo tra domanda e offerta di lavoro appare molto elevata, soprattutto fra i giovani”.
I soci operativi nell’82% dei casi sono uomini con un’età media di 43 anni e presentano un livello educativo molto elevato: il 72,8% di essi ha conseguito un titolo di studio pari o superiore alla laurea triennale, per lo più in materie tecnico-ingegneristiche ed economico-manageriali. Una quota pari al 16% risulta poi aver ottenuto un dottorato di ricerca.
Nella gran parte dei casi, i soci delle startup in possesso di titolo di laurea dichiarano di svolgere mansioni coerenti con il proprio percorso di studi (88%).
Inoltre, quasi tutti i soci (96%) dichiarano di conoscere almeno una lingua straniera (l’inglese nella maggior parte dei casi, seguito dal francese e dallo spagnolo); la metà ha fatto esperienze di studio o lavoro all’estero.
Pur in un contesto di crescente digitalizzazione, il fattore territoriale sembra rivestire un ruolo importante per i soci delle startup italiane: per l’83% la regione sede della startup è la medesima nella quale sono state condotte le principali esperienze formative o lavorative.
I contesti familiari di provenienza si caratterizzano per una forte eterogeneità: solo un socio su cinque (20,6%) dichiara di avere un padre imprenditore, ciò a dimostrazione di una costante mobilità sociale.
La seconda sezione della survey si concentra sull’accesso alla finanza. Buona parte degli startupper si dichiara pienamente soddisfatto delle fonti di finanziamento a propria disposizione (34,1%), percentuale più elevata nelle regioni del Nord (38,4%) e tra le imprese con fatturato più cospicuo (56%). Un altro 44,2% si dichiara almeno in parte soddisfatto. Per contro, il 21,7% degli imprenditori ritiene che la disponibilità finanziaria della propria startup sia del tutto insufficiente a coprire il fabbisogno.
Oltre 7 imprese su 10 (74%) hanno realizzato innovazioni di prodotto o servizio, mentre le innovazioni di processo, realizzate dal 37,1% delle startup, sono più diffuse tra le classi di fatturato più alte. Nella maggioranza dei casi (65%) si tratta di forme di innovazione incrementale, ossia migliorativa di un prodotto o di un processo già esistente; il 48,5% delle startup dichiara invece di aver introdotto prodotti radicalmente nuovi.
La conoscenza tecnica o scientifica che ha reso possibile l’introduzione dell’innovazione dichiarata deriva per più della metà delle startup (61,9%) da precedenti esperienze professionali nello stesso settore; solo nel 20% dei casi la ricerca universitaria viene identificata come la fonte diretta.
Per quanto riguarda le strategie di protezione dell’innovazione, il 17,8% delle startup è titolare di una privativa industriale, il 12,8% depositario e il 9,2% licenziatario. Per contro, dalla rilevazione emerge anche come più della metà delle imprese (58%) non adotti nessun meccanismo formale di tutela della proprietà intellettuale (per esempio, brevettazione) e circa un quarto non persegua nemmeno strategie informali di protezione.
Le misure di policy più conosciute alle aziende sono quelle riguardanti la riduzione dei costi per l’avvio d’impresa e l’accesso semplificato e gratuito al Fondo di Garanzia per le pmi, quest’ultimo noto a quasi 9 startup su 10.
Altre misure che riscuotono particolare successo tra gli start upper in termini di utilizzo sono il credito d’imposta per attività di ricerca e sviluppo (CIR&S), gli incentivi fiscali per gli investimenti in capitale di rischio, e la maggiore flessibilità prevista per le assunzioni a tempo determinato. Una misura per cui invece molti imprenditori dichiarano scarso interesse o una conoscenza solo superficiale è la possibilità di avviare campagne di equity crowdfunding.
Le misure di policy che raccolgono i giudizi più positivi sono, ancora una volta, il Fondo di garanzia per le pmi (valutazione media 4,33 su 5) e il CIR&S (4,02), nonché gli incentivi per gli investimenti in equity. La survey si chiudeva infine con un quesito aperto, per dare agli startupper l’opportunità di esprimere liberamente suggerimenti su come migliorare le misure di policy loro dedicate. Ben il 44% dei rispondenti ha fornito indicazioni, talvolta molto specifiche, su come migliorare il quadro normativo, per un totale di circa un migliaio di suggerimenti.
In particolare, la gran parte delle startup ha fornito risposte classificabili nelle seguenti aree d’interesse: accesso al credito bancario (21,4%), imposte e incentivi fiscali (24,8%), e proposte in merito all’alleggerimento di adempimenti e altri oneri burocratici (27,9%).