Un punto di svolta per Fca. Un paio di giorni fa, Il Diario del lavoro aveva definito così la conferenza stampa tenuta a Detroit da Marchionne lunedì 12 gennaio. Nel senso che dalle parole del Ceo della nuova multinazionale dell’auto, si poteva ricavare che sta cominciando a trovare riscontro nella realtà una sua audace scelta strategica: produrre in Italia, e specificamente a Melfi, autovetture destinate al mercato statunitense.
Della, almeno per ora, probabile esattezza di questo giudizio si è avuto un riscontro con l’uscita su “La Repubblica” del 14 gennaio di un’intervista rilasciata a Paolo Griseri dal combattivo segretario generale della Fiom, Maurizio Landini. Intervista in cui alla domanda se per la Fiom l’annuncio del rientro di tutti i lavoratori dello stabilimento di Melfi dalla Cassa integrazione e di 1.000 nuove assunzioni in questa stessa fabbrica costituissero o meno una buona notizia, Landini rispondeva così: “E’ un’ottima notizia. Diciamo bravissimo a Marchionne, siamo tutti contenti e chiediamo che prosegua su questa strada anche negli altri stabilimenti”.
Parole impensabili fino a pochi giorni prima per un sindacalista che si è caratterizzato come il critico più implacabile del manager assunto dagli Agnelli alla metà del 2004. E che segnalano, appunto, l’importanza delle notizie date da Marchionne in apertura del salone dell’auto di Detroit. Notizie la cui portata è tale da aver spinto il leader della Fiom ad aggiungere che, per impostare un discorso serio sull’azione sindacale relativa agli stabilimenti italiani di Fca, occorrerebbe che “tutti accettassimo di voltare pagina”. Dove quel “tutti” si riferisce in primo luogo ai sindacati confederali dei metalmeccanici – Fiom, Fim e Uilm -. Ma anche, ovviamente, all’Azienda.
Le parole di Landini parevano insomma voler dare avvio a una nuova stagione sia nei rapporti tra i vari sindacati presenti nell’universo ex Fiat (oltre ai suddetti confederali, anche Fismic, Ugl e AcqF), sia in quelli tra Azienda e rappresentanti dei lavoratori. Ma la cattiva notizia è che questa ipotesi (per alcuni una speranza) si è bruciata nel giro di poco più di 24 ore. Par di capire, infatti, che alla svolta in primo luogo industriale, e quindi anche, in secondo luogo, occupazionale, non corrisponderà – almeno per adesso – una conseguente svolta nel campo delle relazioni sindacali.
Ciò lo si ricava da due ordini di fattori. Il primo è l’accordo che è stato reso noto lo stesso giorno in cui è uscita la succitata intervista di Landini. Un accordo relativo alla Sata, cioè allo stabilimento di Melfi, raggiunto tra la Fca e una sfilza di sigle sindacali (Fim, Uilm, Fismic e Ugl, oltre all’associazione quadri AcqF). Sfilza di cui, però, non fa parte la Fiom.
L’intesa comincia a tradurre in pratica l’annuncio americano di Marchionne: assunzione con contratto di lavoro in somministrazione di 300 nuovi dipendenti e distacco di 100 lavoratori da Cassino, crescita delle ore lavorate da 7 e mezza a 8 (meno le pause) e crescita dei lavoratori impegnati in tre prossimi sabati consecutivi. Punti, questi, su cui la Fiom, peraltro non convocata dall’Azienda, ha espresso il proprio dissenso, relativo anche alla mancata consultazione dei lavoratori interessati.
A parte questo, mentre Fim e Uilm avevano espresso la propria soddisfazione per gli annunci di Marchionne in termini certo non meno vivaci di quelli usati da Landini, la novità degli accenti usati dal leader Fiom non è stata apprezzata, in particolare, dalla Fim.
All’inizio degli anni Ottanta – e cioè dopo la sconfitta patita unitariamente da Fim, Fiom e Uilm alla Fiat (ottobre 1980), ma anche prima della rottura sulla scala mobile fra Cgil da una parte, e Cisl e Uil dall’altra (febbraio 1984) -, Ottaviano Del Turco osservò che ogni tanto capitava che Cgil e Cisl dicessero la stessa cosa. Solo che, purtroppo, capitava anche che non la dicessero contemporaneamente. Cosicché quando la Cgil diceva “A”, la Cisl diceva “B”. Ma quando poi la stessa Cgil arrivava a dire anch’essa “B”, la Cisl si era già spostata sulla “A”.
Morale della favola. Negli Stati Uniti Marchionne si è trovato a trattare e ha trattato, anche duramente, con la United Auto Workers, l’unico e potente sindacato americano dell’auto. In Italia, dove i sindacati dei metalmeccanici continuano ad essere divisi tra loro soprattutto nel mondo ex Fiat, ha le mani molto più libere.
@Fernando_Liuzzi